Agromeccanici Bonzanini, i maghi dell’apripista

Gaetano e Franco Bonzanini
L’azienda della famiglia Bonzanini è nata e cresciuta attorno al ciclo del pomodoro. Oggi si dividono tra attività agricola e realizzazione di macchine speciali

Può la vita di un’azienda agromeccanica sbocciare, crescere e svilupparsi attorno a un singolo attrezzo? La storia della famiglia Bonzanini, contoterzisti di Pontenure (Pc) dimostra che sì, è possibile. Negli ultimi 40 anni la loro avventura lavorativa (e a ben vedere anche personale) ha ruotato attorno a un attrezzo che loro stessi hanno ideato e realizzato, prima come prototipo, poi “in serie”, fabbricandone, su ordinazione, quasi una decina. Questo attrezzo è l’apripista: nome che per i più rimanda ai lavori edili, ma che per chi fa pomodoro da industria identifica una macchina ben precisa. Divenuta, oggi, indispensabile. «Ormai l’apripista lo usano tutti e infatti anche i grossi costruttori del settore hanno iniziato a fabbricarli. Mts, per esempio, li costruisce da ormai tre anni. Tutte le grandi aziende ne hanno uno e se non ce l’hanno, andiamo noi con il nostro».

Due Lamborghini e un Deutz-Fahr costituiscono tutto il parco-trattori dell’azienda

Chi parla è Gaetano Bonzanini, figlio di uno dei fondatori dell’azienda, Carlo, prematuramente scomparso. Oggi Gaetano è in pratica titolare e unico addetto a tempo pieno, dal momento che lo zio, Franco, si è ritirato per godersi la pensione. «Resto io – ci conferma – con qualche stagionale che mi aiuta nei momenti della raccolta. Da giugno a settembre le ore non si contano, si finisce a mezzanotte e si ricomincia all’alba. Per fortuna, sono soltanto quattro mesi, anche se intensi».

Il ciclo del pomodoro

Se non si vuol limitare la vita lavorativa dei Bonzanini all’apripista (di cui a breve spiegheremo i dettagli), è senz’altro vero che la stessa non va molto oltre il perimetro del pomodoro. Sia per quanto riguarda il contoterzismo, sia per l’attività di carpenteria e fabbricazione di attrezzi i Bonzanini hanno sempre ruotato attorno a questa coltura, che ha nella provincia di Piacenza e nei territori limitrofi il suo punto nevralgico a livello nazionale. «Piacenza è il pomodoro: se non fa pomodori, che fa? Le aziende agricole si sono così legate a questa coltura che, se dovesse sparire, sparirebbero con essa».

L’apripista ancor oggi utilizzato da Bonzanini per il servizio in conto terzi

Restiamo però sull’attività di famiglia. E partiamo dagli esordi, negli anni Settanta: quando Carlo e Franco aprirono l’attività, facendo arature, trebbiatura, raccolta di piselli e, appunto, pomodori. «Ai tempi si raccoglievano a mano, noi facevamo caricamento e trasporto», ricorda Franco. La prima svolta è negli anni Ottanta, con l’arrivo delle raccoglitrici meccaniche. Franco, assieme al fratello, progetta la testata di raccolta della Sandei, riadattando una vecchia barra da mietitrebbia. «Ai tempi la Sandei era a Collecchio e stava iniziando a fare le prime macchine con selezionatore. Molto prima che passasse agli americani e, dopo di essi essi, alla Mts, qui di Pontenure».

La trebbiatura, assieme all’assistenza ai cantieri per pomodoro da industria, è ormai l’unica attività agricola portata avanti dall’azienda

Assieme alla superficie coltivata a pomodoro, cresce anche il lavoro per i contoterzisti locali. «Al mio ingresso in azienda, venti e passa anni fa, gestivamo 350 ettari nel Lodigiano: trapianto, sarchiatura e raccolta. Erano sei mesi buoni di lavoro – continua Gaetano – che in parte si sovrapponevano alla trebbiatura di grano e mais. C’era da correre, insomma».

Proprio la necessità di ridurre i tempi di lavorazione, unita a quella di non sprecare prodotto, portò alla realizzazione del primo apripista. «Una volta fabbricato, cominciammo a proporre il servizio agli agricoltori della zona. Piacque molto e diverse aziende ci chiesero di costruirne uno anche per loro. Con il tempo ci siamo specializzati in carpenteria e oggi, se dovessi fare una proporzione, siamo più fabbri e costruttori che terzisti agricoli. Infatti abbiamo abbandonato quasi tutte le attività corollarie – continua il giovane imprenditore – e facciamo soltanto trebbiatura di grano e mais e lavoro con l’apripista, a servizio dei tanti raccoglitori che fanno la campagna del pomodoro. Abbiamo una trentina di clienti, tutti nella zona, e quando viene la stagione si corre notte e giorno per star dietro alle richieste».

Un’idea semplice e geniale

Eccoci finalmente all’attrezzo fatale: cos’è questo apripista, a cosa serve e perché è così importante? Lasciamo la risposta agli stessi inventori. «Quando iniziò la raccolta meccanizzata, per aprire il campo si andava, a fianco delle raccoglitrici, con un carro leggero o con i cosiddetti vagoni, che passano tra una fila e l’altra. Poi le superfici crebbero, la produttività delle macchine anche e i classici carri ribaltabili non furono più adeguati. Tra file binate e capacità di lavoro delle macchine, ogni 100 metri se ne riempiva uno e visto che il punto di scarico era spesso lontano, aprire un campo richiedeva ore. Tanti agricoltori iniziarono così a raccogliere direttamente con il dumper o con il semirimorchio, ma ciò voleva dire calpestare le due file di pomodori accanto a quella raccolta, finché il campo non fosse stato aperto».

Semovente per il caricamento delle barbabietole lungamente utilizzato dall’azienda

«Da qui – interviene Franco Bonzanini – ci venne l’idea dell’apripista: una raccoglitrice modificata per fare taglio, separazione e scaricare il pomodoro non in un carro, ma sulla fila a fianco. In questo modo il prodotto sarebbe stato prelevato dalla raccoglitrice vera e propria al successivo passaggio». L’idea, semplice ma efficace al tempo stesso, era dunque di raccogliere e traslare il prodotto per evitare che finisse sotto le ruote del carro. «Il sistema funzionava così bene che ci chiesero di costruirne altri; in venti anni ne abbiamo realizzati quasi dieci. Abbiamo smesso perché, visto il successo della macchina, anche i costruttori di taglio industriale si sono messi a fabbricarli». Bonzanini non ha però abbandonato l’apripista: continua a usarlo per i piccoli clienti, agevolando fortemente il loro lavoro. «Fare l’apertura di un campo con questo sistema richiede poche decine di minuti. È vero che avere tre file unite in una rallenta la raccoglitrice, tuttavia è sempre meglio che schiacciare i pomodori in mezzo al campo o perdere ore facendo la spola con un carretto da pochi metri cubi».

Passione per la meccanica

Un contoterzista, se non soffre di dissociazione mentale, deve avere passione per la meccanica, è il suo lavoro. I Bonzanini però vanno un po’ oltre, perché, come dicono loro stessi, «I trattori li compriamo nuovi, ma dietro non c’è quasi attrezzo che non sia fatto da noi».

Uno dei carri-magazzino per l’accatastamento delle cassette di pomodori in cubetto

Sono Made in Bonzanini, in effetti, il già citato apripista, ma anche un dumper fatto partendo dal telaio di un rimorchio da autoarticolato, per esempio. Poi ci sono le macchine motorizzate, sempre realizzate in proprio o adattate da attrezzi destinati ad altri usi: da una irroratrice per pioppi hanno ricavato una sarchiatrice per pomodori con sarchi ventrali, un vecchio Belarus è diventato un trattore per trainare dumper, ma che monta anche una vasca “di soccorso”: «Se con il semirimorchio non si arriva in fondo al campo, si comincia a scaricare nella vasca e magari si riesce a fare tutta la fila». C’è poi un camion militare: 6x6, con 10 metri di cassone, motore da 250 cv e ruote arpionate. «Trascina qualsiasi cosa, è l’unico mezzo, in zona, che riesce a tirar fuori un carro di pomodori piantato nel fango; infatti, puntualmente ci chiamano una o due volte a stagione per problemi simili», dice con malcelato orgoglio Gaetano.

I Bonzanini effettuano servizio neve nel comune di Pontenure e limitrofi

Produzioni (quasi) in serie

Chiudiamo la visita a questa interessantissima azienda con un accenno a quella che sta diventando la loro attività principale: la realizzazione di attrezzi specifici per il ciclo del pomodoro. Oltre all’apripista, di cui però hanno sospeso la produzione, i Bonzanini realizzano carrelli per il trasporto delle vaschette da trapianto e assali rallati completi di sistema pneumatico di sollevamento. I primi sono fabbricati trasformando vecchi carri carica-ballette, mentre per i secondi si parte evidentemente da un assale da carro stradale.

Dumper fabbricato in casa partendo dal telaio di un semirimorchio stradale
Il primo apripista realizzato nel 2000, qui ancora in fase quasi prototipale

«A esso applichiamo un soffione collegato all’impianto di frenatura pneumatica, con regolazione automatica o manuale dell’altezza. Un sistema grazie al quale è possibile agganciare il carro senza troppa fatica: si infila la ralla sotto al semirimorchio, lo si alza con il soffione, si solleva il piede di appoggio a manovella e poi si fa scendere il carro fino all’altezza voluta, attivando il livellamento automatico. Il quale mantiene l’altezza impostata indipendentemente dal carico, aumentando o diminuendo la pressione nell’ammortizzatore».

La sede dell’azienda, a Valconasso di Pontenure (Pc)

Per quanto riguarda i carrelli, si sbaglia a pensare che siano semplici strumenti di trasporto: «Servono anche come deposito per le vaschette. I grossi agricoltori ricevono ormai quattro o cinquecentomila piantine in un colpo solo, vale a dire 1.500 o più vaschette da 50x30 cm. Se dovessero metterle tutte a terra e poi caricarle di volta in volta su un carro, farebbero notte, senza contare che dovrebbero occupare tutta l’aia. Con i nostri carrelli a quattro piani, invece, riducono fortemente lo spazio occupato e in più hanno già le piante sul carro, pronte per andare in campo. Finora ne abbiamo fatti più di trenta e le richieste continuano ad arrivare». L’inventiva, insomma, non si ferma e quando l’industria copia una buona idea, ne trova subito un’altra».

Un servizio sul Contoterzista del 1995 illustra una delle prime raccoglitrici di pomodoro realizzata anche grazie all’opera della famiglia Bonzanini

 

 

 

 

 

 

 

 


La proprietà si concentra

Avendo seguito l’evoluzione della quasi-monocoltura del pomodoro in provincia di Piacenza per 40 anni, i Bonzanini possono raccontare come essa abbia influenzato l’agricoltura locale. «Uno degli effetti più evidenti – ci dice Gaetano – è l’aumento di dimensione. Con il tempo, chi ha fatto pomodori ha iniziato a prendere sempre più terra in affitto. Lo si è visto soprattutto negli ultimi 10-15 anni, quando aziende un tempo normali, sono arrivate a 300, 400, talvolta anche 500 ettari. Anche i campi stanno diventando sempre più grandi: ogni tanto se ne trovano di 15 o 20 ettari. Sarebbero molti di più se i terreni non fossero per la maggior parte in affitto, situazione che impedisce a chi li coltiva di unificarli in appezzamenti più grandi».

Agromeccanici Bonzanini, i maghi dell’apripista - Ultima modifica: 2021-01-11T07:07:33+01:00 da Roberta Ponci

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