È opinione comune che le scelte imprenditoriali seguano di pari passo l’andamento dei prezzi dei prodotti: un’affermazione che ha un suo fondo di verità per varie attività produttive, ma con ampi margini di variazione.
La teoria economica considera la figura dell’imprenditore “perfetto”, libero di investire sulle attività che garantiscono il massimo utile; nelle imprese reali esistono invece numerosi vincoli, che condizionano pesantemente le possibilità di scelta.
In agricoltura convivono aspetti legati al terreno e al clima, alle rotazioni, alla struttura aziendale (terra, immobili, attrezzature) e alle capacità professionali dell’agricoltore, che impediscono di cambiare l’orientamento produttivo in relazione all’andamento dei mercati.
Come ha dimostrato la “crisi dei fertilizzanti”, iniziata nel 2021 e protrattasi fino allo scorso anno, non è possibile rinunciare al loro impiego: gli agricoltori si sono adattati, trovando soluzioni per aumentarne l’efficacia, per ridurne il consumo e gli sprechi, ma non hanno sospeso gli acquisti.
C’è poi da considerare l’intervallo di tempo che passa fra l’acquisto dei mezzi di produzione e quello in cui si incassa il corrispettivo della vendita: da pochi mesi all’anno, con tempi che si allungano per le colture arboree e per la zootecnia.
Il ricorso al terzismo aiuta
Se il prodotto oggi si vende a cento, non c’è nessuna garanzia che il prezzo resti costante nel tempo: non è quindi possibile cambiare coltura o ordinamento produttivo affidandosi alle mutevoli condizioni di mercato. Un minimo condizionamento psicologico è normale, ma l’azienda non può fermare la produzione solo perché i prezzi sono bassi; magari cercherà di adattarsi, spingendo di meno sulla resa, ma non può cambiare radicalmente la gestione dei terreni, con effetti che si protraggono nel tempo.
La mancanza di vincoli aziendali dovuta al ricorso abituale al contoterzismo aiuta a contenere i costi: il fatto di non avere dovuto investire in attrezzature lascia maggiore libertà di adattamento. Non dimentichiamo che gli obblighi di rotazione – rafforzati dalla nuova Pac – non permettono di cambiare così facilmente coltura e in un certo senso “proteggono” gli agricoltori dal rischio di fare scelte avventate, legate solo ad una situazione momentanea.
Lo strumento più forte di stabilizzazione dei prezzi sarebbe però quello contrattuale, stipulato con l’industria di trasformazione sulla base dell’andamento del mercato e con varie clausole di salvaguardia contro le eccessive oscillazioni dei prezzi. Veniamo da un periodo di prezzi molto elevati e bisogna saper resistere alla tentazione di poter influenzare i mercati con le piccole partite di cui disponiamo. Nei periodi in cui le quotazioni avevano raggiunto i massimi, le quantità realmente scambiate erano minime e nessuno si azzardava a comprare: magari a qualcuno sarà anche riuscito il “colpaccio”, ma restano episodi isolati che non hanno avuto una reale influenza sui redditi agricoli. Anzi, l’eccessiva resistenza alla vendita, nella vana attesa di ulteriori aumenti (non sostenibili) o di una più lenta e graduale discesa dei prezzi, ha determinato un aumento dei costi di stoccaggio che ha eroso pesantemente il guadagno.
La recente crisi ha portato alla luce alcune criticità o, più correttamente, caratteristiche peculiari dei vari mezzi di produzione, che una certa filosofia liberista ci aveva portato a sottovalutare: è bastata una leggera carenza di prodotto per farci capire che esistono ancora interessi strategici.
Fertilizzanti ed energia
Il principale concime di sintesi è, in quasi tutto il mondo, l’ammoniaca anidra, un composto assai semplice che si trova in natura ma che è impossibile imbrigliare e riutilizzare: è possibile produrla partendo dall’azoto atmosferico, con un forte impiego di energia. L’ammoniaca, con il suo altissimo contenuto in azoto – è composta da un atomo di azoto e da tre (leggerissimi) atomi di idrogeno – è in gran parte destinata all’impiego come fertilizzante, sia allo stato puro (non in Italia), sia sotto forma di composti più stabili, come urea e sali di ammonio. Il processo naturale si fonda sulla fissazione dell’azoto dell’aria, ad opera di vari microrganismi, che producono nitrati assorbibili dalle piante; i fertilizzanti di sintesi derivano invece dall’ammoniaca, prodotta a partire dai suoi elementi costitutivi, l’azoto atmosferico e l’idrogeno.
L’idrogeno è molto diffuso in natura ma, essendo estremamente reattivo, tende a creare composti stabili, dai quali può essere separato solo con un forte dispendio di energia: per elettrolisi (come nelle batterie) o per ricombinazione (reforming) impiegando metano e vapore acqueo. Il processo richiede molta energia, svolgendosi a temperature dell’ordine di circa 700 gradi in speciali reattori, producendo idrogeno puro e, come sottoprodotto, ossido di carbonio, impiegato nella produzione di gas di sintesi (il cosiddetto syngas). L’idrogeno viene fatto reagire con l’azoto ad alta temperatura (400-500 gradi) e pressione (intorno a 200 bar), ottenendo ammoniaca: un gas tossico e corrosivo che diventa liquido a bassa temperatura (-33 °C), o a pressione di 10-15 bar, ed è perciò facilmente conservabile e trasportabile.
Il costo di produzione dell’ammoniaca dipende quindi in larga misura da quelli del gas naturale e dell’energia: la crisi che abbiamo vissuto a partire dal 2021 era dovuta principalmente a questi motivi, più che alla speculazione, che comunque non si esclude del tutto.
Ma qui il discorso si fa più ampio: per decenni le nostre politiche industriali hanno lavorato per smantellare le industrie di valenza strategica, dall’acciaio al nucleare, dalla raffinazione del petrolio alla produzione di ammoniaca, urea e fertilizzanti. Fra tagli e ristrutturazioni, oggi esiste in Italia un solo sito per la produzione di concimi azotati di base, peraltro di proprietà estera, che non arriva certamente a coprire il fabbisogno nazionale. Ricostituire quel potenziale produttivo che poneva il nostro Paese ai vertici dell’industria mondiale sarebbe oggi impensabile, ma la recente crisi ci ha mostrato che affidarsi solo al mercato è assai pericoloso, in caso di gravi pandemie o quando soffiano venti di guerra.
L’impennata del costo dei concimi di sintesi ha portato a riscoprire il ruolo dei fertilizzanti organici, ma non è sicuro che ne siano state comprese le reali potenzialità: si tende infatti a ragionare solo in termini di azoto, dimenticando il ruolo della sostanza organica sulla fertilità del suolo. Il confronto fra il costo dell’azoto inorganico e organico è solitamente sfavorevole, se non si tiene conto delle perdite (in falda o nella rete di scolo) e quindi dell’efficienza della concimazione: ma la resa dipende dall’azoto assorbito, non dal quantitativo distribuito.
I concimi organici
Sul fronte dei fertilizzanti organici esiste poi una percezione insufficiente della qualità, da parte di molti agricoltori: non è l’aspetto esteriore a fare la qualità, ma l’analisi chimica e la presenza di impurità e sostanze inerti. Un concime organico certificato non ha la stessa efficienza, e le stesse prestazioni, di un compost naturale, la cui composizione può variare a seconda delle matrici di partenza.
Quanto detto vale, a maggior ragione, per il contronto fra i sottoprodotti della zootecnia e i fanghi di depurazione, due mondi del tutto diversi: gli episodi registrati dalle cronache dimostrano che la filiera del riutilizzo agricolo degli scarti di origine non agricola è ancora in costruzione. Il fatto di dover pagare per fornire all’azienda agricola un prodotto utile è di per sè sospetto: un prodotto costa ciò che vale e vale quanto costa, mentre il “regalo” può indurre a pensare all’intento di sbarazzarsi di qualcosa di inutile o, peggio, potenzialmente dannoso.
Senza arrivare agli eventi di rilevanza penale, si sono registrati nel passato casi di forniture di compost con minime percentuali di impurità (non biodegradabili) che hanno dato luogo a fenomeni di accumulo nel tempo tali da sconsigliare il proseguimento dell’esperienza.
Sementi sempre più legate alla materia prima
Secondo un’opinione ancora radicata, al mercato delle sementi vengono attribuiti comportamenti che esistono solo nella fantasia: pochi si rendono conto che dentro al granulo colorato c’è un insieme di tecnologie che ha consentito all’umanità di moltiplicarsi e sconfiggere la denutrizione. Un mondo che soffre di pratiche sleali – come il riutilizzo, anche commerciale, di sementi coperte da brevetto – e che ha bisogno di maggiore informazione, specialmente per il reimpiego in azienda di seme autoprodotto, la cui pulizia e selezione deve essere affidata ad imprese autorizzate.
Nel Nord Italia esiste da qualche anno un pugno di contoterzisti muniti dell’autorizzazione sanitaria rilasciata dal Servizio fitosanitario regionale, che seguono le regole, ma sono assai diffusi gli operatori senza licenza e in possesso di attrezzature di dubbia efficacia.
Qualche anno fa questa testata pubblicò un dossier sulla lavorazione del seme di propria produzione e destinato alla risemina, ovviamente da parte dello stesso produttore; un’iniziativa che verrà quanto prima riproposta ai lettori per poter operare in piena regola. La riproduzione in proprio torna alla ribalta in occasione delle ormai periodiche oscillazioni dei prezzi dei prodotti agricoli: se il prodotto da macina passa da 100 a 200, è logico attendersi un aumento del costo della semente e da qui il tentativo di aggirare l’ostacolo. Al riguardo è bene precisare che il prezzo è sempre proporzionale al valore della materia prima: se è vero che il processo industriale resta lo stesso al variare dei listini, bisogna considerare che sul costo di produzione incide soprattutto la percentuale di scarti.
Se il seme grezzo – da trasformazione industriale – costa 200 euro/t, una percentuale di scarto del 20% vale 40 euro; ma se le quotazioni raddoppiano, il valore dello scarto segue la stessa regola.
Di solito gli aumenti dei prezzi possono verificarsi anche per carenza di prodotto sul mercato, dovuto a un andamento climatico avverso, che determina un aumento non proporzionale dei semi non idonei alla risemina, con un aumento della percentuale di scarti.
Non è quindi vero che il costo di trasformazione della granella in seme – non stiamo ovviamente parlando degli ibridi, che non seguono dinamiche diverse – sia costante e l’aumento del prezzo delle sementi debba per forza corrispondere al differenziale sui listini della granella commerciale.
Prodotti fitosanitari ancora nell’incertezza
Se la vicenda del più diffuso (e più difficile da sostituire) erbicida totale sembra ormai conclusa, con il rinnovo dell’autorizzazione al commercio per altri 10 anni, la questione è ancora in essere, a causa dei divieti di impiego stabiliti da alcune regioni, con una sollecitudine quanto meno sospetta.
Resta poi in piedi la complessa vicenda dell’uso sostenibile degli agrofarmaci, in discussione sui tavoli europei a 15 anni dall’emanazione della Direttiva 128 del 2009: una direttiva recepita in Italia nel 2012 (con il decreto legislativo 150) ma divenuta operativa solo a partire dal 2014. All’epoca era stato emanato il Piano d’azione nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, meglio conosciuto con la sigla Pan, di durata quinquennale, che avrebbe dovuto scadere il 25 novembre 2019.
Le sospensioni dovute alla pandemia hanno sancito, di fatto, un principio in cui molti già credevano e cioè che i fitofarmaci, regolarmente autorizzati dall’Unione europea, sono assai meno pericolosi dei patogeni naturali, a partire dai virus. Il Pan è scaduto, nel senso che le regole restano valide pur non essendo state aggiornate, così come il regime sanzionatorio istituito dal DLT 150/2012, che resta sempre in vigore e che richiede la massima attenzione per non incorrere in sanzioni, talvolta di rilevanza penale.
Un esempio recente ha mostrato la pericolosità, per gli agricoltori (e in generale per chi esegue il trattamento, come il contoterzista) di questa disciplina: se si sconfina da una normale area rurale ad una “ad alta frequentazione”, la violazione comporta sanzioni altissime e penalmente rilevanti.
Fuori dal campo strettamente normativo, ma non troppo, sulla nostra agricoltura rimane l’ipoteca di un atteggiamento sbagliato da parte del parlamento europeo, che considera i prodotti fitosanitari in termini quantitativi (peso) senza guardare alla loro reale pericolosità. Un esempio viene dal recente dimezzamento dei composti a base di rame, che ha danneggiato la viticoltura e in particolar modo quella in regime biologico. È auspicabile che il Parlamento che uscirà dalla prossima tornata elettorale sia costituito da persone meno legate a una certa ideologia ambientalista e più sensibili ai ritrovati della ricerca scientifica, per consentire a chi produce frutta, vino e ortaggi di competere con la concorrenza extra europea.
L’atteggiamento attuale infatti non tocca i paesi del Nord e Centro Europa, in cui si praticano solo colture industriali, foraggere e cereali, mentre penalizza chi si trova ogni giorno i mercati invasi da prodotti realizzati nel totale spregio di ogni regola sanitaria.
dida
L’impennata del costo dei concimi
di sintesi ha portato a riscoprire il ruolo
dei fertilizzanti organici
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dida
Il prezzo delle sementi è proporzionale al valore della materia prima (foto Amazone)