Agrofarmaci fra silenzi e grida

L’imminenza della data fissata a Strasburgo (2030) si scontra con i lunghi tempi di registrazione dei prodotti fitosanitari
Fuga in avanti dell’Europarlamento: riduzione fino all’80% nel 2030. Un segnale di diffusa ipocrisia

L’atteggiamento pragmatico della politica europea, abituata a darsi degli obiettivi e a completarli senza curarsi né dell’opinione pubblica né del mutare delle situazioni, sta suscitando una crescente preoccupazione, non solo nella gestione dell’energia e dell’ambiente, ma anche in quello agricolo. Se in un primo tempo sembrava che il fronte comune adottato dai ministri agricoli contro la proposta della Commissione europea di ridurre l’impiego degli agrofarmaci, avesse rallentato l’iter della discussa iniziativa, è di questi giorni la notizia della fuga in avanti dell’Europarlamento.

Il 50% di riduzione – già considerato una sventura per l’agricoltura europea e italiana in particolare, considerando le nostre produzioni – dovrà arrivare fino all’ottanta per cento nel 2030, secondo la proposta portata avanti da Sarah Wiener, rappresentante dei Verdi al Parlamento europeo. Il balzo in avanti di queste istanze, che trovano i maggiori appoggi in quella regione dell’Unione europea che si caratterizza per i redditi pro capite più elevati, è un segnale tangibile della diffusa ipocrisia con cui la politica europea affronta la questione ambientale.

Rischio tensioni sociali

È un atteggiamento ipocrita perché una buona parte della popolazione europea – nel sud e nell’est del continente – spende già oggi una parte considerevole del proprio reddito per l’alimentazione; se i prezzi saliranno (per effetto delle minori rese), si potranno creare gravi tensioni sociali. Un assaggio di questi effetti lo si è visto appena un anno fa, con il blocco dei mercati conseguente alla crisi fra Russia e Ucraina; ma se la produzione globale dei paesi dell’Unione dovesse ridursi solo per rispettare questi obblighi, la situazione potrebbe sfuggire di mano.

Poiché l’agricoltura non è classificata fra le attività strategiche, ma piuttosto fra quelle soggette al libero mercato, è assai più facile prendersela con gli agricoltori che con altre categorie imprenditoriali. In primo luogo, perché gli agricoltori, ancorché numerosi, sono piccoli e tendenzialmente più deboli rispetto ai grandi gruppi industriali; in secondo luogo, perché fra un agricoltore svedese e uno italiano esistono differenze strutturali tanto evidenti che non è neppure il caso di citare.

L’imminenza della data fissata a Strasburgo (2030) si scontra con i lunghi tempi di registrazione dei prodotti fitosanitari, che non lasciano il tempo per costruire alternative valide, a meno che la strategia non sia ancora più crudele: intanto noi vietiamo, e poi gli agricoltori si adatteranno. Come per ogni altro fattore che incide sull’ambiente, le iniziative correttive devono essere attuate con una visione globale: se residui infinitesimali di prodotti fitosanitari riescono a superare oceani e catene montuose, non ha senso imporre sacrifici solo alla nostra piccola Europa.

Parliamo di residui ben al di sotto dei limiti di legge, che grazie a tecniche sofisticate, sono comunque percepibili anche a grande distanza dal luogo dove tali sostanze sono state impiegate. Gli erbicidi totali ritrovati nel miele di alta montagna ci dimostrano che oggi è possibile trovare tutto ciò che si vuole cercare e che per non trovare alcuna traccia di una qualche sostanza, non resta altro da fare che non cercarla.

Ciò che si proibisce in Europa andrebbe proibito anche per ciò che si acquista all’esterno dell’Unione

Rigore a senso unico

Il rigore a senso unico del Parlamento europeo pone due questioni: la prima, che quando ci sono le elezioni europee è meglio andare a votare piuttosto che lamentarsene dopo; la seconda, che ciò che si proibisce in Europa deve essere proibito anche per ciò che si acquista all’esterno dell’Unione. In Europa è vietato lo sfruttamento dei minori, ma poi si acquistano oggetti realizzati grazie al lavoro minorile, e se un agrofarmaco è vietato in Europa, capita spesso che gli stessi residui siano presenti nei prodotti importati; se questa non è ipocrisia, come la si deve chiamare? Da noi è vietato utilizzare disseccanti per anticipare la maturazione e aumentare il contenuto proteico del frumento, che poi dobbiamo importare per migliorare la qualità della nostra pasta.

Nonostante il mondo agricolo chieda da tempo l’applicazione del principio di reciprocità, secondo cui i prodotti agricoli importati devono rispettare i medesimi requisiti tecnici, ambientali e sociali di quelli richiesti per le produzioni comunitarie, si continuano ad accettare pesi e misure diverse.

Come se non fosse bastata la vicenda dei dazi ridotti applicati alle importazioni di riso dal Sud Est asiatico e venduto sottocosto in Europa, di recente l’autorità europea in materia alimentare ha chiesto di accettare, nel riso importato da quest’area, la presenza di residui di triciclazolo. Il principio attivo era stato da tempo vietato nell’Unione e dalla campagna risicola 2017 non è più ammesso neppure in deroga, ma è ancora largamente usato nel resto del mondo per la lotta a un temibile parassita fungino del riso, responsabile del brusone. Ora, se il prodotto è pericoloso, lo è per tutti, e non solo per gli agricoltori europei; come il rispetto per la vita umana prescinde dalla nazionalità, lo stesso deve valere per l’ambiente: poco conta che il danno lo si faccia qui oppure un po’ più lontano dalle nostre case.

La verifica periodica delle macchine irroratrici è tuttora incompleta, con notevoli differenze territoriali e soggettive

Che fine ha fatto il Pan?

Siamo partiti dal progetto di una nuova direttiva sull’uso sostenibile degli agrofarmaci: ma che ne è stato di quella vecchia? Ecco, se vogliamo essere più ascoltati a livello europeo, dovremmo quanto meno dimostrare di avere fatto il nostro dovere, perché a distanza di nove anni dall’emanazione del Piano di azione nazionale (Pan) sull’impiego sostenibile dei prodotti fitosanitari, siamo ancora piuttosto indietro. Il Pan si fonda su alcuni pilastri, che vanno dalla formazione degli operatori alla verifica periodica dell’efficienza delle macchine impiegate per la distribuzione, fino alla sensibilizzazione del legislatore riguardo alla tutela della popolazione e delle aree critiche.

Se la formazione degli addetti è un fatto ormai acquisito, la verifica periodica delle macchine irroratrici è tuttora incompleta, con notevoli differenze territoriali e soggettive: per i contoterzisti la percentuale è prossima al 100%, mentre per gli agricoltori siamo appena alla metà.

Ma la colpa non è solo degli operatori, perché il Pan avrebbe dovuto essere rinnovato a fine 2019 o al massimo nei primi mesi del 2020: nonostante la consultazione pubblica si sia conclusa da anni, il nuovo Piano è ancora scritto nel libro delle buone intenzioni. Magari nel resto d’Europa le cose vanno meglio, ma se la situazione generale fosse simile a quella italiana, quali rassicurazioni potremmo dare a chi, al di là delle strumentalizzazioni politiche, ha davvero paura degli agrofarmaci?

Agrofarmaci fra silenzi e grida - Ultima modifica: 2023-04-05T18:18:38+02:00 da K4

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