Lavorazioni, l’agronomia in primo piano

Esaminiamo pregi e difetti delle tre principali tecnologie per la gestione della terra e per la preparazione del letto di semina

La tormentata vicenda del più diffuso erbicida totale ha contribuito ad accelerare la ricerca di nuove soluzioni per ridurre l’impiego dei fitofarmaci, anche se non sarà mai possibile eliminarli del tutto (e chi lo afferma, dice il falso). Negli ultimi anni la pandemia ha portato a rivalutare il ruolo della scienza e della tecnologia: magari avremmo preferito che ciò avvenisse senza lutti, sofferenze e timori per il futuro del genere umano, ma è comunque il fiore nato dalle rovine.

Il conflitto esploso fra Russia e Ucraina – ma latente da oltre un decennio – ci spinge a riflettere sulla crisi del mercato globale, che non sembra più un modello prioritario. L’Unione europea era nata infatti per assicurare ai cittadini la libertà di fare impresa, la libera circolazione delle persone e delle merci, lo sviluppo equilibrato e sostenibile, ma senza cadere negli eccessi del socialismo reale, da una parte, e del capitalismo sfrenato, dall’altra. La globalizzazione ha mostrato i suoi limiti: in tempi di stabilità spinge a spostare la produzione dove costa meno, senza tanti scrupoli sulla tutela della persona o dell’ambiente; e se si chiudono le frontiere, mette in crisi sia chi produce, sia chi si fonda sulle importazioni.

L’aratura sicuramente ha il pregio di ridurre o inattivare la capacità germinativa delle malerbe

Un effetto già visto con la pandemia, quando scarseggiavano i presidi medici, la cui produzione era stata improvvidamente spostata in Estremo Oriente; una lezione che non è servita (né in Italia né in Europa), come dimostrato dalla crisi Ucraina che ha rinnovato i disagi già visti. È singolare che proprio il Paese che aveva inventato l'autarchia sia tanto dipendente dalle importazioni: abbiamo perduto in pochi anni acciaierie, zuccherifici, industria petrolchimica e dei fertilizzanti, al punto da non coprire che una minima parte del nostro fabbisogno. Lo stesso fenomeno si è ripetuto in agricoltura, che sostiene solo una parte del “made in Italy”; per fortuna all’estero si guarda alla produzione, non all’origine della materia prima, perché diversamente rischieremmo il crollo delle nostre esportazioni.

La destabilizzazione del tessuto produttivo ha influenzato la mentalità e le scelte degli agricoltori; chi aveva assunto un atteggiamento opportunistico si è ricreduto dopo il crollo dei prezzi agricoli, mentre gli altri hanno iniziato a porsi qualche domanda. Quando il prezzo del gasolio è schizzato a 1,50 euro al litro, gli schemi tradizionali sono stati messi in discussione, a partire dal razionale impiego delle risorse. Quella che era stata inizialmente identificata come “agricoltura blu”, perché orientata al risparmio energetico e quindi con un effetto indiretto sull’ambiente, può diventare una traccia su cui costruire un modello più equilibrato per la gestione del terreno agrario.

Per le lavorazioni ridotte il mercato offre molteplici possibilità di combinazione fra utensili di forma e caratteristiche diverse

Un quadro generale

Scartando i punti critici – come il ricorso agli erbicidi totali, rivelatosi contraddittorio – e prendendo gli aspetti positivi, come la valorizzazione della sostanza organica, le tecniche conservative possono rivelarsi vincenti perché aumentano fertilità e resa, riducendo costi e impatto ambientale. Gli apporti di sostanza organica non devono però limitarsi solo ai reflui zootecnici – che talvolta possono mancare – oppure ai residui colturali, ma devono prevedere l’impiego di colture non necessariamente produttive, come quelle di copertura o da sovescio. Attualmente il grado di diffusione di queste nuove tecniche è ancora limitato, ma esiste già un forte nucleo di agromeccanici che le applicano e ne sono soddisfatti; la sperimentazione, avviata da vari istituti universitari, sta trainando un crescente interesse anche da parte degli agricoltori.

Per aiutare i lettori a confrontarsi con le problematiche in gioco è opportuno esaminare, magari in modo un po’ scolastico, pregi e difetti delle tre principali tecnologie per la gestione della terra e per la preparazione del letto di semina. Bisogna aggiungere che la ricerca sta lavorando con impegno per comprendere appieno le tante interazioni che si verificano fra l’apparato radicale, il terreno e la complessa fase biologica che ci vive, in cui organismi piccoli e grandi possono migliorare o peggiorare la fertilità. La visione completa di questo quadro sembra essere ancora lontana, per la difficoltà di capire come i vari fattori possono combinarsi e interagire; nel frattempo dobbiamo ragionare in termini pratici e limitarci agli effetti più macroscopici.

Per le lavorazioni ridotte il mercato offre molteplici possibilità di combinazione fra utensili di forma e caratteristiche diverse

Preparazione tradizionale del letto di semina

L’aggettivo non vuole evocare sistemi atavici e macchine obsolete, anzi, è proprio uno di quelli più vivaci dal punto di vista della progettualità e dell’innovazione, grazie agli alti volumi di vendita, e si articola su tre fasi principali:

- aratura, eseguita con aratri a vomere e versoio oppure rotoaratri; sempre meno diffuso è l’impiego degli aratri a dischi, che nel passato avevano trovato sostenitori grazie al minor sforzo di trazione richiesto; la lavorazione determina l’inversione della stratigrafia, portando il terreno superficiale in profondità e viceversa;

- lavorazioni secondarie (ripassi), eseguite con utensili azionati dal motore (ad azione più energica) o folli, in tal caso combinati su più ranghi (frangizolle);

- preparazione finale: può essere completata con il passaggio di un erpice a denti elastici, con eventuale affinamento finale con erpice Howard.

Le tecniche conservative possono rivelarsi vincenti perché aumentano fertilità e resa, riducendo costi e impatto ambientale

Nonostante la diversificazione delle attrezzature possiamo riconoscere alcuni elementi comuni:

- lavorazioni profonde ed energiche;

- rimescolamento degli strati superficiali e profondi;

- prevalenza dei tagli orizzontali in profondità e di quelli verticali in superficie;

- intervallo temporale significativo fra le varie operazioni.

L’applicazione di queste tecniche comporta vari effetti, positivi e negativi, che sono evidenziati nella Tab. 1.

Lavorazioni ridotte, a superficie intera

Rappresentano la categoria più eterogenea perché comprendono una moltitudine di attrezzature, talvolta concepite per condizioni agronomiche e fondiarie diverse da quelle che possono presentarsi in Italia, ma che hanno in comune il ridotto consumo di energia per ettaro.

Elenchiamo di seguito alcune combinazioni tipiche:

- la tecnica si fonda su una lavorazione principale svolta da attrezzature a utensili fissi che effettuano un taglio in direzione verticale; l’utensile può essere completato da zappe trasversali per aggiungere un taglio sub orizzontale che ha lo scopo di frantumare le zolle;

- altri utensili, solitamente fissi o folli, hanno il compito di completare la frantumazione del terreno, seguendo però le discontinuità fra gli aggregati naturali;

- entrambi i gruppi di operazioni possono essere svolti da un’unica macchina combinata, che assume una notevole lunghezza, comprendendo più telai articolati che portano i vari tipi di utensili.

Rispetto alla tecnica convenzionale, in cui prevale l’azione di taglio e che consente di lavorare anche in condizioni di forte umidità, nelle lavorazioni ridotte l’utensile esegue una sorta di martellamento sugli agglomerati del terreno, che diventa efficace solo aumentando la velocità ad almeno 2 m/s, ossia più di 7,2 km/h. Alcuni utensili sono montati su supporto elastico (o integrati con esso) proprio per incrementare tale azione: l’elemento a molla cede e si carica restituendo poi di colpo l’energia accumulata.

Lo strip tillage è particolarmente indicato quando si impiegano liquami o digestato, che devono essere interrati contestualmente alla distribuzione

Il mercato offre molteplici possibilità di combinazione fra utensili di forma e caratteristiche diverse, che tuttavia si possono ricondurre alle seguenti tipologie:

- prevalenza delle linee di taglio verticali (discissura);

- le lame orizzontali hanno solo lo scopo di favorire la frantumazione degli aggregati;

- gli utensili sono fissi o folli.

Nella Tab. 2, come per le altre lavorazioni, sono riportati pregi e difetti di questa operazione che rappresenta una delle migliori alternative alle lavorazioni convenzionali, ma che deve ancora entrare nella mentalità corrente dell’agricoltore.

Minima lavorazione su una parte della superficie

Questa tecnica riduce considerevolmente il volume di terreno lavorato rispetto alle altre lavorazioni ridotte e, a maggiore ragione, rispetto al convenzionale, diminuendo il consumo di energia. Fondamentalmente si divide in due grandi gruppi:

- lavorazione a strisce propriamente detta (in inglese strip tillage), su una larghezza e profondità di scala decimetrica, svolta da apposite macchine;

- lavorazione eseguita dalla seminatrice da sodo, che si svolge su una larghezza e profondità di pochi centimetri, che rappresenta un po’ un caso particolare di strip tillage.

La prima è una minima lavorazione che prepara solo la fascia di terreno su cui si svolgerà la semina (a file) e nel cui ambito si svilupperà la pianta nelle sue prime fasi vegetative, fino alla completa chiusura dell’interfila, quando termina la competizione con le infestanti. Questa tecnica è incompatibile con la semina a righe equidistanti, perché di fatto estenderebbe la lavorazione all’intera superficie; tuttavia sono già disponibili soluzioni tecniche che consentono la semina a file binate, come si faceva un tempo, quando il grano si diserbava con la sarchiatura. La lavorazione a strisce è particolarmente indicata quando si impiegano liquami o digestato, che devono essere interrati contestualmente alla distribuzione, perché l’interfila, non essendo mai stata lavorata, come invece avviene con altri cantieri, rimane sempre praticabile.

La seconda ipotesi è un caso particolare di lavorazione a strisce (molto strette) a profondità pari a quella di deposizione del seme, che si trova a contatto con lo strato indisturbato e quindi interessato dalla risalita capillare, anche in condizioni di forte carenza idrica.

Nella Tab. 3 vengono esaminati i principali vantaggi e svantaggi di queste due tecniche colturali, simili fra loro nell’impostazione tecnica ma con effetti molto diversi.

Lavorazioni, l’agronomia in primo piano - Ultima modifica: 2023-05-22T10:41:34+02:00 da K4

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