Biogas, le strategie per andare avanti

Il punto sulle opzioni a disposizione di un imprenditore che abbia un impianto in attività. O che ne stia realizzando uno in questi mesi

La fine del periodo di incentivazione che si avvicina, un decreto in arrivo – ma già in ritardo – e almeno cinquecento impianti a rischio spegnimento, per un potenziale deficit di energia elettrica di oltre 600 MWe, anche se stando ad alcune stime si potrebbe sfiorare quota 1.000, proprio mentre si ripete quanto sia importante ridurre la nostra dipendenza da fonti energetiche estere (e russe in primo luogo).

Il mondo del biogas vive un’estate col fiato trattenuto, tra speranze per un futuro, che comunque si prospetta positivo viste le tariffe di energia elettrica e metano, e l’incertezza per i tempi della politica.

Dal Biometano 2 al Biometano 3

La situazione legislativa è abbastanza nota agli addetti ai lavori, ma la riassumiamo per completezza di informazione. La Direttiva Ue 2018/2001, nota anche come Red II e nata per promuovere le fonti energetiche rinnovabili, è stata accolta dall’Italia con il Decreto Legislativo 199/2021, entrato in vigore nel dicembre scorso. In esso si prevede che un decreto interministeriale stabilisca regole, requisiti e incentivi per lo sviluppo del biometano in Italia. Questo decreto, noto nel settore come Biometano 3, dovrebbe sostituire il Biometano 2 (Dm 2 marzo 2018), che regola attualmente la materia. Secondo il legislatore, il nuovo decreto doveva essere promulgato entro giugno, ma evidentemente è slittato: si parla di dicembre, senza però certezze. Esiste tuttavia una bozza, attualmente in fase di discussione in sede Ue. Se ne conoscono dunque, a grandi linee, i principi.

Al di là delle nuove installazioni, il nodo forse più caldo è quello della riconversione degli impianti destinati a produrre energia elettrica. Un’iniziativa prevista dal Pnrr, che ha messo a disposizione, per nuovi impianti e riconversioni, 1,73 miliardi di euro. L’obiettivo è ottenere 236mila metri cubi/ora di biometano dagli attuali impianti a destinazione elettrica. In realtà, secondo il Consorzio Monviso Energia, una stima realistica prevede la conversione di circa 510 impianti, per un potenziale di produzione di 93.200 mc/ora.

Il regime incentivato per i piccoli impianti resterà in vigore per tutto il 2022 grazie al Milleproroghe

Le scelte per gli imprenditori

La conversione al biometano è una scelta quasi obbligata per chi è ormai alla fine del regime incentivato. La data di effettiva scadenza varia a seconda dell’anno di attivazione e della norma in vigore in quel periodo, ma dal momento che il boom del biogas si è avuto a inizio millennio, è facile immaginare che nei prossimi anni, se non mesi, per parecchi impianti finirà la tariffa agevolata. Per essi non è prevista, al momento, alcuna proroga. Con i costi attuali delle biomasse, e considerando che gli impianti più grandi funzionano generalmente con colture dedicate, il rischio di non pareggiare i conti è concreto. Cerchiamo allora di fare il punto sulle opzioni a disposizione di un imprenditore, in funzione della taglia d’impianto che gestisce o intende realizzare.

Fino a 100 kW. Gli impianti più piccoli sono anche quelli più protetti dalle normative, in funzione del fatto che utilizzano prevalentemente, se non esclusivamente, sottoprodotti e reflui. Secondo quanto previsto dal Decreto 23 giugno 2016 e ribadito dal decreto Milleproroghe, chi vuol costruire un impianto di piccola taglia può utilizzare il meccanismo dell’accesso diretto. In altre parole, si realizza l’impianto e si presenta domanda di incentivo direttamente al Gse (Gestore dei servizi energetici). Questo sistema resterà in vigore fino all’emanazione del decreto Fer 2 (Fer sta per Fonti Energetiche Rinnovabili). Quest’ultima è una norma ministeriale tesa a favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili a elevato costo di esercizio, come appunto il biogas.

Fino a 300 kW. La tariffa agevolata per impianti di biogas fino a 300 kW era stata fissata dal decreto 23 giugno 2016. Alla sua scadenza, vista la sopracitata volontà di tutelare le piccole installazioni, la norma è stata sistematicamente prorogata. Nel 2022 ci ha pensato il decreto Milleproroghe. Per aderire alla misura è però necessario attendere che il Gse pubblichi il registro 2022, che sostanzialmente replica le modalità previste lo scorso anno. Gli impianti che entrano in esercizio entro il 31 dicembre 2022 possono comunque decidere se aderire al meccanismo attuale o a quello che entrerà in vigore con il decreto Biometano 3.

Grandi impianti. I biodigestori da 1 MW e oltre furono i primi a essere realizzati, complici i generosi incentivi decisi per avviare il settore e le poche restrizioni in materia di alimentazione. Di conseguenza sono anche la maggioranza di quelli che si avvicinano alla scadenza. Secondo il Consorzio Monviso, ben 500 di essi potrebbero pensare alla chiusura, terminati gli incentivi, lasciando un vuoto importante nella produzione nazionale di energia da fonti rinnovabili. Secondo altre fonti, gli impianti a rischio sarebbero un migliaio, per circa 900 mWe.

La riconversione a biometano

Le alternative allo stop sono, al momento, due: la riconversione a biometano, con i limiti e le criticità che vedremo tra breve, o l’accesso al libero mercato: un’opzione che, peraltro, è attuabile anche da chi abbia impianti di dimensioni inferiori, in linea teorica.

Partiamo però dalla riconversione. Lo Stato, nella bozza del decreto Biometano 3, si dice disponibile a finanziare fino al 40% degli investimenti necessari, oltre a fornire un incentivo sul prezzo del biometano venduto.

Tuttavia, i costi di questo processo rischiano di essere tali da renderlo economicamente impraticabile. A pesare maggiormente sono le spese per la purificazione (upgrade) e la compressione del metano, ma anche per il collegamento dell’impianto alla rete nazionale: si parla di circa 1.000 euro per metro di conduttura e se consideriamo che alcuni digestori distano chilometri dalla rete del metano, i conti sono presto fatti.

Per questo motivo, da più parti arrivano richieste per prorogare il regime di aiuto alla produzione di energia elettrica, al fine di non destinare alla dismissione strutture che possono contribuire in maniera significativa alla decarbonizzazione.

L’accesso al libero mercato

In alternativa, e come abbiamo accennato poco sopra, gli impianti per i quali sono scaduti i termini dell’incentivo possono comunque rivolgersi al mercato. Gli agricoltori che producono energia sono infatti liberi di venderla al miglior offerente, come per qualsiasi altro prodotto della loro azienda.

Stanti i prezzi attuali, è una possibilità concreta. Vi sono per esempio alcuni casi, in Italia, di partnership tra biodigestori di matrice agricola e aziende municipalizzate interessate ad acquistare energia elettrica a costi adeguati e con in più la garanzia di provenienza da fonti rinnovabili.

In questa foto un impianto per trasformare il biogas in biometano. Secondo il Pnrr entro dicembre 2023 almeno 300 trattori convenzionali dovrebbero essere sostituiti da modelli alimentati a biometano e dotati di tecnologia per l’agricoltura di precisione
Secondo il Pnrr entro dicembre 2023 almeno 300 trattori convenzionali dovrebbero essere sostituiti da modelli alimentati a biometano e dotati di tecnologia per l’agricoltura di precisione

I limiti della bozza

Il decreto Biometano 3 – quello che doveva essere pronto a fine giugno, per capirci – è ancora in fase di discussione, ma la bozza circolata in autunno è stata già valutata dalle parti in causa.

Un’analisi da cui sono emerse alcune criticità, legate soprattutto ai già citati costi di conversione degli impianti esistenti, che non sarebbero coperti se non in misura minoritaria dalla mano pubblica, e ad alcuni requisiti necessari per accedere alla tariffa incentivata.

Per esempio l’obbligo, per gli impianti siti in Zona vulnerabile ai nitrati, di adottare un’alimentazione costituita per almeno il 40% in peso da effluenti zootecnici. Si critica inoltre la scelta di applicare i criteri di sostenibilità anche agli impianti sotto i 200 Smc/h, pari a circa 800 kWe.

Il decreto Fer 2

Infine, stanno circolando anche le bozze del decreto Fer 2, nato per sostenere la produzione di energia da fonti rinnovabili secondo gli obiettivi europei 2020-2030.

Al riguardo, il mondo agricolo ha avanzato alcune proposte:

- prevedere una tariffa di riferimento che garantisca la copertura dei costi e un’equa remunerazione degli investimenti;

- non inserire meccanismi di ribasso o riduzione annua ed eliminare i criteri di realizzazione legati alla distanza dalla rete del gas;

- e per gli impianti esistenti, da più parti si propone un sistema di contributi per gli impianti ormai arrivati alla fine del periodo di tariffa incentivata, visto che si prevede che soltanto pochi di essi possano convertirsi al biometano.

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Una buona opportunità

Le attività di servizi svolte per conto delle centrali di produzione di biogas sono ormai divenute un buon affare per gli agromeccanici, specialmente dopo il superamento della fase pionieristica che, in un primo tempo, aveva favorito l’ingresso sul mercato di contoterzisti improvvisati.

Ora che la professionalità sta diventando la regola, restano ancora aperte varie problematiche di non facile soluzione, come quelle relative all’impiego dei carburanti agricoli per la raccolta e l’insilaggio delle colture destinate alla digestione anaerobica.

Il contoterzista incaricato di tali operazioni deve verificare, parlando con il gestore dell’impianto, se le superfici coltivate sono iscritte a suo nome nell’anagrafe delle aziende agricole: diversamente, le macchine impiegate nei vari cantieri non potrebbero essere alimentate con il gasolio agricolo.

La norma, contenuta nella legge di bilancio 2015, ammette all’impiego del gasolio agricolo i soli terreni iscritti nell’anagrafe nazionale: questo vale, naturalmente, sia per i lavori eseguiti per conto proprio dall’azienda agricola, sia per i servizi prestati dall’impresa agromeccanica. Essendo trascorsi diversi anni, ormai tutte le regioni hanno recepito l’innovazione normativa e contestano regolarmente le infrazioni, nel caso in cui – per esempio – gli ettari lavorati per conto dell’azienda agricola che gestisce l’impianto superano quelli iscritti in anagrafe.

È bene ricordare che il parametro di consumo riconosciuto dalle tabelle ministeriali (ettaro-coltura) è spesso insufficiente rispetto al reale fabbisogno per vari motivi che è bene ricordare:

• nelle tabelle non si è tenuto conto dei consumi reali ma di valori di letteratura riferiti ad una trinciatura più grossolana;
• per il trasporto del trinciato il valore è sufficiente per una azienda accorpata, ma non per una con terreni distanti dal silo;
• lo stesso vale per l’insilaggio – inspiegabilmente parametrato a superficie – che costituisce una fase fondamentale per la riuscita della fermentazione lattica: i litri assegnati sono troppo pochi per una compressione ottimale;
• il valore stabilito dal D.M. 30/12/2015 per i trasferimenti, che dovrebbe essere assegnato alle aziende agricole con terreni non accorpati ed alle imprese agromeccaniche, viene applicato in modo improprio.

É bene aggiungere che dal 2015 le assegnazioni di carburanti agricoli sono soggette al taglio lineare del 23%, con il risultato che l’assegnazione di gasolio agricolo per le lavorazioni sulle colture dedicate alla produzione di biogas è marcatamente insufficiente. Nonostante la produzione di energie rinnovabili sia considerata fondamentale, non solo per i riflessi ambientali ma anche in termini di approvvigionamento energetico, le agevolazioni sul gasolio finiscono per penalizzare le colture destinate alla trasformazione.         R.G.

Biogas, le strategie per andare avanti - Ultima modifica: 2022-11-03T15:05:23+01:00 da K4

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