I decani del contoterzismo

Fabio e Lorena Parma, attuali titolari dell’azienda di famiglia
L’azienda della famiglia Parma nel Bolognese risale al 1957

L’azienda della famiglia Parma di Budrio (Bo) non è la più antica d’Italia, pur essendo tra quelle di vecchia data, ciò nonostante è legata a filo doppio con la storia della meccanizzazione italiana o quantomeno emiliana. Ascoltando la voce di Ivano Parma, uno dei due fondatori, ormai ritiratosi dall’attività, si ripercorrono i decenni che hanno portato il nostro Paese da un’agricoltura di stampo ottocentesco alla meraviglia tecnologica attuale. Cominciamo allora il nostro reportage con un tuffo nel passato.

«Mio padre e mio zio iniziarono l’attività nel 1957, praticamente senza un soldo», ricorda Fabio Parma, che con la cugina Lorena è oggi titolare della ditta. D’obbligo, allora, lasciare la parola a Ivano, padre di Fabio e zio di Lorena, che 66 anni fa iniziò a fare il trebbiatore con il fratello Nerio, ora scomparso. «In quegli anni si faceva fatica. Prendemmo la prima macchina senza avere soldi, accordandoci con il venditore. Era una Laverda M60, una delle primissime mietitrebbie italiane; ce la vendette Emilmacchine, in società con il sig. Maccaferri. La seconda macchina fu una Leo Claeys, una MZ. Poi ne arrivò un’altra, una M103, e via via fino ad arrivare a oggi, quando le macchine in azienda sono dieci. La vuol sapere una cosa divertente? La decima l’abbiamo comprata per trebbiare sulla nostra terra: avendo sempre tante richieste dai clienti, il nostro grano era l’ultimo a essere raccolto, così abbiamo comprato una macchina apposta per noi. Ma, ciò nonostante, il nostro grano continua a essere tagliato in ritardo».

Ivano Parma corre coi ricordi, per lui le sigle che cita sono pezzi di vita. Ma per chi non avesse pratica con la meccanizzazione agricola degli anni Sessanta, s’impone una breve parentesi. Leo Claeys era un fabbro belga, che all’inizio del 900 aveva iniziato a costruire trebbie. Nel 1952 fabbricò la prima trebbiatrice semovente o mietitrebbia: La MZ, appunto, costruita fino alla fine degli anni Cinquanta, quando passò alla M103 (la seconda macchina citata da Parma). La sua officina aveva sede a Zedelgem e questo ai lettori farà certamente accendere una scintilla: la Leo Claeys divenne infatti Clayson nel 1967, tre anni dopo essere stata rilevata da Sperry New Holland. Passarono altri vent’anni e vi fu la fusione con Ford. Poi, nel 1991, la società finì sotto il controllo di Fiatagri, diventando la New Holland che tutti conosciamo.

New Holland da sempre, ma i trattori…

A parte la prima parentesi con Laverda, i Parma hanno sempre avuto in azienda mietitrebbie New Holland: anche oggi, tutte e dieci le loro macchine sono giallo-azzurre (o giallo-nere, per i modelli meno recenti). A esse si aggiunge una trincia FR 780, acquistata un anno fa in sostituzione di un’altra FR. Questo ci dice due cose: i Parma sono in primo luogo trebbiatori e sono anche, da sessant’anni, fedeli alle macchine in giallo. «La trebbiatura in effetti ha uno spazio primario nella nostra azienda: non a caso abbiamo dieci macchine, tutte attive durante la stagione e tutte con una media di 400-500 ore di lavoro l’anno», conferma Fabio. «Quando siamo nel pieno – interviene Ivano – arriviamo a 35 persone impegnate nei diversi cantieri. Del resto, da giugno in poi si corre: prima orzo e grano, poi i prodotti da seme, quindi il sorgo, il mais e in contemporanea le bietole». I Parma, quindi, oltre a trebbiare e trinciare, raccolgono anche bietole. «Del resto, non si possono fare soltanto cereali: vale per noi, ma anche per gli agricoltori. La bieticoltura in zona regge – prosegue Fabio – grazie alla Coprobi di Minerbio: finché resiste lo stabilimento, resisteranno anche i bieticoltori qui nel Bolognese». «E questo – interviene Lorena – nonostante negli ultimi anni le rese non siano state il massimo, anche a causa della siccità. Ma i prezzi sono buoni e la gente, appunto, qualcosa deve seminare».

Torniamo però a parlare di macchine: gialle quelle da raccolta, ma i trattori? «Di Cnh abbiamo parecchia roba, soprattutto medio-piccola. Ma abbiamo anche diversi Fendt: un 936, un 828, un 724 e poi qualche 120 cavalli». Completano la dotazione Agco l’MT 1156 e un paio di 700 della Challenger, tutti forniti da Reni Macchine. «Con loro lavoriamo bene, come del resto lavoriamo bene con il Consorzio Agrario». La memoria storica delle concessionarie è però, al solito, Ivano: «Con il Consorzio abbiamo una lunga frequentazione, ma in passato abbiamo collaborato con la Emilmacchine di Alessandro Saccani: prima Clayson, poi Ford-New Holland e successivamente New Holland». Saccani, ci spiega la famiglia, contribuì in modo determinante a orientare l’azienda e a darle la spinta iniziale ed è dunque anche grazie alla sua azione se i Parma sono oggi titolari di questa bella realtà.

Non soltanto conto terzi

Che i Parma siano trebbiatori per storia e vocazione è chiaro, come è chiaro che non facciano soltanto quello. «Oltre alla raccolta – interviene Lorena – facciamo molta aratura, preparazione del terreno, trattamenti». C’è poi il ciclo della medica, che, come spiega Fabio, in zona ha un significato particolare. «Siamo vicini a Medicina, considerata una delle aree con la medica migliore d’Italia. Anche qui a Budrio è eccellente: questioni di terreno, probabilmente. A ogni modo, la coltivano in tanti e noi ce ne occupiamo, chiaramente». Un’altra particolarità di un territorio che cerca alternative ai cereali sono le coltivazioni da seme: «Risentiamo di una specificità romagnola. Pian piano, dall’Imolese le colture da seme si sono spostate verso di noi, per cui trebbiamo diversi ettari in questo settore particolare, che ha specifiche rigorose, per le quali occorrono accorgimenti come vagli speciali e simili».

Un rapido sguardo al parco macchine, con trattori da 400 cavalli e oltre, lascia intendere che le lavorazioni profonde non sono state abbandonate. «No, tutt’altro. In zona si fa ancora aratura. Se mai, si sono ridotte le profondità, da 50 cm a 40, ma pochi rinunciano a girare il terreno. E li capisco: fatte le prove, le produzioni non sono identiche. In una zona di terreni argillosi come questa, arare ha ancora un senso». I Parma, in effetti, hanno anche diversi ettari in proprietà e affitto. «È una scelta storica per noi. La fecero, in tempi in cui non era scontata, mio padre e mio zio», ci spiega Lorena. «Quando si liberava un pezzetto di terra, lo compravano o affittavano, per aver qualcosa da fare nei tempi morti del terzismo. Oggi si dimostra una scelta indovinata». La conferma arriva dal cugino: «Anche se abbiamo parecchio lavoro, c’è sempre la giornata in cui si ha poco da fare. Allora lavoriamo sui nostri terreni, del resto abbiamo quattro dipendenti fissi».

Azienda evoluta

In azienda i tempi morti si riempiono in parte con la coltivazione dei propri terreni, in parte con il lavoro di officina, come fanno tanti agromeccanici, o meglio come facevano un tempo. «A noi piace fare ancora le riparazioni; almeno quelle che riusciamo. Con i costi della manodopera che chiedono in officina, del resto, è anche un lavoro che rende. Senza contare che quando si portano le macchine a riparare, prima di vedersele restituite passano settimane e a noi spesso servono subito».

Le riparazioni in proprio si fanno naturalmente fin che si può. Non, per esempio, con i problemi elettronici e oggi i trattori di elettronica ne hanno sempre di più. I Parma lo sanno bene e ne sfruttano le potenzialità: le macchine da raccolta sono tutte dotate di mappatura delle rese e le più recenti anche dei sistemi di telemetria Plm di New Holland. «La mappatura, che fino a qualche anno fa sembrava un accessorio superfluo, sta diventando indispensabile. È il punto di partenza per qualsiasi ragionamento di agricoltura di precisione e ormai molti clienti ce la chiedono. Anche piccole aziende, che non hanno i mezzi e i fondi per fare vera precision farming. Ma guardando le rese, per esempio, aumentano il concime nei campi o nelle zone che producono meno. È una forma di dosaggio variabile un po’ approssimativa, magari imprecisa, ma dà già un risultato».

Se da un lato la tecnologia semplifica il lavoro, dall’altro può anche complicarlo. Come quello d’ufficio: «L’ostacolo maggiore che riscontriamo – ci spiega Lorena – è l’incomunicabilità tra sistemi di produttori diversi. Noi abbiamo, per esempio, macchine Agco e Cnh. Entrambe con i sistemi di mappatura, raccolta dati eccetera, ma farli comunicare è impossibile. Così ci tocca rifare due volte la mappatura dei terreni, perdendo tempo inutilmente. È abbastanza paradossale che sistemi elettronici così avanzati non siano in grado di passarsi le informazioni».

I decani del contoterzismo - Ultima modifica: 2023-04-24T07:07:49+02:00 da Roberta Ponci

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