Un trattore di ultima generazione è in grado non soltanto di seguire un tracciato virtuale, ma di svoltare a fine campo e agganciare una delle linee su cui ancora non è passato. Se aggiungiamo le memorie di fine campo, che ripetono una sequenza di comandi ben precisa cadenzando anche l’intervallo di tempo che intercorre tra uno e l’altro, cosa manca perché questo trattore possa lavorare da solo? Tecnicamente, nulla o quasi. Già oggi, opportunamente programmato, un trattore messo all’inizio del campo potrebbe lavorarlo per intero. Questo, almeno, a un primo sguardo: una cosa, infatti, è replicare una sequenza di operazioni finita, un’altra è reagire alle mille diverse situazioni che possono presentarsi, molte delle quali impreviste e imprevedibili a inizio attività. È la differenza tra guida automatica e guida autonoma: due termini che soltanto in apparenza sono sinonimi, come vedremo a breve. Detto più banalmente, è la differenza che passa tra un software evoluto e quella che si chiama invece Intelligenza Artificiale (nel senso più proprio della definizione, purtroppo abusata, oggi).
Non è un problema di tecnologia
Se la tecnica bene o male esiste, o comunque potrebbe essere messa a punto in breve tempo, sul piano normativo le cose cambiano in quanto, sostanzialmente, non c’è nessuna legge che regoli, oggi, la guida autonoma. Si assiste insomma a un netto ritardo nell’adeguamento normativo ai progressi tecnologici; il che del resto non sorprende, se si pensa al ritardo con cui si è arrivati a legiferare sul fenomeno Internet, per esempio.
Quello normativo è comunque un argomento estremamente complesso, in cui i dettagli sono non soltanto importanti, ma spesso decisivi per orientare la giurisprudenza. Per questo motivo abbiamo deciso di affrontare l’argomento chiedendo delucidazioni a un’esperta: Francesca Hennig-Possenti, giurista in Italia e Germania e attualmente Senior Counselor di John Deere Europa. In altre parole, colei che si occupa delle questioni giuridico-normative per il colosso statunitense, a livello europeo.
La prima domanda è ovvia: un trattore può, oggi, guidarsi da solo? «La risposta dipende dall’angolo di osservazione: dal punto di vista tecnologico quasi ci siamo, mentre sotto il profilo giuridico manca, attualmente, una normativa in materia, in qualsiasi direzione. Ciò nonostante, le macchine autonome non possono essere omologate su strada, quindi al momento non possono circolare. E questo vale sia per i mezzi agricoli sia per le automobili. Soltanto in Germania, recentemente, è stata autorizzata l’omologazione di un’auto per la guida autonoma in autostrada, purché a velocità non superiori ai 60 orari. Può sembrare poca cosa, ma è una svolta importante, perché apre una strada che sarà presto seguita da altri».
Negli Usa, però, siamo più avanti. «In quel paese vi sono meno vincoli a priori. Si preferisce intervenire casomai a posteriori, con sentenze estremamente punitive: i cosiddetti punitive damages. Per cui vi è forse più libertà per il costruttore, ma anche maggior rischio di essere condannati a risarcimenti milionari».
Per le auto il cammino sembra tracciato. E per i trattori? «Parliamo di un ambito totalmente diverso. A differenza delle auto, il trattore opera per la maggior parte del tempo in campo, in un ambiente in cui non vi dovrebbero essere altri veicoli né persone, a eccezione dell’operatore. Infatti, il maggior rischio, nell’ipotetico caso di un trattore autonomo, sarebbe per l’operatore stesso. Tuttavia, i trattori si spostano anche su strada e una volta immessi in una pubblica via sono veicoli come tutti gli altri. Hanno dunque una doppia natura».
Automatico e autonomo
È però un fatto che oggi, in campo, i trattori già si “guidano da soli” per una buona parte del tempo. «C’è una grossa differenza tra una guida automatica e la guida autonoma. La prima consiste nell’esecuzione di un comando ben preciso, che può essere interrotto in ogni momento dal conducente. Nella guida autonoma è richiesto che sia la macchina a prendere decisioni: siamo totalmente su un altro piano».
Un esempio? «La guida automatica esiste già: si preme un tasto e il trattore segue una linea virtuale fino in fondo al campo o anche svoltando a fine campo. Se compare un ostacolo sul cammino, il conducente tocca il freno o il volante e riprende il comando del mezzo. Con la guida autonoma spetterebbe all’intelligenza artificiale del trattore decidere come agire di fronte a un ostacolo: aggirarlo, tornare indietro, cambiare percorso oppure passarci sopra. Ciò che caratterizza la guida autonoma è per l’appunto l’autonomia decisionale, che non ha a che fare con la presenza di un operatore a bordo o meno. È questa autonomia a determinare i maggiori problemi giuridici».
Di chi è la colpa?
Intende dire sotto l’aspetto della responsabilità? «Anche. C’è un grosso dibattito per stabilire di chi sia la responsabilità in caso di malfunzionamento. Sotto questo profilo la guida automatica presenta molte meno incognite: ci sono una macchina e un software.Se quando premo il freno il trattore non interrompe la guida automatica, può essere colpa del software o di un componente meccanico, punto. Con la guida autonoma è tutto incredibilmente più complesso. Tanto è vero che mentre la guida automatica è già regolamentata dalla Direttiva Macchine, per quella autonoma non abbiamo ancora norme specifiche».
Per quale motivo è così difficile determinare la responsabilità in caso di incidenti? «Per la complessità intrinseca all’intelligenza artificiale. Essa è, in primo luogo, basata su un algoritmo, che deve tuttavia essere “istruito”, se così possiamo dire. Per farlo occorre inserirvi dei dati, moltissimi dati. Quanti alberi si devono far vedere a una macchina per insegnarle a riconoscere un albero? Cento? Mille? Un milione? Con le foglie o senza? Con un cespuglio attorno, con pochi rami… una varietà quasi infinita. Ma poniamo anche di aver istruito a dovere il nostro sistema e tuttavia avviene un incidente. Di chi è la colpa? Di chi ha scritto l’algoritmo? Di chi ha immesso le informazioni per farlo funzionare? Del fabbricante della macchina? Di chi l’ha comprata e la fa lavorare? Siamo in una situazione in cui un costruttore, pur avendo acquistato un algoritmo ben compilato e avendo inserito correttamente tutti i dati necessari a istruirlo, può essere ritenuto responsabile di un evento avverso. Senza contare che, per sua natura, l’intelligenza artificiale continua ad apprendere durante l’uso».
E questo che problemi pone? «Complica ulteriormente la determinazione di causalità, perché accanto all’algoritmo iniziale e ai dati immessi dal costruttore, ci sono tutti i dati immagazzinati autonomamente dalla macchina durante il funzionamento. Pertanto, la causa di un problema può essere legata a un errore nell’immissione dei dati o all’esperienza accumulata dalla macchina. Pensiamo a due trattori autonomi identici, uno che lavora sui colli toscani e un altro nelle risaie della Pianura Padana. Dopo qualche anno di attività avrebbero un database esperienziale completamente diverso».
E quindi diventa ancor più difficile stabilire chi ha sbagliato. «Diciamo che stiamo parlando di un sistema probabilistico, basato su miliardi di fattori, all’interno del quale si deve ricostruire quale di questi fattori ha determinato il malfunzionamento. Un percorso molto complesso, dunque».
Contro certi rischi imponderabili esistono le assicurazioni. «Infatti, a mio parere un ruolo importante, in questa materia, sarà giocato dalle assicurazioni, con polizze specifiche per le macchine autonome. Si tratta, a ben vedere, di una scelta politica, basata su rischi e benefici. Di fronte agli innegabili benefici dell’autonomia – lavoro 24 ore su 24, massima precisione nell’uso dei mezzi tecnici, riduzione delle emissioni e dell’inquinamento – il legislatore potrebbe decidere che valga la pena correre un minimo rischio di incidenti».
Verso una normativa
Sebbene non vi siano ancora norme specifiche, ci spiega Francesca Hennig-Possenti, qualcosa a livello europeo si sta muovendo. «Al momento esiste un gruppo di lavoro che ha redatto una bozza di regolamento, destinata in generale all’intelligenza artificiale. Per questo motivo risulta piuttosto generica, nel senso che non entra naturalmente nello specifico del lavoro agricolo. Ed è anche, per alcuni aspetti, eccessivamente rigida, se rapportata alle caratteristiche del nostro settore, in cui un errore di pochi centimetri, per fare un esempio, è molto meno grave che in ambito chirurgico o su una strada trafficata».
A suo parere vedremo i trattori autonomi prima in campo o sulla strada? «Non saprei. In campo forse vi sono meno imprevisti legati ad altri veicoli o alla presenza di pedoni. In quel contesto, inoltre, esiste già l’automazione di alcune operazioni, ma sarebbe azzardato fare ipotesi in questo momento».
Non è immaginabile un funzionamento in autonomia in campo e con conducente su strada? «Potrebbe essere una soluzione, ma resterebbe il problema di far arrivare quel mezzo sul terreno di lavoro. Servirebbe sempre l’azione dell’uomo, dunque. Inoltre, anche in campo vi possono essere fattori imprevisti».
Per questo, si potrebbe delimitare l’area di lavoro con una recinzione, per impedire l’ingresso di uomini o animali. «Sì, ma non sarebbe una barriera fisica sufficiente ad arrestare un mezzo meccanico, a meno di non fare recinzioni in cemento, cosa direi impraticabile».
Per concludere, a che punto saremo tra 10 anni? «Difficile dirlo, dipende da molti fattori. Certamente il lavoro agricolo sarà completamente diverso, ma non saprei dire se sarà autonomo o invece fortemente automatizzato. Sicuramente vi saranno alcune funzioni autonome; le avremo non tra dieci anni, ma probabilmente già tra cinque. Rendere autonomo l’intero sistema è un discorso differente. Dipenderà da come si sviluppa la società e da quali reali vantaggi porterà questa autonomia. A mio parere, sono molti e se vorremo avere prodotti agricoli sufficienti per tutti e a un prezzo accessibile, questa è la strada da percorrere».