Spandimento liquami, slalom fra le norme italiane e comunitarie

La distribuzione dei liquami con interramento contemporaneo è tra le pratiche più efficaci per contenere la dispersione dell’ammoniaca nell’aria.
La distribuzione di questi prodotti è soggetta a diverse leggi, italiane e comunitarie

Il  liquame zootecnico, insieme al suo lontano parente (il digestato), condividono una fama negativa alquanto immeritata, legata a una distorsione dell’aggettivo “naturale”, sul quale hanno lavorato assai bene i veri nemici dell’ambiente. Agricoltura e ambiente non sono due entità alternative, né tanto meno possono trovarsi in contrasto tra di loro essendo indissolubilmente legate.

Certo, esistono modelli di agricoltura di confine, come quella verticale sulle facciate dei grattacieli – peraltro santificata dai media – e che in realtà fa bene all’ambiente solo perché è un’alternativa ai mega schermi per far girare messaggi pubblicitari.

Liquame zootecnico e digestato condividono una fama negativa alquanto immeritata.

E che dire di quei capannoni ermeticamente chiusi, riscaldati dall’acqua di raffreddamento di centrali a metano che producono energia elettrica immessa in rete durante di giorno (quando il prezzo si alza), e nei quali viene immessa la CO2 dei motori?

Di notte l’energia prodotta viene impiegata per illuminazione – con potenti fari a Led – per la produzione di ortaggi fuori suolo, con un ciclo definito “virtuoso” perché non emette anidride carbonica; magari non sapranno di nulla, ma ci fanno due volte concorrenza, facendoci passare per inquinatori e nemici dell’ambiente.

Degli esempi ce ne sono a bizzeffe, e purtroppo ci cascano anche nomi illustri dell’informazione: appena un anno fa uno di questi, evidentemente disinformato, arrivò a dire che la pianura padana non è inquinata dalla combustione di idrocarburi fossili, ma dal letame.

È chiaro che se il giudizio si fonda sul colore, non c'è dubbio che il liquame sia molto più scuro dei gas di scarico; se si considera l'odore, assomiglia troppo a ciò di cui, a casa nostra, ci liberiamo con sistemi automatici, coprendone le tracce con improbabili fragranze derivate proprio dagli stessi liquidi che alimentano i nostri veicoli.

Di qui a dire che l’agricoltura inquina più del petrolio, il passo è davvero breve; poco conta che lo stesso Ispra, in un convegno organizzato da Veneto Agricoltura lo scorso dicembre, abbia dovuto ribadire che il “peso ambientale”

dell’agricoltura sia appena il 7,1% del totale. Certo, può avere colpito i media il fatto che il 94% dell’effetto serra imputabile al protossido di azoto, che si forma dalla decomposizione spontanea dell’ammoniaca, derivi dall’agricoltura.

Impiego intelligente

Un effetto negativo che si potrebbe dimezzare con un impiego intelligente dei liquami, dalla copertura delle vasche alla distribuzione con interramento contemporaneo e su terreni idonei. Al riguardo, conta molto la reazione – acida o basica – del suolo: con ph fino a 7, la volatilizzazione dell’azoto in forma ureica è molto bassa, mentre può arrivare al 50% con ph intorno a 8; ma conta anche la profondità di interramento, che deve essere compresa fra 5 e 15 cm. Valori inferiori aumentano il rischio di esposizione all’aria e la volatilizzazione dell’ammoniaca, con perdita di azoto e quindi di potere fertilizzante; d’altro canto, una profondità eccessiva può portare a reazioni di riduzione (carbonizzazione) della sostanza organica, che non si trasforma in humus.

Il regolamento comunitario offre al costruttore di carri botte o di spandiletame la possibilità di continuare a omologare le macchine secondo le norme del codice della strada oppure secondo la norma europea.

Potrebbe essere interessante aggiungere che i massimi effetti di salvaguardia ambientale sono realizzabili solo negli allevamenti di tipo intensivo, dove con l’applicazione di tecniche idonee è possibile ridurre la formazione di aerosol (particolato), la dispersione di ammoniaca e il recupero del metano (un potente gas serra) grazie alla digestione anaerobica del liquame. Con buona pace degli ambientalisti da strapazzo che frequentano solo i social e non si sono mai presi la briga di fare un salto in campagna, negli allevamenti allo stato brado non si può fare nulla: dal punto di vista delle emissioni sono proprio quelli che possono presentare i maggiori problemi.

Spandiliquame e Mother Regulation

L’applicazione del Regolamento Ue n. 167/2013, a partire dal 1° gennaio 2018, ha fortemente innovato anche la normativa italiana, superata da quella comunitaria, per quanto riguarda il peso massimo ammissibile per i rimorchi agricoli e le “attrezzature intercambiabili trainate”.

Il regolamento comunitario offre in realtà al costruttore di carri botte o di spandiletame due diverse possibilità:

  • continuare a omologare le macchine secondo le norme del codice della strada, nei limiti di peso ivi stabiliti (6 t se ad 1 asse, fino a 14 t se a 2 assi e 20 t se a 3 o più assi) e regole meno stringenti dal punto di vista costruttivo;
  • i carri botte spandiliquame sono omologati solo come rimorchi, mentre gli spandiletame possono essere omologati come rimorchi o come “macchine agricole operatrici trainate”, seppure con minima portata; omologare le macchine secondo la norma europea, seppure con requisiti tecnici e costruttivi assai più severi, ma con pesi adeguati alle attuali esigenze: fino a 10 t se ad 1 asse, fino a 18-20 t se a 2 assi, fino a 24-30 t se a 3 assi e fino a 32-40 t se a 4 assi; il peso gravante sul dispositivo di traino (massimo 4 t) non rientra nel peso massimo veicolo.

Inoltre, le macchine attrezzate per distribuire prodotti sono considerate rimorchi se il rapporto fra peso totale e tara è superiore a 3, e come attrezzature intercambiabili trainate se inferiore. Ciò comporta qualche differenza di tipo amministrativo: il rimorchio è dotato di targa propria e come tale deve essere assicurato contro il rischio statico; essendo immatricolato, è soggetto all’obbligo di revisione periodica (quando sarà operativa).

È importante aggiungere che, nel caso in cui le macchine con omologazione europea fossero trainate da trattrici omologate in base al codice della strada, dotate di ganci di traino e sistemi di frenatura omologati fino a 14 o 20 tonnellate, il carico dovrà essere ridotto per restare entro tali limiti.

Tuttavia, se l’incremento dei pesi si è rivelato vantaggioso perché consente di circolare in regola, senza rischio di sanzioni per il sovraccarico (che prevedono anche detrazione di punti), viene da chiedersi se sia davvero conveniente impiegare macchine tanto pesanti. Se infatti andiamo a considerare il caso estremo, di uno spandiliquame da 40 t, trainato da una trattrice abbastanza potente (anche in campo!), che può pesare fino a 18 t, l’insieme raggiungerebbe il peso di ben 58 tonnellate. Vero è che non potrebbe mai superare i 40 km/h, ma il fatto che un convoglio del genere possa essere condotto da un neopatentato di 18 anni, con la sola patente B (seppure munito di apposito attestato di formazione professionale), coinvolge direttamente il legislatore.

Il progetto di modifica del codice della strada giacente sui tavoli parlamentari prevede un limite di peso complessivo di 44 tonnellate, uguale a quello vigente per gli autotreni e gli autoarticolati.

Non a caso il progetto di modifica del codice della strada giacente sui tavoli parlamentari, il cui iter è attualmente sospeso a causa di ben più gravi emergenze, prevede un limite di peso complessivo di 44 tonnellate, uguale a quello vigente per gli autotreni e gli autoarticolati. Il limite unificato parte dal presupposto che “la strada non sa cosa gli passa sopra”: poiché un autotreno, un autoarticolato o un convoglio agricolo fino a 44 t possono circolare senza chiedere il permesso a nessuno, bisogna che la strada (compresi ponti e viadotti) possa sostenerne il peso. Come si farà, allora, per i carri botte già omologati a 40 o 44 tonnellate? Il testo in discussione non lo dice, tuttavia è stata presentata dal Cnel una proposta di modifica, promossa e sostenuta da Cai, che consentirebbe la circolazione dei complessi più pesanti, purché muniti di autorizzazione dello stesso tipo di quella già prevista per le singole macchine agricole eccezionali.


 

Attenti all’anagrafe

Per ora si tratta solo di interpretazioni, peraltro di portata territoriale limitata, tuttavia è opportuno segnalare che sono state avanzate perplessità riguardo alla legittimità dell’impiego del gasolio agricolo per i terreni su cui vengono distribuiti liquami, ma che non risultano iscritti nell’anagrafe aziendale.

Secondo una pratica alquanto diffusa taluni agricoltori mettono a disposizione di un impianto per la produzione di energia elettrica da biogas una parte dei loro terreni, seminati a colture dedicate a scopi energetici; sugli stessi terreni viene poi distribuito il digestato secondo la migliore tecnica agronomica. Ora, se il terreno viene concesso in affitto, anche temporaneo, con la consueta formula dei “patti in deroga”, l’operazione è perfettamente regolare: l’affittuario (l’azienda agroenergetica) iscrive il terreno nella propria anagrafe aziendale e, per quanto riguarda la distribuzione del digestato, nel suo piano di utilizzazione agronomica (Pua). Ma poiché la natura umana è dominata dall’egoismo, può capitare che il concedente preferisca far figurare di condurre egli stesso il terreno, cedendo il prodotto “in piedi” all’azienda agroenergetica, che in tal modo non lo può iscrivere nella propria anagrafe aziendale.

Tale comportamento può essere determinato, per esempio, dal timore di perdere i contributi Pac; dalla possibile perdita della qualifica di coltivatore diretto (per mancanza di giornate figurative), con tutti i relativi riflessi fiscali, dall’IMU alle imposte sui redditi; oppure, nel caso che la “centrale” non sia qualificabile come agricola, dal rischio di dover dichiarare il canone di affitto. Nel caso della cessione del prodotto “in piedi” l’impiego del gasolio agricolo è illegittimo per l’azienda agricola, sia per le operazioni colturali e di raccolta, sia per lo spandimento del digestato.

L’azienda agricola è consapevole di questa situazione e può mettersi al riparo da contestazioni, per esempio impiegando su questi terreni, non iscrivibili all’anagrafe, solo gasolio per autotrazione. Per l’impresa agromeccanica, chiamata a lavorare per conto terzi, una condizione del genere può rivelarsi una vera e propria “trappola fiscale”, in quanto i terreni iscritti in anagrafe sono visibili, con mezzi legittimi, solo all’impresa che li conduce regolarmente. L’agromeccanico, ai sensi del D.M. 454/2001, è tenuto unicamente a verificare che il cliente sia iscritto al registro delle imprese (che è pubblico e consultabile da chiunque) per l’attività agricola; il fatto di non poter controllare se il terreno risulta legittimamente condotto dal cliente, tuttavia, lo espone al rischio di contestazioni per l’eventuale impiego di gasolio agevolato. Sarebbe quindi necessario che fra contoterzista e cliente si stipulasse un contratto di fornitura di servizi, che comprendesse anche queste indispensabili informazioni, oltre ai patti di natura commerciale e all’indicazione dei pericoli, presenti nell’azienda committente, per la sicurezza dei lavoratori.

Spandimento liquami, slalom fra le norme italiane e comunitarie - Ultima modifica: 2020-04-12T07:07:49+02:00 da Roberta Ponci

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