Anche in un’annata al limite, il protocollo Combi Mais garantisce redditività all’azienda. È forse questa l’unica buona notizia diffusa a Robbiano di Mediglia durante il consueto incontro di riepilogo sull’andamento della stagione. «Un’annata al limite, per l’agricoltura italiana e in particolare per la Pianura Padana e la Lombardia»: non usa mezzi termini Mario Vigo, padrino dell’iniziativa che da ormai nove anni produce mais secondo un protocollo innovativo, fatto di analisi dei dati, massima cura nell’uso dei mezzi tecnici e attenta gestione dell’acqua per arrivare a massimizzare rese e qualità della granella. «Abbiamo assistito a qualcosa che non avremmo mai immaginato e che ci ha costretti a lavorare in condizioni estreme. Per capirci – prosegue Vigo – posso dire che fatta 100 la quantità di acqua che utilizziamo solitamente, abbiamo avuto una disponibilità di 40 alla bocca di presa, mentre agli irrigatori, contando un minimo fisiologico di perdite, non è arrivato più del 35% del volume abituale».
È la fotografia di una stagione che ha visto aumenti record delle temperature, tra 2,9 e 4,2 gradi per le massime e tra 3,3 e 5,1 gradi per le minime, e un fabbisogno di acqua fortemente superiore alla media, proprio in un anno in cui l’acqua non era disponibile. «Da marzo ad agosto abbiamo contato 113 millimetri di pioggia, di cui circa 40 tra giugno e agosto. Non calcolando le piogge di fine agosto, arrivate quando il mais era ormai formato e dunque ininfluenti ai fini della quantità e qualità della produzione. Secondo le sonde di Netafim avremmo dovuto iniziare a irrigare già ai primi di maggio. Abbiamo aspettato il 25 del mese per la sub-irrigazione e inizio giugno per l’irrigazione a scorrimento in quanto, semplicemente, non avevamo acqua»: così Leonardo Bertolani, agronomo dell’azienda Folli, dove si tiene la sperimentazione, riassume le condizioni di lavoro in questa stagione. «Non c’era quasi l’umidità necessaria per seminare e dobbiamo ringraziare i 23 mm di pioggia caduti attorno al 25 aprile se il mais ha potuto germinare ed emergere». In simili condizioni, continua Bertolani, sarebbero stati necessari almeno sette turni di irrigazione. «Ne abbiamo fatti, a scorrimento, cinque, perché non avevamo altra acqua. Inoltre, viste le temperature e le condizioni del terreno, l’acqua in sommersione impiegava 22 ore per coprire l’appezzamento anziché le normali 7. Un avanzamento così lento con temperature del suolo anche di 50 gradi ha provocato frequenti danni alle radici, bloccando lo sviluppo delle piante. La cosa positiva – ha concluso l’agronomo – è che anche in un’annata unica come questa Combi Mais ha risposto in maniera ottimale, sia dal punto di vista produttivo sia qualitativo».
Rese ancora sopra la media
Pur se con un significativo calo rispetto al passato, Combi Mais ha infatti mantenuto la sua capacità produttiva ben superiore alla media. «Abbiamo avuto rese tra 118 e 120 quintali per ettaro, con punte di 160 in alcuni appezzamenti», sottolinea Bertolani. La media produttiva, diffusa dall’ufficio stampa di Combi Mais, parla di 13,5 tonnellate, a dimostrazione che oltre a eccellere in stagioni normali, il protocollo può “garantire risultati positivi rispetto alla media dell’area di riferimento anche nei periodi dominati dalle avversità climatiche”. «Il nostro obiettivo è di fare produzioni molto alte, ma al tempo stesso di non scendere al di sotto di determinati valori, che coincidono con la redditività della maidicoltura, qualsiasi siano le condizioni ambientali. Questa stagione ha dimostrato la validità di Combi Mais in situazioni estreme: è stato soltanto grazie al protocollo se si sono potute ridurre le perdite rispetto alle medie del passato», ha spiegato ancora Bertolani, illustrando per l’appunto le stime sulla redditività. «Se prendiamo un ipotetico mais coltivato con tecnica convenzionale possiamo stimare una resa, per il 2022, di circa 115 quintali per ettaro, considerando che in zona si sono avute produzioni sotto le 10 tonnellate. Con un prezzo di 370 euro per tonnellata, si ottiene un ricavo di 4.255 euro. Superiore a quello del 2021, ma con spese quasi raddoppiate: 4mila euro per ettaro circa contro i 2.100 dello scorso anno. Il risultato è un utile di 255 euro per ettaro, Pac esclusa».
Il mais per alimentazione animale prodotto dall’azienda Folli assicura invece oltre 1.000 euro di profitti, dovuti a una produzione di circa 14 tonnellate per ettaro, a fronte di 4.345 euro di spese. «Spese che – ha precisato Bertolani – sono superiori rispetto a un mais convenzionale, in quanto per aumentare le rese si usano più concimi e più irrigazione, ma quel che conta è il bilancio finale». Risultati simili sul mais per alimentazione umana, che occupava due delle quattro parcelle di cui si componevano i campi sperimentali (le altre erano seminate con un mix di ibridi per test delle aziende sementiere e con un mais da alimentazione animale che è stato trinciato anzitempo per carenza di acqua d’irrigazione). «La Plv del mais food è stata di 6.636 euro, grazie a rese di 16,2 tonnellate per ettaro e a un prezzo di 410 euro per tonnellata, mentre i costi sono arrivati a 4.668 euro per ettaro. Con un rendimento netto, dunque, di 1.968 euro, cui si associa un’eccellente qualità della granella, cosa non scontata nel 2022».
Micotossine sempre assenti
Le annate di stress idrico sono infatti un pericolo non soltanto per le rese, ma anche per la qualità della granella. «I problemi con aflatossine e fumonisine sono tipici delle stagioni calde e siccitose», ha ricordato Amedeo Reyneri, docente dell’università di Torino. «Il fatto che la granella del Combi Mais sia esente da micotossine dimostra la sua capacità di gestire lo stress termico e idrico ed è il principale risultato di questo approccio innovativo».
Da Reyneri non è arrivata soltanto un’analisi di massima della situazione sanitaria, ma anche una valutazione della stagione nel suo complesso, dello stato della maidicoltura italiana e dei motivi per cui la stessa non dovrebbe essere abbandonata. «Abbiamo assistito, nell’anno in corso, a un ulteriore crollo delle quantità, con superfici che attualmente ammontano a 560mila ettari, con una produzione stimata tra i 3,8 e i 4,2 milioni di tonnellate, contro gli 11-12 milioni di tonnellate di 20 anni fa. Complici anche le rese, inferiori mediamente del 35% rispetto allo scorso anno. Ciò a causa di una stagione senza paragoni, che dimostra come il cambiamento climatico sia già pienamente in atto. E questo significa che annate simili potrebbero ripetersi con una certa frequenza; da cui la necessità di adattarsi a questo nuovo scenario».
Un cereale sostenibile
Una possibilità per farlo è, secondo Reyneri, il protocollo Combi Mais, che si è dimostrato in grado di contenere le micotossine su valori ben al di sotto dei limiti di legge. Ciò significa, ha concluso il docente, che le partite prodotte sui terreni del Combi Mais sono facilmente vendibili, mentre molti lotti coltivati con tecnica tradizionale oggi hanno grossi problemi di commerciabilità.
L’ultima parte del suo intervento, Reyneri l’ha dedicata a sfatare il mito secondo cui il mais sarebbe poco sostenibile ambientalmente, a causa della forte richiesta di acqua e fertilizzanti che lo caratterizza. «La sostanza organica lasciata sul terreno dal mais varia tra le 3,2 e le 4,4 tonnellate per ettaro, contro 1,5 e 1, rispettivamente, di soia e girasole. Volumi che, oltre a costituire una scorta di azoto per le coltivazioni future, rappresentano un importante sequestro di anidride carbonica. Se alla normale maidicoltura aggiungiamo una cover crop, si superano le 5 tonnellate di CO2 equivalente immobilizzata nel suolo. Per i campi coltivati secondo i principi di Combi Mais, questa quota sale di un ulteriore 20%. Il protocollo – ha concluso il docente – fa meglio della maidicoltura tradizionale anche considerando l’impronta carbonica, ovvero tutto il carbonio emesso per coltivare un chilo di mais, tenendo conto di ogni cosa, dal gasolio ai fertilizzanti, dall’irrigazione al trasporto del seme. Sia in condizioni di basso sia di alto stress, secondo i nostri calcoli, Combi Mais riduce sensibilmente le emissioni di CO2 rispetto a un prodotto comune. I risultati positivi si estendono infine al rapporto tra granella prodotta e metri cubi di acqua utilizzata e alla quota di azoto assorbito, che per Combi Mais raggiunge il 90%, contro un 70% in media del mais convenzionale. Siamo, insomma, pienamente in linea con i principi del Farm to Fork».
UN PROTOCOLLO SOSTENIBILE
La parola chiave del Combi Mais cambia di anno in anno – per il 2022, profeticamente, è stato scelto l’aggettivo Smart – ma gli assi portanti del progetto restano bene o male gli stessi fin dalla sua nascita, avvenuta ai tempi dell’Expo. «Sostenibilità ambientale, economica e sociale sono i pilastri di Combi Mais. Per quanto riguarda la prima, l’obiettivo – ha spiegato Mario Vigo – è fare di più con meno, mentre la sostenibilità economica sta a significare che l’azienda deve chiudere l’anno con un bilancio in attivo, qualsiasi siano le condizioni in cui si trova a operare. Parliamo di sostenibilità sociale, infine, perché grazie a Combi Mais puntiamo a tenere in piedi un sistema agricolo senza il quale non vi sarebbe né produzione né tutela del territorio. La pandemia prima e la guerra poi ci hanno dimostrato che il sistema globalizzato è un clamoroso errore, perché porta la produzione lontano dai luoghi del consumo. Il periodo che ci aspetta non è confortante, penso anche alle decisioni che vediamo venire avanti in materia di agrofarmaci. Combi Mais dà redditività a questo cereale, interpretando appieno la strategia Farm to Fork della Ue. Anche per questo chiediamo che la politica ne tenga conto, per esempio nei Psr». Un appello che la regione Lombardia, presente con il presidente della commissione Agricoltura Ruggero Invernizzi e il suo omologo in commissione Bilancio Giulio Gallera, sembra pronta a raccogliere.