La semina in proprio conviene ancora?

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La semina richiede macchine di impiego temporale limitato e puntiforme.
Il costo/ha supera di circa il 20-25% il servizio offerto dai terzisti
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Solo con un impiego annuo di almeno
80 ore può convenire
la semina in proprio.

La semina a righe, senza controllo della distanza fra i semi, fino a poco tempo fa è stata in larga misura eseguita direttamente dall’agricoltore, se dotato di un minimo livello di meccanizzazione. Una prassi rilevata anche dalle statistiche sul cosiddetto “contoterzismo passivo”, ossia sulla percentuale di aziende che si avvalgono, o si sono avvalse, di servizi agromeccanici.
Confrontando i dati di epoche diverse, sembra di capire che gli agricoltori tendono sempre più ad affidare la semina a uno specialista. Il fenomeno non riguarda solo la semina su terreno non lavorato (lavorazione combinata o sodo propriamente detto), che richiede macchine specifiche e potenze ragguardevoli, ma anche la semina su suolo già lavorato, che comporta investimenti molto più contenuti.
In effetti la semina a righe può ancora contare su due condizioni particolari: la seminatrice meccanica è una macchina semplice e poco costosa; è inoltre facilmente disponibile sul mercato dell’usato.
Quanto detto potrebbe far pensare che la semina in proprio possa essere conveniente, ma bisogna stare molto attenti alla dimensione aziendale, come evidenziato nella Tabella 1. Venti ore di impiego all’anno possono sembrare poche, ma sono compatibili con la superficie media nazionale delle aziende cerealicole che, stando agli ultimi aggiornamenti, non supera i 30 ettari, che corrispondono a 20-25 ettari seminabili ogni anno. Considerando anche le altre lavorazioni è logico ammettere che aziende di queste dimensioni, se hanno un minimo di differenziazione colturale, possono sfruttare il trattore per almeno 250 ore all’anno: con impieghi tanto limitati, il costo del cantiere è totalmente fuori mercato.
Il costo indicato in Tab. 1 non tiene conto infatti dei costi accessori per il trasporto del seme e il carico a bordo campo che, per una macchina meccanica da 2,5 metri, è piuttosto frequente; i prezzi realmente praticati dai contoterzisti sono decisamente inferiori.

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Solo con un impiego annuo dell’ordine di almeno 80 ore, corrispondenti a una novantina di ettari da seminare annualmente (e quindi a un’azienda agricola di dimensioni ragguardevoli, per il nostro Paese), la scelta di seminare in proprio può convenire, se non ci sono vincoli di tempestività. L’operazione richiede infatti almeno 7-8 giornate di lavoro, molte di più rispetto a quelle impiegabili da un contoterzista con una grande macchina a trasporto pneumatico dotata di guida satellitare, capace di eseguire l’intero lavoro in un giorno o due.
Impieghi annui
Gli impieghi annui indicati in Tab. 1 tengono conto dell’estensione media risultante dalle statistiche, ma, come per il pollo di Trilussa, ci sono tanti agricoltori che i 25 ettari da seminare neppure se li sognano. Pur considerando che spesso le macchine sono usate, i costi unitari non sono proporzionali al valore del capitale investito, perché gasolio e manodopera sono sempre quelli; inoltre sull’usato pesano molto gli oneri per la manutenzione.
È il caso di ricordare che una seminatrice costruita per durare almeno 2-3.000 ore di lavoro, se viene impiegata per 20 ore all’anno potrebbe durare all’infinito; ma una seminatrice da grano con 40 e più anni sulle spalle è sempre meno adatta alle condizioni di oggi. Pur funzionando ancora – con 800 ore è appena a ¼ della sua vita utile – non è certamente paragonabile a una macchina di oggi, né per le regolazioni, né per gli accessori e, a maggior ragione, per il controllo degli incroci: in altre parole è divenuta obsoleta.
E non è finita: quante seminatrici, ancor meno sfruttate, sono disponibili sul mercato dell’usato? Quanti agricoltori hanno impostato un piano di ammortamento su queste macchine, e sono stati poi costretti a rivenderle quando hanno cambiato l’indirizzo produttivo, oppure hanno scelto di affidare i lavori ad un agromeccanico? Quanto denaro è stato sprecato, rendendo ancora più povera la nostra agricoltura?

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Una seminatrice costruita per durare 2-3.000 ore, se usata per 20 ore/anno potrebbe durare all’infinito.

Si riapre qui l’eterno dilemma fra meccanizzazione aziendale e interaziendale – contoterzismo o forme associate – e sulla relativa convenienza, che suscita tuttora appassionate dispute ideologiche. Sul piano economico-finanziario non ci sono margini di discussione: per le attività che richiedono macchine di impiego temporale limitato e puntiforme è meglio rivolgersi all’esterno, liberando le risorse per quelle attività che richiedono strumenti di impiego continuativo o almeno quotidiano.
La semina rientra tipicamente nel primo gruppo e questo spiega la crescente propensione a esternalizzare il servizio, anche quando l’estensione delle superfici seminabili potrebbe consentire la semina in proprio a costi analoghi a quelli del terzista. Tale tendenza riscuote consensi ancor maggiori quando si tratta di semina diretta: in tal caso si richiedono macchine più pesanti e potenze assai maggiori, in relazione alla necessità di aprire una traccia nel terreno non precedentemente lavorato.
I costi delle seminatrici, a parità di larghezza di lavoro, aumentano di un fattore da 2,5 a 3 volte, così come la potenza effettiva richiesta al trattore; a questo si aggiunge il fatto che le macchine sono state acquistare in prevalenza dalle imprese agromeccaniche, ormai specializzate in questo settore.
Nella Tabella 2 sono stati confrontati diversi cantieri, rispettivamente per 3, 4 e 6 metri di larghezza di lavoro; la superficie lorda minima aziendale, considerando diversificazione colturale e tare, si aggira sui 150 ettari.

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Le aziende agricole potenzialmente interessate sono davvero poche (meno del 5% di quelle esistenti) e comunque dovrebbero sobbarcarsi un costo per ettaro superiore di circa il 20-25% rispetto a quelle servite dai terzisti.
Fare bene i conti prima di investire
È opportuno rilevare che la potenza indicata per i trattori è quella minima richiesta per condizioni medie e su suoli pianeggianti; chi opera per conto terzi tende a impiegare mezzi di potenza maggiore, sfruttando la capacità delle seminatrici di lavorare bene anche a velocità elevate.
I tempi di esecuzione ovviamente si riducono e, con essi il costo per ettaro, anche se bisogna fare attenzione a non diminuire troppo il numero di ore, il parametro più importante per arrivare ai costi orari (è il divisore del costo annuo complessivo).
Per il contoterzista è ormai diventato normale confrontarsi con questo problema: se il giro d’affari resta costante, c’è il rischio che l’incremento delle prestazioni della macchina nuova, che va a prendere il posto della vecchia, possa comportare una riduzione dei margini operativi.
Una situazione pericolosa, che rischia di aggravare la gestione dell’azienda proprio nel momento in cui aumentano gli oneri finanziari e l’esposizione verso gli istituti di credito o le società di leasing.

La semina in proprio conviene ancora? - Ultima modifica: 2018-09-13T14:28:17+02:00 da Lucia Berti

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