Un tappeto smisurato

L’attività agromeccanica può essere svolta in forma autonoma, come per la maggior parte delle imprese professionali, oppure in regime di connessione rispetto all’attività agricola (principale)
In attesa della legge di bilancio definitiva, vediamo in sintesi le tante criticità che le scelte legislative future dovranno risolvere. A partire dalle differenze di trattamento fra imprese similari

Le ultime elezioni politiche hanno avuto una collocazione temporale inconsueta nella storia della Repubblica, in cui le tornate elettorali hanno luogo preferibilmente a primavera, portando a uno slittamento dei tempi di elaborazione della legge di bilancio per il prossimo anno.

Fra la creazione del nuovo governo, la ridefinizione delle attribuzioni ai ministeri, la formazione delle commissioni parlamentari e, in sostanza, la rimessa in moto della macchina della politica, resta infatti assai poco tempo per programmare le scelte legislative future. Contrariamente a quanto accaduto nel passato, non siamo in grado di dare nessuna anticipazione su quelle che saranno le novità per il prossimo anno, a parte la conferma, praticamente scontata, dei provvedimenti per ridurre l’impatto dei costi energetici sulle imprese e sulle famiglie. Impatto reso ancor più evidente dalla decisa ripresa dell’inflazione che, per la prima volta da oltre 30 anni, mostra un incremento a due cifre: al mese di novembre la tendenza è superiore al 13%.

A forza di emergenze – da quella sanitaria alla crisi Ucraina – tutte le questioni sul tappeto, che ritenevamo essere importanti fino a non molti anni fa, sono passate in secondo piano rispetto a questioni più cogenti, ma restano tuttora da risolvere. Le crisi ci hanno semmai insegnato a valutare le difficoltà che la vita ci pone dinanzi: quello che in tempi tranquilli potrebbe essere un problema, tende a diventare meno serio se nel frattempo la situazione generale peggiora, senza però scomparire dalla scena. Sul piano dei rapporti con la pubblica amministrazione la questione fiscale continua a tenere banco, specialmente per gli aspetti più critici, legati a differenze di trattamento fra imprese similari, a partire dall’attività agromeccanica.

L’attività agromeccanica, se tassata a bilancio, è soggetta agli Indicatori Sintetici di Affidabilità fiscale, che da alcuni anni hanno sostituito i parametri presuntivi di ricavi e gli studi di settore

Attività svolte in connessione con quella agricola

L’attività agromeccanica può essere svolta in forma autonoma, come per la maggior parte delle imprese professionali, oppure in regime di connessione rispetto all’attività agricola (principale). Nel primo caso il reddito viene determinato dalla differenza fra ricavi e costi; nel secondo non è possibile distinguere fra i costi sostenuti per la produzione agricola e quelli relativi ai servizi per conto terzi, per cui si adotta un sistema a forfait, sia per il reddito imponibile che per l’Iva.

L’imponibile fiscale si calcola applicando all’ammontare dei ricavi percepiti, nella misura fissa del 25%, senza tenere conto di eventuali oneri straordinari. Più elevata è la percentuale riconosciuta per l’Iva: l’azienda agricola detrae il 50% dell’imposta incassata, versando la differenza insieme a quella derivante dalla cessione dei prodotti agricoli.

Il regime delle attività connesse non rappresenta una condizione di favore, perché non tiene conto dei costi effettivamente sostenuti: l’unico riferimento sono le fatture emesse, tanto per i redditi quanto per l’Iva, in quanto le spese sono “mescolate” a quelle delle altre attività agricole.

Rispetto alla tenuta di una contabilità autonoma (un’opzione sempre possibile) la tassazione a forfait conviene solo quando le prestazioni di servizi per conto terzi sono dell’ordine delle decine di migliaia di euro e non è possibile tenere distinti i relativi costi di produzione. Una grande azienda, con mezzo milione di fatturato “agricolo” potrebbe in teoria fatturarne 400.000 di servizi per conto terzi, ma ciò darebbe luogo ad un reddito imponibile di 100.000 euro, senza la possibilità di detrarre maggiori costi. Il regime forfetario è stato creato per attività marginali o di piccola entità (qualche decina di migliaia di euro); per fatturati maggiori è preferibile determinare il reddito in forma analitica (a bilancio) o, se non ci sono vincoli societari, come attività autonoma.

Attività agromeccanica in forma autonoma

In questa forma, l’attività agromeccanica può essere svolta da chiunque: dalle ditte individuali alle società di persone o di capitali, indipendentemente dalla qualifica dell’imprenditore e dalla sua gestione previdenziale (artigiano, commerciante o coltivatore diretto). Questo crea però qualche disparità di trattamento riguardo all’influenza che il reddito percepito può avere sulla contribuzione previdenziale. Se l’agromeccanico è iscritto all’Inps come artigiano oppure, in mancanza dei requisiti, come commerciante, il reddito d’impresa eccedente il minimale (che corrisponde ai contributi fissi) è soggetto a un’ulteriore contribuzione a percentuale. Nel caso invece in cui il contribuente paghi i contributi come coltivatore diretto, il reddito percepito dall’impresa agromeccanica non è soggetto ad ulteriori contributi previdenziali; se da un lato questo porterà ad un trattamento pensionistico ridotto, il carico contributivo è assai minore.

Al contoterzista che paga i contributi come coltivatore diretto resteranno quindi più soldi in tasca che a quello artigiano e questa differenza di redditività reale può diventare un fattore di concorrenza spendibile sul mercato. In realtà, chi paga meno contributi avrà diritto ad una pensione inferiore e giocare la carta del minor carico fiscale denota una scarsa lungimiranza: il terzista con contribuzione agricola farebbe bene a pensare ad una formula pensionistica integrativa, dato che dall’Inps riceverà ben poco.

Dal punto di vista contabile, le differenze riguardano solo il regime scelto, ordinario o semplificato; in quest’ultimo ambito, se si adotta la soluzione più semplice (la cosiddetta contabilità per cassa) il reddito si calcola considerando che tutte le fatture emesse ricevute siano state pagate nell’anno. In tutti i casi è possibile detrarre ogni costo ed onere sostenuto; per quelli di durata pluriennale, come i beni strumentali, è possibile detrarre le quote di ammortamento.

Disparità di trattamento fra attività autonoma e connessa

La nuova stesura dell’art. 2135 del codice civile, che ha introdotto la possibilità di svolgere una miriade di attività sfruttando la connessione a quella agricola, è stata “digerita” dai costituzionalisti senza troppi scrupoli, pur introducendo nel nostro ordinamento vari elementi di dubbia legittimità. L’agricoltore con attività di coltivazione o allevamento esercitata a titolo principale – titolo poco controllato da chi lo dovrebbe fare – può di fatto invadere i campi di operatività di innumerevoli altre categorie (artigiane e commerciali), pur mantenendo tutti i suoi privilegi fiscali.

Potrebbe anche essere giusto, e rientrerebbe nel dettato costituzionale, se lo stesso trattamento fosse garantito a coloro che, per il solo fatto di non dichiarare come attività prevalente quella agricola, non possono godere degli stessi benefici. Un artigiano con 200.000 euro di fatturato, di cui 101.000 per l’attività agromeccanica e 99.000 euro per quella agricola, non ha diritto alle stesse agevolazioni, a differenza di un agricoltore che può svolgere attività agromeccanica sfruttando il principio della connessione. Non può, per esempio, costruire un magazzino per le proprie necessità (neppure pagando gli oneri di urbanizzazione); se già possiede un fabbricato rurale ci paga l’Imu per intero, così come sui terreni in proprietà; è infine soggetto all’Irap anche per l’attività agricola.

Ancora più grave è il comportamento adottato da alcuni enti locali che, con dubbia interpretazione del codice degli appalti, affidano lavori di manutenzione preferibilmente alle aziende agricole con attività connessa, escludendo i professionisti del settore.

Isa, un passo avanti e due indietro

L’attività agromeccanica, se tassata a bilancio (e non a forfait) è soggetta agli Isa, gli indici sintetici di affidabilità fiscale che da alcuni anni hanno sostituito i parametri presuntivi di ricavi e, per quelli che vi erano soggetti (per esempio, il movimento terra), gli studi di settore. Come per le soluzioni precedenti, il fisco tiene rigorosamente segrete le formule di calcolo in modo da evitare che i contribuenti possano procedere a ritroso e andare a cambiare quei parametri che più influiscono sul risultato finale. Risultato che è determinato dalla media aritmetica (somma divisa per il numero degli addendi) si una serie di indici che misurano, o dovrebbero misurare, la sincerità fiscale del contribuente.

La “scatola nera” contenente le formule di calcolo è concessa dall’agenzia delle entrate alle società produttrici dei programmi per la gestione delle dichiarazioni fiscali, ma non è accessibile né dal contribuente né dal consulente: di conseguenza è raro il raggiungimento del massimo punteggio. Nonostante la comparsa di un rassicurante messaggio che avverte che si è tenuto conto dei fattori negativi (come la pandemia), il sistema sembra partire dal presupposto che l’azienda debba crescere ogni anno, un evento auspicabile ma che non sempre si verifica nella realtà.

A questi fattori strutturali si aggiungono quelli legati alla classificazione (Ateco) delle attività economiche, che sono o puntualissime, o stranamente generiche: poiché gli Isa si applicano a gruppi di codici Ateco, i calcoli potrebbero essere davvero poco precisi. In caso di contenzioso con il fisco, non c’è dubbio che questo possa diventare un elemento su cui impostare una linea di difesa; ma in una fase preliminare, come l’esame della dichiarazione da parte dell’agenzia delle entrate, un calcolo approssimativo può sollevare allarmi ingiustificati.

Per gli agromeccanici il modello utilizzato è il BA01U, relativo alle produzioni vegetali (per gli allevatori si impiega invece il BA02U). Solo di recente è stata prevista, fra le modalità di svolgimento dell’attività, una casella per indicare la percentuale di attività agromeccanica sul totale dei ricavi, come se questa potesse essere connessa o collegata alla produzione agricola. Non è una questione marginale, perché un conto è il bilancio di un’azienda agricola che lavora anche per conto terzi, ed un altro è quello di un agromeccanico professionale: diversa infatti è l’incidenza delle voci di costo, così come diversa è la capacità di produrre utili.

Il “nodo” delle plusvalenze

Le attività a reddito d’impresa possono accantonare ogni anno una somma corrispondente alle quote di ammortamento dei beni strumentali di proprietà; per noleggi e leasing è invece detraibile il relativo canone. Questo accantonamento ha la funzione di creare, negli anni, un fondo a cui attingere quando il bene dovrà essere sostituito: poiché le quote incidono sul reddito imponibile, se il valore di rivendita supera il residuo da ammortizzare, si crea una plusvalenza che costituisce un reddito tassabile. Solo nel raro caso in cui il bene esaurisca del tutto le sue funzioni e abbia un valore commerciale inferiore al residuo, la vendita può produrre una minusvalenza, che andrà invece a ridurre il reddito imponibile. Plusvalenze e minusvalenze possono quindi aumentare o diminuire il risultato dell’esercizio, anche se non derivano dall’attività propria dell’impresa; tipico è il caso di un grave incidente che determina una minusvalenza capace di azzerare il reddito, indipendentemente dall’andamento degli affari.

Va da sé che plusvalenze e minusvalenze, non appartenendo all’attività ordinaria, non vengono prese in considerazione dagli indici di affidabilità fiscale. Un fenomeno che si verifica sempre più spesso a causa del progressivo incremento del valore delle macchine agricole impiegate dalle imprese agromeccaniche, soggette a un ammortamento fiscale molto rapido che porta sempre a realizzare plusvalenze al momento della rivendita. Ammortamento rapido significa riduzione della redditività derivante dall’attività agromeccanica; formazione di plusvalenze importanti che, per quanto rateizzabili, vanno ad aumentare il reddito, ma con un effetto negativo sugli Isa. Fare reddito con la gestione finanziaria – e non con quella caratteristica – viene infatti considerato come “sospetto” da parte del fisco, che aggiunge ai “voti” costituiti dagli indici un misero “1”: come a scuola, prendere 1 significa far crollare la media, talvolta fino all’insufficienza.

La questione degli ammortamenti

Le percentuali di ammortamento sono stabilite per legge o, meglio, da un decreto ministeriale emanato il 31 dicembre 1988, che ha fissato i valori per tutte le attività economiche, che talvolta riproducevano quelle derivanti dalla riforma tributaria degli anni Settanta. Un’epoca ormai remota, parlando di economia: per una mietitrebbia il fatturato annuale equivaleva al valore dell’investimento, come accadeva per tante altre macchine impiegate dagli agromeccanici.

Il sistema prevedeva che il periodo di ammortamento potesse durare da 5 a 10 anni per le macchine operatrici (in pratica, tutte quelle che non lavorano il terreno) e da 8 a 16 anni per le trattrici e le macchine che lavorano il terreno. Considerando la situazione dell’epoca, i limiti erano più che ragionevoli, ma la mentalità da gabelliere medievale che ha spesso contraddistinto il legislatore tributario ha snaturato del tutto le condizioni iniziali. Nel timore dell’evasione per insufficiente fatturazione da parte dei contribuenti, da tempo le quote di ammortamento non possono più essere variate fra il minimo ed il massimo (rispettivamente fra il 10% ed il 20%, e fra il 6,25% ed il 12,5%) ma devono essere applicate nella misura massima.

Nel primo anno di entrata in funzione del bene strumentale la quota viene ridotta alla metà, e non più calcolata in base ai giorni di utilizzo: di conseguenza la durata dell’ammortamento è fissa, di 6 anni per le macchine operatrici e di 9 anni per i trattori e le macchine che lavorano il terreno.

Per le prime, la percentuale è del 10% nel primo e nel sesto anno, del 20% negli altri 4 anni; per le seconde è del 6,25% nel primo e nel nono anno, e del 12,5% negli altri 7 anni.

Di conseguenza, una mietitrebbia, dopo 5 campagne, ha un residuo ammortizzabile pari al 10% del valore a nuovo, pur conservando un valore commerciale 6-7 volte superiore, che determina una plusvalenza importante in caso di vendita. Bisogna aggiungere che il legislatore, a parziale compensazione di questi effetti, ha introdotto la possibilità di suddividere la plusvalenza in un massimo di 5 rate annuali di uguale importo. Ma, come abbiamo visto a proposito degli Isa, ai fini della valutazione non è la stessa cosa, perché questo perverso meccanismo trasforma un comportamento legittimo in una irregolarità oggetto di contestazione, oltre che in un segnale di presunta pericolosità fiscale.

Riduzione quote a proprio rischio e pericolo

È possibile ridurre le quote di ammortamento a valori compatibili con la reale svalutazione subita dai beni strumentali, durante il loro ciclo di vita? In teoria tutto questo sarebbe possibile, soprattutto a livello civilistico: perché un bilancio sia “vero e reale” come si dice nella fase di controllo e di deposito, è giusto attribuire ai beni strumentali mobili, immobili e immateriali un valore il più possibile vicino a quello reale.

È noto che la svalutazione non segue un andamento lineare, ma è massima nel primo anno e poi decresce gradualmente, in modo quasi proporzionale all'età; da un certo punto in poi il valore si stabilizza senza mai annullarsi, se la macchina agricola è in condizioni di funzionamento.

Tuttavia, sotto il profilo fiscale le cose non sono così semplici, sia perché esistono norme precise (come il decreto citato) sia perché bisogna dimostrare di avere sempre seguito lo stesso criterio e non avere mai “adattato” le quote alla situazione contingente.

In pratica sarebbe possibile, almeno per le aziende in regime di contabilità ordinaria, una riduzione delle quote di ammortamento, con la possibilità di recuperare la parte eccedente negli anni successivi; ma per quelle che adottano regimi semplificati tale ipotesi non sembra attualmente praticabile.

Un tappeto smisurato - Ultima modifica: 2022-11-30T16:12:27+01:00 da K4

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