Lavorazione o non lavorazione? Se guardiamo l'Italia dal cielo - basta un computer collegato a Internet - possiamo renderci conto che i terreni gestiti in regime sodivo coprono una quota assolutamente minoritaria della superficie realmente messa a coltura. La situazione riscontrabile dalle foto aeree non ci dà tuttavia l'esatta misura di quanti agricoltori si siano mai posti il dubbio se le lavorazioni al terreno siano ancora utili oppure no, magari per una semplice curiosità.
Certo, il partito della “non lavorazione” può contare sul prestigio di illustri tecnici, ricercatori e docenti universitari, sul sostegno di gran parte della stampa e sui consistenti investimenti attuati da numerosi costruttori di macchine agricole: è mai possibile che tutti costoro abbiano sposato questa tesi a cuor leggero, senza pensare alle possibili implicazioni? Sull'altro fronte, si osserva che la tecnica fondata sulle lavorazioni può contare su solide basi scientifiche, attestate da una copiosa produzione di pubblicazioni, anche con valore didattico (per esempio, la maggior parte dei libri di testo in materia agronomica); anche qui ci sono costruttori di livello mondiale che continuano a proporre macchine sempre più perfezionate, investendo somme considerevoli nella ricerca applicata. Manca, in altre parole, una posizione univoca o, se vogliamo, una visione obiettiva che possa indirizzare l'agricoltore - e di riflesso l'impresa agromeccanica - verso le scelte più opportune.
Fra l'altro, si osserva che le tecniche di minima lavorazione, fino alla semina diretta, vengono applicate con maggiore frequenza nelle aree meno soggette a erosione e con clima più fresco, mentre restano un tabù assoluto proprio nei terreni declivi o nelle zone con forte aridità, che potrebbero essere le più indicate per ridurre l'erosione o la perdita di umidità. Evidentemente la contrapposizione di idee non aiuta gli indecisi, né riesce a convincere chi ha opinioni diverse, proprio come avviene in politica: quando si creano due fronti opposti, ognuno tende a estremizzare le proprie posizioni per distinguersi dall'altro schieramento, con il risultato di rendere difficile ogni accordo. È la ben nota sindrome del tifoso, che non crea alcun problema nello sport, dove ogni squadra deve puntare alla vittoria contro tutte le altre (e dove gli accordi sono, per l'appunto, antisportivi), ma che determina contrapposizioni laceranti quando si applica ad altri settori, impedendo la formazione di una visione obiettiva.
Nel settore agronomico, nessuna delle due tesi è applicabile in termini assoluti, ma deve essere calata in ogni singola realtà aziendale; in altre parole, una visione “ideologica” dell'agricoltura porta inevitabilmente all'insuccesso. Ogni tecnica presenta vantaggi e svantaggi tanto più gravi ed evidenti che, se presi singolarmente, ci aiutano a giustificare la distanza che separa la compagine dei sostenitori dell'agricoltura conservativa e quella che si attiene al modello agricolo tradizionale. Non pretendiamo di mettere tutti d'accordo: le differenze ci sono e in parte restano, tuttavia vorremmo dare al lettore uno strumento per scegliere in modo consapevole, senza preconcetti e senza subire la pressione di fattori esterni.
Pregi e difetti
Per fare un po' di chiarezza sull'argomento riteniamo opportuno schematizzare pregi e difetti delle varie tecniche colturali, analizzandone gli effetti indotti su quel complesso sistema che è il terreno agrario: struttura del suolo, fattori biologici, chimici e fisici, fino agli aspetti energetici ed economici. L'esame della Tab. 1, dedicata all'aratura profonda, mostra che il principale vantaggio di questa tecnica risiede negli aspetti di carattere sanitario e su una certa “protezione” nei confronti della sostanza organica, al punto che continua a essere preferita nell'agricoltura biologica. Fra i difetti, spiccano i costi elevati, che possono portare la coltura al di sotto della soglia di redditività, fattore quanto mai importante nelle coltivazioni di tipo estensivo.
L'aratura superficiale (Tab. 2) trova numerosi sostenitori soprattutto al di fuori dei nostri confini, dove si fa apprezzare per la capacità di sommare i vantaggi dell'aratura profonda a quelli delle minime lavorazioni, in quanto presenta costi compatibili con gli altri cantieri di lavoro. Consente inoltre di interrare la sostanza organica a profondità compatibile con l'umificazione, anche quando i residui vegetali sono scarsi, evitandone la dispersione su un volume di terra troppo elevato; questo è particolarmente importante nei terreni poveri di materia organica, dove è più alto il rischio della desertificazione.
La minima lavorazione ha avuto miglior fortuna rispetto all'aratura leggera: aratura e alta profondità di lavoro sembrano costituire un binomio inscindibile, tanto che il concetto di “superficiale” sembra adattarsi solo agli utensili che non rovesciano il terreno. La tecnica dell'inversione degli strati ha soprattutto la funzione di portare i residui colturali al di fuori del contatti diretto con gli agenti atmosferici: ma dove il clima è sufficientemente umido, può bastare anche l'azione di rimescolamento dovuta a un utensile a taglio. Quando i residui sono davvero pochi, come per i cereali vernini con raccolta della paglia o per il mais da insilamento, l'aratura può rivelarsi inutile, specie se gli apporti di sostanza organica avvengono in forma liquida e facilmente solubile (liquami o digestato).
Con la minima lavorazione - vedasi la Tab. 3 - i costi scendono ulteriormente rispetto all'aratura leggera, dato che il tipo e la disposizione degli utensili impiegati tende a lasciare una zollosità minima, che non richiede ulteriori passaggi di affinamento; con questa tecnica si può seminare direttamente non una normale seminatrice per terreno lavorato.
Un particolare tipo di lavorazione ridotta è quella che viene eseguita contemporaneamente alla semina, con macchine di tipo combinato: una soluzione largamente preferita dal contoterzista perché riduce i costi di manodopera, ma anche perché la trattrice si muove su terreno sodo, cosa importante nelle annate umide, a tutto vantaggio della tempestività. Molto interessante sul piano del risparmio energetico è la possibilità di limitare la lavorazione alla sola striscia destinata ad accogliere il seme, ovviamente per le colture a file come mais, sorgo e soia, lasciando intatta l'interfila. Benché i costi di acquisto di queste macchine siano simili a quelli di una combinata a tutta larghezza, la possibilità di non lavorare l'interfila aumenta il galleggiamento delle macchine durante le successive operazioni colturali, come ad esempio nella distribuzione in copertura di liquame o digestato, nei trattamenti fitosanitari ecc. Una rapida analisi della Tab. 4 consente di rendersi conto dei numerosi vantaggi della semina combinata rispetto alla minima lavorazione con semina differita, anche se riteniamo che la maggiore complessità del cantiere di lavoro non porti a un significativo vantaggio in termini economici.
E veniamo infine alla semina diretta, tecnica nata quasi un secolo fa per contrastare l'erosione - soprattutto ad opera del vento - che affligge gran parte delle pianure del Nord e del Sud America ed importata in Italia negli ultimi vent'anni come metodo per risparmiare sulle lavorazioni. Per chi l'ha vista in questo quadro, fortemente limitativo, la semina diretta si è rivelata nel volgere di pochi anni un vero boomerang, in quanto la cattiva gestione del suolo ha portato a una drastica diminuzione delle rese unitarie, scoraggiandone la diffusione. Eppure, per chi volesse consultare la Tab. 5, i vantaggi di questa tecnica colturale sono davvero numerosi e significativi, anche se la gestione del terreno in regime sodivo comporta una serie di precauzioni indispensabili.
Il raggiungimento di un naturale equilibrio fra fattori biologici e agronomici richiede diversi anni, anni nei quali il terreno deve rimanere indisturbato: ma ripetere la semina su sodo su colture diverse e con continuità temporale richiede l'assoluto rispetto del suolo, che si realizza solo con una gestione accurata dei passaggi delle macchine agricole, con l'impiego di pneumatici ad alto indice di galleggiamento, evitando di intervenire quando il terreno è umido. In pratica, una vera e propria filosofia di vita, e non solo un mezzo per conseguire un risparmio immediato nei costi delle lavorazioni.
Allegati
- Scarica il file: Il dilemma di Amleto