Seminatrici, polivalenza d’impiego sempre più importante

Oggi è possibile utilizzare la stessa macchina su terreni con diversa sofficità. Analizzare i costi operativi prima dell’acquisto resta comunque imprescindibile

La semina è, per definizione, l’atto creativo dell’attività agricola, perché dalla sua riuscita dipenderà in gran parte il destino della coltura; all’opposto, da una semina troppo rada, troppo fitta o irregolare, si ricaverà poco prodotto e magari anche una scarsa qualità. Come per altre lavorazioni, gli aspetti tecnici finiscono per determinare conseguenze economiche di rilievo, nonostante la molteplicità dei fattori che possono influire sulla produzione, dalla genetica al clima, dalla difesa alla fertilizzazione.

Può essere utile ricordare brevemente i principi agronomici della semina:

- letto di semina non troppo soffice, per favorirne l’idratazione;

deposizione del seme alla giusta profondità, (il seme deve essere coperto ma non troppo profondo per non esaurire l’energia germinativa prima di avere iniziato la fotosintesi);

- regolarità di semina nella direzione di avanzamento, per un investimento ottimale;

- profondità uniforme per favorire l’emergenza contemporanea.

Talvolta l’emergenza irregolare può essere determinata dalla preparazione del terreno, che ha creato zone troppo soffici e altre troppo dure, oppure da una lavorazione grossolana, che alterna la presenza di zolle e di vuoti profondi, che comportano la morte del seme prima che emerga. Con la maggior parte delle colture a ciclo invernale – cereali, colza, leguminose – è ormai divenuta d’uso comune la tecnica della lavorazione minima o assente, mentre dove l’aratura rimane l’arma ideale per il controllo delle malerbe, le lavorazioni secondarie si stanno rapidamente evolvendo. La condizione ideale sarebbe quella di depositare il seme all’interno di una traccia relativamente compatta, tale da favorire l’assorbimento di umidità dal suolo e accelerare il processo germinativo: dopo aratura è pertanto necessario rassodare il piano di deposizione del seme.

Dovendo controllare le malerbe con mezzi meccanici – come ad esempio in regime biologico – l’uniformità di emergenza è fondamentale, perché l’erpice strigliatore è selettivo rispetto allo stadio di sviluppo: le piante deboli rischiano di essere estirpate come le infestanti. La necessità di contenere i costi delle lavorazioni ha portato a un progressivo peggioramento della qualità nella preparazione del letto di semina, a cui ha dovuto sopperire l’evoluzione tecnica delle seminatrici: gli elementi sono divenuti sempre più capaci di adattarsi alle condizioni del terreno.

Tanto per la semina diretta, quanto per quella su terreno lavorato, la polivalenza d’impiego sta assumendo un’importanza crescente: in entrambi i settori è possibile, regolando la pressione al suolo, impiegare la stessa macchina su terreni con diversa sofficità. Chiaramente i valori in gioco sono diversi: per la semina convenzionale la pressione su ciascun elemento può essere variata (per esempio, da 15 a 30 kg), mentre la macchina da sodo deve caricare ogni corpo con centinaia di kg per consentire la penetrazione nel suolo.

La semina autunnale non viene ancora pagata per quello che vale davvero, nemmeno al contoterzista, né viene correttamente valutata, come costo, dalla maggior parte delle aziende agricole

Grado di utilizzazione annua

Benché il valore di acquisto possa essere molto diverso (la seminatrice da sodo costa da 2 a 3 volte quella per terreno lavorato, senza contare la maggiore richiesta di potenza), il costo complessivo si compensa ampiamente con il risparmio conseguito sulle lavorazioni. Analizzando i fattori che influiscono in maggior misura sulla determinazione del costo di esercizio, svolge un ruolo di primo piano il grado di utilizzazione annua, che suddivide il costo complessivo in ore, o ettari, di lavoro svolto.

La seminatrice è una macchina estremamente specializzata, concepita per fare bene un solo lavoro: alcune macchine possono essere adibite alla fertilizzazione di precisione, se dotate di un sistema di localizzazione con precisione centimetrica, ma non a costo zero. Non è fantascienza, perché i fertilizzanti – specie gli azotati – possono dare luogo alla formazione di polveri sottili ed esistono vari studi sulla riduzione dell’inquinamento grazie alla localizzazione (e interramento) dei granuli di concime.

Se ci si limita alla semina su sodo o terreno non completamente preparato, il calendario a disposizione è piuttosto limitato: in autunno si comincia con il colza e poi via con i cereali vernini e le leguminose invernali; in primavera si apre una finestra per le leguminose a ciclo estivo. In totale si può arrivare a qualche centinaio di ore, su una superficie complessiva dell’ordine del migliaio di ettari per una macchina da 5-7 metri, che si dimezzano per una da 3 metri. Considerato che una seminatrice di buon livello viene progettata per lavorare per almeno 10.000 ore prima di procedere a manutenzioni straordinarie, è possibile allungare il periodo di ammortamento, ma il costo per ettaro rimane piuttosto sensibile. A livello operativo, il riempimento della tramoggia obbliga a una sosta ogni 10-20 ettari, a seconda della larghezza di lavoro; inoltre, nel costo della semina bisogna inserire almeno il secondo operatore per il carico della semente, con relativi trattore e rimorchio.

Analizzando i fattori che influiscono in maggior misura sulla determinazione del costo di esercizio, svolge un ruolo di primo piano il grado di utilizzazione annua

Listini alle stelle

I parametri utilizzati per il calcolo dei costi di esercizio tengono conto delle considerazioni fatte e spaziano fra 50 ore – da intendersi come valore minimo – e 300 ore, che potrebbe rappresentare il valore ottimale per ammortizzare le macchina in tempi non troppo lunghi. Ma come esistono contoterzisti che superano abitualmente le 500 ore (pagate) di semina, in tante piccole e medie aziende agricole la semina dura qualche giorno, totalizzando qualche decina di ore. Lo scarso grado di utilizzazione si concretizza in lunghi intervalli di sostituzione, al punto che ormai si acquistano più mietitrebbie che seminatrici: un risultato forse falsato dal credito d’imposta 4.0, ma che deve indurre una riflessione anche sui prezzi delle macchine. Gli aumenti registratisi nell’ultimo triennio per effetto del rincaro dell’energia e delle materie prime hanno portato i listini a cifre di tutto rispetto.

Una seminatrice per sodo da 3 metri ha un prezzo medio di listino di 50-60.000 euro, che per le macchine a struttura articolata (da 4 metri in su) raddoppia: per una macchina da 6-7 metri (più adatta ai contoterzisti) i valori possono salire a oltre 200.000 euro. È vero che dal listino al prezzo reale esiste un certo margine di trattativa, ma le rilevazioni di mercato si riferiscono all'allestimento base: basta un serbatoio maggiorato, il kit di controllo satellitare o l'impiego di componenti anticorrosione per far salire ulteriormente il costo.

Seppure su scala inferiore, gli aumenti nei costi di produzione hanno inciso anche sui listini delle seminatrici convenzionali, che di solito presentano una più lunga durata operativa perché soggette a minori sollecitazioni. Non fanno eccezione neppure le macchine “fisse” (con larghezza fino a 3 metri), né quelle con l’alimentazione a caduta, i cui listini sono stati più volte ritoccati nell’ultimo biennio. La tecnologia costruttiva modulare, con parti standard reperibili come ricambi, potrebbe avere indotto molti a revisionare le seminatrici un po’ datate, anche se i “nuovi” incentivi (Ismea e Pnrr) sono particolarmente convenienti per l’acquisto di macchine in questa fascia di prezzo.

 

Tanto per la semina diretta, quanto per quella su terreno lavorato, la polivalenza d’impiego sta assumendo un’importanza crescente

Costi orari a confronto

I risultati, però, li vedremo soprattutto nei prossimi anni: per ora il mercato delle seminatrici, così come di molte altre attrezzature, è piuttosto fiacco. Mentre la civiltà consumista tende a parafrasare il famoso detto di Cartesio (penso, dunque sono), attribuendo i ruoli in relazione alla capacità di sostenere un circuito indotto, contoterzisti e agricoltori non esistono solo in funzione di ciò che acquistano. La lunga digressione sul mercato delle seminatrici ci deve aiutare a capire che non sono beni di consumo e che, come tutte le altre macchine, devono svolgere bene il loro lavoro ed essere sostituite nel momento in cui i costi di manutenzione diventano significativi. Quelle poi che hanno a disposizione ristrette finestre temporali devono essere sempre disponibili e affidabili: il ritardo nell’avvio della coltura è un fattore sempre negativo, come ha dimostrato la piovosa primavera di quest’anno, nelle regioni del Nord.

Se si guarda alle tab. 1 e tab. 2, si vede chiaramente che la semina autunnale non viene ancora pagata per quello che vale davvero, nemmeno al contoterzista, né viene correttamente valutata, come costo, dalla maggior parte delle aziende agricole. Nonostante si sia cercato di analizzare i costi a partire da un utilizzo minimo di 50 ore, per non portare a costi orari non credibili, per quanto drammaticamente reali, essi corrispondono a un’azienda agricola con una superficie lorda dell’ordine del centinaio di ettari. Stando ai dati dell’ultimo censimento, aziende di queste dimensioni costituiscono il 5% (qualche decina di migliaia) del totale; se si prende per buona la superficie media delle aziende a seminativo, una seminatrice a righe da 3 metri arriva a 20-25 ore all’anno, se va bene. In tal caso il costo orario della sola seminatrice (senza il trattore, la manodopera e i costi per il carico e trasporto in campo della semente) raddoppierebbe, passando dai 33 euro indicati in tab. 1 a 66 euro: in pratica, il solo possesso della macchina costa come chiamare un contoterzista!

Complice l’aumento dei prezzi di listino, il mercato delle seminatrici, così come di molte altre attrezzature, è piuttosto fiacco

Quando e perché affidarsi a un contoterzista

Un proverbio contadino insegnava che chi ha i buoi in proprietà può arare quando vuole, ed era vero perché l’aratro aveva la stessa resa a casa di tutti: ma oggi uno specialista può ridurre i tempi di esecuzione di 4-5 volte rispetto alla piccola azienda che si arrangia da sola. Piuttosto è bene ricordare che in sede di determinazione dei prezzi da applicare ai clienti bisogna tenere conto dei dati indicati nelle tabelle, perché ci danno la misura esatta di quanto può effettivamente costare la gestione di un cantiere di semina. La gestione dei trasporti, curata in campagna ma trascurata a tavolino, comporta un costo non sempre valutato, a differenza di quelli relativi al cantiere di semina; eppure, la catena di rifornimento dei mezzi tecnici (seme, concime ecc.) comporta un incremento variabile dal 15 al 30%.

Come per tutte le valutazioni di questo tipo, il costo di acquisto della macchina comporta una diversa incidenza a seconda delle ore di impiego: più questo è intensivo (nel range delle centinaia di ore), minori sono le differenze in termini di costo orario. Nel caso in cui l’intenzione sia quella di acquistare una seminatrice seminuova, magari da un’azienda agricola insoddisfatta della propria scelta di gestirsi la semina in proprio, la riduzione del costo di esercizio può non essere particolarmente significativa, se la macchina fa molte ore. In tali condizioni bisogna quindi fare attenzione allo stato d’uso: se la macchina necessita di una revisione preliminare, bisogna considerarne il valore come maggiorazione della spesa di acquisto. Se invece le prospettive di impiego sono limitate a poche ore all’anno (come nelle medie aziende agricole, con superfici seminabili inferiori a 50 ettari all’anno), l’acquisto di un buon usato può ridurre i costi di esercizio, pur senza divenire competitivi rispetto al ricorso al contoterzista.

Seminatrici, polivalenza d’impiego sempre più importante - Ultima modifica: 2024-09-19T07:07:04+02:00 da Roberta Ponci

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