L’uomo mieterà ciò che avrà seminato: così dicevano gli antichi, pur sapendo che il risultato non è così scontato come potrebbe sembrare, a causa delle tante incertezze su cosa potrà accadere a quel piccolo seme una volta che sarà stato depositato sottoterra. Nonostante il processo germinativo non abbia ormai più segreti, le interazioni fra i fattori della crescita sono tuttora difficili da prevedere e ancor più da programmare; le variabili sono tante e i modelli previsionali, pur affidabili, sono largamente imprecisi. L’ultimo quarto della produzione lorda vendibile decide se si guadagna o si perde, una quota più o meno uguale all’errore di previsione; lasciando quindi tale percentuale alle leggi della probabilità, è bene concentrarsi su quei tre quarti della resa che sappiamo essere programmabili.
La semplice eliminazione delle fallanze alla semina è già un risultato e, partendo dal presupposto che il seme sia di buona qualità, entra in gioco la preparazione del letto di semina, che non è quello che si vede in superficie, ma quello su cui verrà deposta la semente. Se per effetto di una lavorazione troppo grossolana alcuni semi cadono negli interstizi fra le zolle o restano alla sommità di esse, quelli più profondi possono esaurire le riserve prima di emergere e quelli troppo superficiali posso essere danneggiati dalla siccità o dal freddo. Senza arrivare alla perdita di piante, e quindi alla riduzione dell’investimento per unità di superficie, già l’emergenza non contemporanea può predisporre la coltura ai danni climatici, oltre che renderla più sensibile ad eventuali lavorazioni.
Per esempio, in regime biologico l’unico efficace rimedio alle malerbe è il passaggio con un erpice strigliatore, che sfrutta il diverso stadio di sviluppo fra la coltura e le malerbe: ma se la prima è nata male, con piantine di diversa taglia, i denti dell’erpice possono danneggiare quelle più deboli. Sulle piante a ciclo invernale il ritardo a emergere dal suolo si ferma qui, perché le somme termiche sono limitate e non favoriscono il rapido sviluppo della coltura. Piuttosto, è su quelle a ciclo primaverile-estivo (con insolazione e temperature in aumento) che si crea concorrenza fra le prime e le ultime piante emerse, che vengono soffocate da quelle più sviluppate e vigorose.
L’importanza di un buon letto di semina
Il sottofondo capace di favorire la germinazione contemporanea di tutti i semi deve essere continuo (senza fessure profonde), relativamente compatto e a contatto con gli strati profondi per favorire la risalita capillare dell’umidità e consentire la rapida idratazione del seme. Lo strato di terra che lo ricopre deve essere uniforme e non troppo grossolano, per evitare ritardi di sviluppo, ma nello stesso tempo abbastanza spesso per proteggere la piantina dal disseccamento o dalle gelate precoci. Tutte cose di pubblico dominio, ma che non sempre si riescono a realizzare: eppure un buon impianto è il miglior viatico per una crescita uniforme e una resa di campo soddisfacente.
Secondo una convinzione largamente diffusa, l’agricoltore conosce tanto bene i suoi terreni da preparare ogni anno il miglior letto di semina, indipendentemente dalle condizioni climatiche. Senza nemmeno scendere dall’auto, basta guardare i terreni dal finestrino e scoprire che tale idea è erronea, non perché l’agricoltore non sappia fare il suo mestiere, ma perché dispone di attrezzature non sempre idonee a lavorare correttamente il terreno, e soprattutto a seminarlo.
Per un’azienda agricola di dimensioni piccole o medie le attrezzature in proprietà sono state acquistate – magari da molto tempo – in previsione di un andamento climatico ottimale: estate tendenzialmente asciutta, autunno con qualche pioggia capace di portare il terreno in tempera. Oltre all’onnipresente aratro, da usare rigorosamente entro solco a causa del basso rapporto fra potenza e larghezza di lavoro, sono presenti erpici di varia foggia e una zappatrice (o erpice rotante) per ridurre la zollosità, con le buone o con le cattive. Basta un anno anomalo, con suolo troppo umido o troppo secco, per dover scendere a compromessi e preparare il terreno in modo non ottimale, o troppo grossolano oppure troppo soffice, tale da porre il seme a profondità diverse da quella migliore.
Tab. 1 - Confronto seminatrici (uso proprio e di terzi)
Larghezza di lavoro (m) | 2,50 | 6,00 | ||
Potenza trattrice (cv) | 80 | 170 | ||
Impiego | Proprio | Terzi | Proprio | Terzi |
Ammortamento annuo (€) | 1.286 | 1.323 | 5.492 | 5.617 |
Quota manutenzione (€) | 281 | 438 | 1.317 | 1.853 |
Ore annuali | 80 | 200 | 80 | 200 |
Costo orario seminatrice (e) | 20 | 10 | 87 | 43 |
Costo orario trattrice (€) | 52 | 57 | 88 | 89 |
Costo orario cantiere (€) | 72,12 | 66,92 | 175,09 | 132,03 |
Resa effettiva (ha/ora) | 1,10 | 1,10 | 2,60 | 2,60 |
Costo €/ha (pianura) | 65,57 | 60,84 | 67,34 | 50,78 |
Superficie dominata (ha) | 88 | 220 | 208 | 520 |
I limiti della meccanizzazione
L’agricoltore che ritiene di essere adeguatamente meccanizzato è tuttavia vincolato alle macchine possedute, dovendo affrontare investimenti ingenti – per la sua dimensione aziendale – se vuole ammodernare il parco macchine. Lo sviluppo rurale ha speso tanto denaro pubblico, ma non ha creato progresso, con investimenti che hanno sostituito i mezzi con altri più nuovi e potenti, senza fare innovazione: l’aratro polivomere ha sostituito il monovomere e il trattore ha il doppio dei cavalli, ma la tecnica è sempre la stessa.
La meccanizzazione in proprio ha quindi mostrato tutti i suoi limiti, che sembra opportuno riassumere in un breve schema:
- poca flessibilità di fronte al progresso: per cambiare tecnica agronomica bisogna sostituire le macchine già acquistate, anche se ancora funzionanti o non ammortizzate;
- limiti culturali e formativi: la convinzione di avere fatto bene a “fare sempre così”, mentre il mondo si stava orientando in altre direzioni, porta a rifiutare le novità;
- alcune tecniche, come quelle conservative (minime lavorazioni e semina diretta) richiedono attrezzature specifiche ed alte velocità, e quindi macchine potenti e costose;
- il puro costo della gestione in proprio è superiore al prezzo del servizio (che comprende l’utile) offerto dalle imprese agromeccaniche;
- l’impatto ambientale della lavorazione effettuata dal contoterzista è minore rispetto alla meccanizzazione aziendale.
Mentre le prime due affermazioni sono state adeguatamente sviluppate, le successive richiedono l’analisi delle condizioni tecniche ed economiche, che partono dal presupposto che i costi legati agli investimenti diventano sempre più sopportabili all’aumentare delle superfici lavorate.
Le minime lavorazioni hanno registrato un crescente successo perché consentono di aumentare il contenuto di sostanza organica “stabilizzata” nei suoli italiani, talvolta estremamente carenti, e in altri contesti all’eccessivo carico organico e alla diffusione di nitrati in falda e nei corsi d’acqua. Dove non è presente una zootecnia diffusa la sostanza organica – capace di stabilizzare e rendere più fertile il suolo – è quasi scomparsa: per questo bisogna evitarne la degradazione, concentrando residui colturali e altri apporti nello strato superficiale. Nelle aree con forte carico di bestiame bisogna invece ridurre il dilavamento e l’erosione del suolo, ricco di azoto, per evitare l’inquinamento delle acque superficiali e profonde; tali effetti si realizzano seminando contemporaneamente alle lavorazioni, o direttamente sul terreno sodo.
Tab. 2 - Costo della semina diretta
Larghezza – potenza (cv) | 3 metri – 130 cv | 6 metri – 250 cv | ||
Impiego | C/proprio | C/terzi | C/proprio | C/terzi |
Valore seminatrice (€) | 40.000 | 102.000 | ||
Valore trattore (€) | 110.500 | 225.000 | ||
Ore annuali macchina | 80 | 200 | 80 | 200 |
Costo orario seminatrice (€) | 61,53 | 34,61 | 151,32 | 81,19 |
Costo orario trattrice (€) | 73,37 | 74,84 | 123,08 | 119,35 |
Costo orario o tariffa (€) | 134,90 | 109,45 | 274,40 | 200,55 |
Produzione oraria (ha/h) | 1,40 | 2,80 | ||
Costo/tariffa €/ha | 96,36 | 78,18 | 98,00 | 71,62 |
Superficie dominata (ha) | 112 | 280 | 224 | 560 |
Il conto economico
In entrambi i casi si opera con macchine di grande potenza, che lavorano ad alta velocità su un’ampia larghezza di lavoro, per ridurre il numero dei passaggi e la quota di superficie calpestata. Per quanto esistano cantieri utilizzabili con trattori di media potenza – intorno ai 100 kW – e quindi alla portata di aziende agricole sufficientemente strutturate, la loro adozione comporta investimenti non sempre sopportabili, come mostrano le tabelle 1 e 2.
I parametri impiegati per il calcolo dei costi per ora e per ettaro, in termini di produttività oraria, portano a superfici dominate molto importanti, evidenziate nell’ultima riga delle due tabelle, una per la semina su terreno precedentemente preparato, e l’altra per operare su terreno non lavorato. A livello preliminare si osserva che l’estensione minima per poter gestire in proprio la semina, a costi comunque superiori ai prezzi che potrebbe offrire il contoterzista, parte da 90-110 ettari. Tali valori corrispondono a una dimensione aziendale ancora maggiore, considerando l’obbligo di rotazione colturale imposto dalla nuova Pac: in ambiente collinare una rotazione fra grano, orzo e foraggere (medica o sulla, in base all’area climatica) porterebbe a 130-160 ettari di seminativi. Sono valori di tutto rispetto e, in attesa dei risultati dettagliati dell’ultimo censimento, riferibili a un’esigua minoranza di agricoltori: alla grande maggioranza di essi converrebbe far lavorare il contoterzista, anche per la garanzia che questo può offrire in termini di qualità e tracciabilità.
I costi per ettaro delle due soluzioni – in proprio o tramite terzista – sono infatti nettamente a favore della seconda, sia che si operi con macchine di piccole dimensioni (più adatte ad ambienti di collina e montagna) sia che si possano impiegare le seminatrici “giganti” da 6 metri in su. Con le seminatrici, macchine con buona produttività oraria e con impieghi annuali spesso contenuti, si evidenziano le differenze fra trattore e operatrice. Per i primi è stata adottata nei calcoli una utilizzazione annua più intensa, 400 ore per l’agricoltore e 800 ore per il contoterzista; per le seminatrici si è partiti invece da 80 ore per l’azienda agricola e 200 ore per gli agromeccanici. Ora, con tali valori il costo orario della seminatrice può arrivare a superare quello del trattore: è un problema comune a tante altre macchine e attrezzature, impiegate solo occasionalmente e per poche ore all’anno, che squilibrano però il conto economico.
I cantieri professionali
Lo squilibrio aumenta con il valore di acquisto della macchina e pertanto raggiunge il massimo nel caso del cantiere per uso professionale, impiegato per conto proprio o comunque per un numero di ore insufficiente. Tali macchine sono quelle che offrono il miglior rapporto qualità-prezzo, perché all’aumentare della larghezza di lavoro diminuisce l’incidenza dell’area interessata dal passaggio delle ruote, che potrebbe determinare una diversa reazione al passaggio degli elementi di semina. I trattori utilizzati con questi cantieri montano di solito pneumatici a sezione larga, gonfiati a bassa pressione e con profilo del battistrada appiattito, capaci di scaricare al suolo carichi unitari (in kg/cmq) inferiori a quelli di mezzi molto più leggeri, che evitano tale rischio. Oltre al minor disturbo allo strato in cui si svilupperà la pianta, questi cantieri consumano, per unità di superficie lavorata, assai meno gasolio di un trattore più piccolo costretto a ripetuti passaggi, come stabilito da autorevoli studi condotti a livello nazionale.
L’insieme delle considerazioni fatte porta a concludere che l’affidamento al contoterzista della semina, oltre che dell’eventuale preparazione del terreno, porta a un netto risparmio economico e a una riduzione del calpestamento tale da incrementare le rese per ettaro. Per le aziende agricole con idonea superficie seminabile (una netta minoranza) il risparmio immediato è dell’ordine delle migliaia di euro; il vantaggio è ancor più evidente, in termini relativi, per le aziende più piccole, nelle quali il costo della semina in proprio non è più sostenibile.