La recente edizione del Sima ha ottenuto risultati deludenti riguardo al numero dei visitatori, con una perdita secca del 10% che ha interessato anche le presenze estere: in questo campo, le presenze perdute sono state quasi il doppio, in termini percentuali.
Inutile dire che due grandi fiere internazionali concentrate in poco più di tre mesi non aiutano la partecipazione, ma forse c’è dell’altro: se è vero che gli agricoltori europei sono in gran parte allevatori di bestiame – in Francia si arriva al 44% – significa che la crisi della zootecnia sta mordendo anche altrove. D’altro canto, una fienagione efficiente richiede un parco macchine di valore considerevole, che non tutte le aziende possono permettersi di gestire in proprio. I dati presentati ad Eima International da Nomisma, condotti su elaborazioni dei costi fornite da Unima, hanno mostrato come la superficie minima a foraggere non possa essere inferiore a 50 ha. Se guardiamo alla Tab. 1 possiamo renderci conto che su quattro tagli effettivi, i principali cantieri di lavoro necessari (falciacondizionatrice frontale o trainata, ranghinatore-voltafieno e rotoimballatrice) richiedono un investimento minimo di 50.000 euro, a cui vanno aggiunti gli indispensabili mezzi di trazione. Un valore che può essere ammortizzato, a fatica, solo su almeno 200 ha complessivi, da suddividere per i vari tagli.
Non stiamo parlando di costi ad ettaro competitivi, ma di quelli che eguagliano le tariffe ufficiali del contoterzismo (media dei tariffari provinciali). Fra l’altro, il confronto con il tariffario provinciale dà un risultato ottimistico che può convincere l’agricoltore a meccanizzarsi in proprio: ma se consideriamo i prezzi reali (un cliente da 50 ha è un buon cliente…), la scelta di meccanizzarsi in proprio può essere più costosa rispetto all’affidamento al terzista. Per ottenere gli stessi costi a ettaro, nell’ipotesi di uno sconto del 10%, gli ettari devono aumentare di almeno il 60%: ma 80 ettari sono una bella partita e il prezzo effettivo praticato dall’impresa agromeccanica potrebbe essere arrotondato per difetto, spostando nuovamente il limite di convenienza economica. Da notare – sempre con riferimento alla tabella – che per l’azienda agricola con 50 ettari di prato irriguo i tempi di ammortamento diventano lunghissimi: 20-25 anni sono troppi e pongono seri problemi nella valutazione della convenienza finanziaria.
I tempi di ammortamento
I mutui per l’acquisto di macchine agricole, e di beni mobili in generale, difficilmente superano i 7-8 anni, anche ricorrendo al prefinanziamento. Questo significa che l’agricoltore si troverà, per i primi anni, a dover sopportare un costo (finanziario) a ettaro ben superiore, destinato a generare residui passivi che potranno essere interamente recuperati solo alla fine dell’ammortamento. In termini di valore patrimoniale, negli ultimi dieci anni di ammortamento il parco macchine varrà molto meno di quello che è costato: nel caso in cui l’azienda debba riconvertire la produzione per ragioni di mercato, ciò si traduce in un costo secco che non potrà mai essere recuperato. Chi avrebbe immaginato, solo 10 anni fa, quale fine avrebbero fatto comparti produttivi che apparivano solidi e indistruttibili, come la barbabietola o il tabacco? Lungi dall’intenzione di chiamare nuove disgrazie, programmare un acquisto (e un periodo di ammortamento…) con 20 o 25 anni di anticipo sembra comunque rischioso, perché troppo rapida è l’evoluzione a cui è oggi soggetta l’agricoltura.
Un esame approfondito della tabella, che riporta peraltro solo i dati più importanti, ci mostra che i tempi di ammortamento sono piuttosto lunghi anche per l’impresa agromeccanica: perché, per esempio, sono stati considerati 6 anni per le operatrici e 9 per le trattrici? La risposta è breve e lapidaria, anche se può sembrare semplicistica: per comodità. I periodi indicati sono quelli riscontrabili nei bilanci aziendali, per la cui redazione si applicano le percentuali annue riconosciute per l’ammortamento fiscale, relativamente alle attività ricomprese fra le “industrie agrarie e boschive”:
- per le macchine agricole operatrici, il 20% annuo;
- per le trattrici, il 12,5% annuo.
Dato che nel primo anno la quota di accantonamento ordinaria deve essere ridotta del 50%, per le prime il periodo di ammortamento sale a 6 anni, per le seconde a 9. Non sono, tuttavia, valori astrusi: una falciacondizionatrice impiegata correttamente, anche se soggetta a un uso intenso, dopo sei campagne ha ancora un valore commerciale tangibile, così come una trattrice con 9 anni di impiego. In ogni caso, si tratta di valori ancora compatibili con la durata dei finanziamenti: non tutte le macchine si cambiano a quella età, ma il riferimento alle ore di lavoro annue identifica un impiego tale da evitare un investimento eccessivo in fase di sostituzione. In linea di principio, la vera innovazione viene apportata dalla macchina che tratta il prodotto che ci interessa e, in misura minore, dalla trattrice che la aziona. L’affermazione contrasta con quanto pensano i non addetti ai lavori, tentati a valutare in termini di “modernità” i mezzi di trazione – forse per la facilità di confronto con altri veicoli – piuttosto che un umile attrezzo, spesso inteso come uno stolido “pezzo di ferro”.
Superfici ampie e usi intensivi
È chiaro che la tecnologia assiste entrambi gli elementi di un cantiere di lavoro, ma se ci preme ottenere un fieno di qualità la trattrice ha un ruolo assai meno importante di un buon sistema di condizionamento, capace di accelerare la perdita di umidità e ridurre le perdite di nutrienti; lo stesso discorso vale per il ranghinatore o per la pressa, se riescono a trattare il prodotto senza perdite, o a produrre balle che consentono di completare l’essiccazione del fieno. Dato che l’evoluzione tecnologica è un processo ormai continuo (i salti improvvisi si verificano solo per le tecnologie meno mature), si capisce come sia sempre vantaggioso ridurre i tempi di ammortamento, per consentire un frequente avvicendamento delle attrezzature. Questo è possibile, però, solo per la grande azienda o per l’impresa agromeccanica, che possono contare su superfici ampie e impiegano le macchine intensamente: ma la piccola azienda come potrà seguire il progresso se è costretta a tenersi una macchina per almeno 20 anni? Si potrebbe aggiungere che l’azienda agricola di minore estensione, con scarsi mezzi economici, tende a privilegiare le macchine di minor costo iniziale; ma poiché si paga ciò che si compra e si compra solo per quanto si è disposti a pagare, si finisce per acquistare tecnologie già in declino, votate a diventare precocemente obsolete. Comprare una macchina all’avanguardia ogni vent’anni non equivale a fare innovazione, quando si sa già che per dieci anni si dovrà lavorare con tecniche antiquate; ma comprare quello che costa meno (e vale poco) rende tutto più difficile.
Il confronto sui tre cantieri è stato fatto considerando ipotesi minimali, proprio perché fossero confrontabili sulla scala di qualche decina di ettari: ma un terzista specializzato nella fienagione non potrà mai mettersi sul mercato con macchine da coltivatore diretto. Un’azienda professionale, che tratta superfici di centinaia o migliaia di ettari, non sa che farsene di un ranghinatore da 4 metri o di una falciatrice da 2,5 m: ma su una scala diversa anche i costi a ettaro si contraggono, portando l’azienda agricola del nostro confronto ampiamente fuori mercato.
La fienagione, se destinata al conseguimento di un prodotto di alta qualità – l’unico che può garantire sicura commerciabilità e redditività – si sta rivelando un’attività per pochi, destinata ad aziende specializzate e professionali. L’altra foraggicoltura, quella destinata a sostenere l’allevamento aziendale, deve comunque modernizzarsi e questo è possibile solo al di sopra di una certa superficie minima, capace di assicurare un impiego intensivo, in grado di consentire un ammortamento rapido e un rapido avvicendamento delle attrezzature, per seguire l’evoluzione della tecnica.
Paradossalmente, chi produce in proprio il foraggio non sempre tiene conto della qualità di ciò che porta in cascina: abbiamo decine di latticini coperti da Dop che vengono prodotti con latte derivante da allevamenti dove l’attenzione alla qualità degli alimenti è ancora legata al giudizio dell’allevatore, senza una codificazione precisa della qualità della razione. È proprio a queste aziende che si rivolge oggi il contoterzista professionale: aziende che devono concentrare la propria attenzione e le proprie risorse sull’ottimizzazione del processo produttivo e sulla valorizzazione del latte prodotto, lasciando allo specialista la gestione delle superfici foraggere.
di Roberto Guidotti