La possibilità di osservare il mondo dall’alto, così come il volo, sono sempre state uno dei sogni dell’uomo; un sogno divenuto realtà solo nell’età moderna – con i primi aerostati – e, appena 114 anni fa, con l’invenzione e la diffusione di “macchine volanti” più pesanti dell’aria.
Un sogno oggi alla portata di tutti, grazie alla miniaturizzazione di motori e apparecchi elettronici, come le videocamere digitali, quando equipaggiano i cosiddetti “aeromobili a pilotaggio remoto”, come sono ufficialmente designati i droni. Ma, accanto alla denominazione ufficiale, sono sorte diverse prescrizioni che limitano fortemente l’impiego di questi dispositivi, solo apparentemente inoffensivi. Il volo dei droni, potendo teoricamente invadere lo spazio aereo o costituire pericolo per le persone, è soggetto a regole rigide e, nei casi più gravi, a pesanti sanzioni
L’Enac, ente nazionale l’aviazione civile, ha emanato fin dal 2013 un regolamento, ripetutamente aggiornato, per disciplinare l’impiego di questi apparecchi a tutela della sicurezza della popolazione e degli altri mezzi aerei. Anche se alcune precauzioni possono apparire eccessive, un drone per impiego commerciale può rappresentare un serio pericolo per la sicurezza in volo, particolarmente nelle aree vicine agli aeroporti; ma anche un “giocattolo” da 200 grammi, lanciato a velocità di qualche decina di km/h, può fare i suoi bei danni.
L’impiego in agricoltura
La ripresa di immagini o filmati rientra fra le attività specializzate; per l’uso in agricoltura i droni sono equipaggiati con telecamere ad alta risoluzione operanti nell’infrarosso, capaci di misurare l’indice di vegetazione delle colture (Ndvi) e valutarne lo stato di salute. I droni di impiego professionale sono dotati di caratteristiche tecniche sofisticate come il controllo Gps o i sistemi di guida assistita, anche fuori del campo visivo del pilota (sempre abilitato); sono inoltre previsti obblighi similari a quelli degli aeromobili commerciali, riguardo al programma di manutenzione e ai comandi di emergenza, indipendenti dal radiocomando principale.
L’impiego in agricoltura è vantaggioso soprattutto quando si lavora su coltura specializzata, che ha un valore della produzione assai maggiore rispetto ai seminativi e può quindi tollerare un costo ad ettaro del telerilevamento superiore a quello ottenibile dall’immagine satellitare. Sulle colture legnose è inoltre necessario un potere di risoluzione centimetrico, in grado di misurare, ad esempio, lo stato vegetativo di ogni singola pianta, per intervenire in modo mirato e applicare correttamente i principi dell’agricoltura di precisione. Una risoluzione tanto accurata – che può scendere anche al singolo frutto – è realizzabile solo con i droni, dotati di camere ad infrarossi di altissima precisione; esistono in proposito sistemi in grado di valutare le fitopatie prima che queste si rendano visibili ad occhio nudo e possano danneggiare la produzione, sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo.
Grazie al drone – ovviamente con caratteristiche idonee – è inoltre possibile intervenire sulla chioma, anche in posizioni difficili da raggiungere da terra, con un altissimo livello di precisione e di successo, senza spreco di principi attivi, soprattutto in regime di lotta biologica. Questo genere di operazioni è possibile solo con l’uso di apparecchiature di impiego professionale, e di operatori altamente specializzati, sia per i vincoli normativi legati all’effettuazione dei voli, sia per la rilevazione e l’elaborazione dei dati.
Droni o aeromodelli?
Dai più semplici oggetti volanti, fino a quelli più complessi e sofisticati, ciò che distingue un aeromodello da un “aeromobile a pilotaggio remoto” o Apr, è l’impiego che se ne fa. In pratica, se l’apparecchio viene usato per svago o per sport (l’aeromodellismo è uno sport riconosciuto, con una propria federazione) è un aeromodello e basta; se invece viene impiegato per un’attività specializzata – come le riprese aeree – siamo in presenza di un Apr.
La normativa sugli Apr comprende, del resto, anche gli aeromodelli, con la sola eccezione di quelli a “volo libero” (non radiocomandati) e di quelli che volano in cerchio, vincolati con cavi al pilota. Un drone leggero può superare i 50 km/h, e può essere pericoloso non solo per la sua energia di impatto, ma anche per le eliche (di nylon o di carbonio), che ruotano ad altissima velocità (oltre 10.000 giri/min). Per far volare un drone, o un aeromodello, a puro scopo di divertimento non è richiesta alcuna abilitazione specifica, ma il solo il rispetto di diverse precauzioni, per la sicurezza delle persone (ad esempio, in caso di manifestazioni pubbliche o nei centri abitati), o dell’aviazione civile.
L’idea di trovarsi su un aereo in decollo le cui turbine si “mangiano” un drone sfuggito al radiocomando non è allettante, e se fino ad ora – almeno in Italia – non è accaduto nessun incidente del genere, lo si deve anche alla severità della normativa. Il territorio nazionale è in gran parte coperto da queste aree, dislocate ovviamente intorno agli aeroporti, agli insediamenti militari (caserme, eliporti, poligoni di tiro, ecc.) e in generale nello spazio aereo interessato dal volo a bassa quota, come i corridoi di atterraggio e decollo. Prima di effettuare voli all’aperto, anche a scopo puramente ricreativo, è opportuno informarsi se ci si trova in una zona soggetta a limitazioni (magari sul sito ufficiale www.enac.gov.it), per evitare di incorrere in pesanti sanzioni. Il volo deve obbligatoriamente avvenire senza perdere mai di vista il drone (colline, alberi o fabbricati), evitando aree congestionate, assembramenti di persone, agglomerati urbani o strutture sensibili.
Per i droni con peso al decollo inferiore a 300 grammi, eliche protette e velocità massima non superiore a 60 km/h non è prevista alcuna abilitazione per il pilota; tuttavia, se il drone svolge attività di ripresa aerea, è necessario comunicare preventivamente i dati del volo all’Enac, sul relativo sito Internet. Per i droni più pesanti (fino a 2 kg al decollo, ma qui entriamo già in ambito professionale) è pure prevista la comunicazione preventiva, con la differenza che il pilota deve essere munito di un’apposita abilitazione alla guida, rilasciata da una scuola di volo abilitata dall’Enac. I droni ancora più pesanti sono soggetti ad obblighi aggiuntivi, quando svolgono operazioni “critiche” come il sorvolo di centri urbani, di aree sensibili o di assembramenti di persone, che consistono principalmente nella richiesta preventiva di autorizzazione al volo.