Conosciamo gli effetti economici e agronomici mediamente ottenuti nell’applicazione dell’agricoltura conservativa delle precedenti campagne, caratterizzate da stagionalità sempre meno miti e temperate ma, pur in un contesto di cambiamenti climatici, meno invasive e dirompenti di quanto nella campagna agraria scorsa (2022) il Climate Change ci ha fatto toccare con mano nel nostro areale produttivo Padano. Applicare le tecniche dell’agricoltura conservativa, anche con diverse intensità e continuità, nei cereali autunno-vernini rappresenta una potenziale opportunità per accrescere la sostenibilità, declinata principalmente in aspetti di carattere agronomico, ambientale ed economico. Tale approccio si pone l’obiettivo di incrementare la fertilità dei suoli, ridurre i consumi di combustibili, nonché l’impatto ambientale, anche limitando le emissioni e contestualmente contenendo i costi di produzione.
Della campagna agraria conclusa nell’autunno 2022 ci ricordiamo il clima estremo, temperature elevatissime e siccità che hanno mortificato l’accrescimento e le rese delle produzioni, comprese quelle autunno-vernine, e devastato le produzioni agricole estive a semina primaverile in termini quanti-qualitativi. Non abbiamo certamente dimenticato i valori dei costi di produzione che abbiamo sostenuto per le coltivazioni raccolte e i costi delle anticipazioni colturali che si riverberano sulla campagna corrente. I costi di produzione hanno raggiunto i massimi storici, spinti dal caro energia che ha inciso, oltre che sui carburanti e sulle attività agro-meccaniche, anche su tutte le materie prime quali sementi, fitofarmaci e soprattutto fertilizzanti, peraltro di difficile reperibilità.
Ricordiamo anche gli elevati prezzi di mercato delle produzioni cerealicole, che hanno toccato le punte più alte degli ultimi decenni, quotazioni che hanno permesso in molte situazioni di compensare gli accresciuti costi di produzione. Prezzi dei cereali che nelle ultime settimane di mercato iniziano inesorabilmente a scendere, facendoci preoccupare rispetto alla copertura dei già conclamati elevatissimi valori delle anticipazioni colturali che interessano il grano in accrescimento ora e di cui non conosciamo le quotazioni che troveremo alla raccolta. Rimane almeno la speranza che valori del grano più contenuti e decrescenti trascinino verso il basso anche il costo delle materie prime e delle operazioni colturali a venire, ma storicamente i costi di produzione sono più lenti a scendere del “decalage” dei prezzi di vendita.
Effetti economici
Il desiderato di ogni cerealicoltore sarebbe di ottenere alta resa ettariale con alto prezzo di mercato e basso costo di lavorazione, ma tale combinazione è mutevole e piena di variabili di sovente non determinate dall’azienda agricola, ma necessariamente da gestire. La minimizzazione dell’impatto meccanico sul suolo viene declinata nell’adozione della semina diretta o al massimo con minima lavorazione superficiale, in sostituzione di lavorazioni profonde come l’aratura che comportano inversione degli strati del suolo e successive operazioni di affinamento in preparazione del letto di semina. Naturalmente rimangono altre operazioni colturali comuni a entrambe le modalità produttive come la semina, i trattamenti erbicidi, la difesa della coltura, le fertilizzazioni e la raccolta.
Nell’analisi svolta (tab. 1) si considerano analoghi i costi ettariali dei mezzi tecnici quali fitofarmaci, sementi e fertilizzanti in entrambe le modalità di coltivazione, limitando alle lavorazioni del terreno, o alla loro assenza, i differenziali economici. Ovviamente si prendono in esame le specifiche rese ettariali al fine di evidenziare i distinti risultati produttivi e le relative incidenze economiche per unità di parametro in entrambe le modalità utilizzate. Alle rese contribuisce non solo un terreno ben preparato, ma anche il clima, come per la lavorazione del terreno non sono rilevanti solo lo stato di compattamento del terreno e il tenore di umidità presente che determinano assorbimenti di quantità variabili di energia, ma anche gli aumenti continui dei costi dei carburanti che, se pur oggetto di interventi di contenimento da parte degli organi di governo, hanno contribuito a far salire significativamente i costi di lavorazione.
Come tutti sappiamo l’aratura e l’affinamento del terreno vengono svolti con cantieri di grande potenza e massa combinati ad attrezzi che richiedono assorbimento di potenza sia per il traino, come con l’aratro, sia successivamente alla presa di forza come con gli erpici rotanti usati per affinare il terreno. Evidentemente il sodo esclude a priori queste operazioni e conseguentemente i relativi costi, ma sconta minori rese. La redditività poi dipende anche significativamente dai prezzi di mercato e dal mix di queste variabili ne deriva il risultato reddituale. La fig. 1 evidenzia, per il periodo analizzato, una resa ettariale costantemente superiore con la modalità di coltivazione tradizionale, anche se abbastanza contenuta (in media 5-8 q/ha). Questa maggiore resa, ovviamente più allettante con alti prezzi di mercato, dovrebbe giustificare i costi sostenuti per la lavorazione del terreno. L’assenza, con la semina su sodo, delle attività che richiedono il maggior uso di carburante quali la lavorazione primaria e secondaria del terreno, ha determinato risparmi a ettaro rispetto al sistema convenzionale fino a 400 euro circa, quasi 100 euro in più di quanto successo negli anni precedenti ove i risparmi rispetto alle attività convenzionali si attestavano a circa 300 euro (fig. 2).
Ne consegue un costo ettariale che, per comprensione in termini di grandezza e impatto, riparametriamo a quintali di grano valorizzati al prezzo medio dell’annata, per un importo pari al costo delle lavorazioni. Pertanto si evidenziano in fig. 3 quanti quintali di grano sono erosi dai costi sostenuti per l’aratura e l’affinamento del terreno. Inoltre, si mette in luce la riduzione del potere di acquisto delle maggiori rese ottenute in modalità convenzionale. Con prezzi di mercato del grano bassi non si giustificano alti costi di lavorazione, che assorbono alte quantità di produzione ottenibile. A titolo esemplificativo col grano a 20 €/q, 300 €/ettaro di lavorazione del terreno assorbono circa 15 di quei 20 euro e spesso rappresentano un quarto della resa ettariale. Con un prezzo del grano di 30 €/q, invece, vengono assorbiti solo circa 10 q di produzione e con 35 €/q dell’annata attuale solo circa 8,5, se i costi di lavorazione si fossero mantenuti a 300 €/ettaro. Avendo, però, computato questi a circa 400 €, gli assorbimenti salgono a circa 11-12 q/ha. In sintesi, se si lavora il terreno, occorrerebbe produrre almeno 10–15 quintali di grano in più per ettaro contando su prezzi mercato superiori a 25 €/q, prezzi raggiunti solo in tre stagioni, di cui le ultime due sono state accompagnate da costi straordinariamente alti.
Dall’analisi dei dati di resa ettariale, relativi all’areale considerato dal 2007 a oggi, come differenziali produttivi non si sono mai verificati scostamenti superiori a 7-8 q/ha (in un solo anno registriamo un picco di 10 q/ha). A conferma dei dati analizzati, la redditività espressa dall’applicazione dell’agricoltura conservativa con intensità congrue ai contesti specifici è sempre superiore, anche se talvolta di poco, a quella ottenuta con la lavorazione principale e secondaria del terreno.
Effetti agronomici
Con rese medie ettariali buone ma non altissime, mai superiori agli 80 q/ha, il divario produttivo tra produzione in coltivazione convenzionale e su sodo, nel periodo e nell’areale considerato, si attesta mediamente su circa 4-5 q/ha. Aumentando gli obiettivi di resa a 85–90 e oltre q/ha, il differenziale produttivo ettariale, necessariamente derivato da un maggiore apporto di nutrienti e fitofarmaci, potrebbe verosimilmente aumentare, in quanto il franco di coltivazione lavorato potrebbe rispondere meglio alle interazioni tra suolo, pianta, acqua. La lavorazione del terreno ha certamente effetti positivi sullo stato fisico e sulla porosità del suolo agrario, soprattutto se lo stesso è stato compattato, ma non sostituisce il tenore della sostanza organica che è fondamentale allo stato di fertilità del terreno nel tempo. Caratteristica, quest’ultima, meglio preservabile e/o ripristinabile adottando le tecniche dell’agricoltura conservativa rispetto al convenzionale. Ovviamente la maggiore resa, da cui derivano necessariamente maggiori costi, potenzialmente ottenibile nel sistema convenzionale sarà tanto più redditualmente opportuna quanto più sarà alto il prezzo di mercato.
Oltre 15 anni di coltivazione
L’applicazione dell’agricoltura conservativa nella produzione di cereali autunno-vernini (l’analisi è stata svolta su oltre 15 anni di coltivazione di grano tenero nell’areale Padano e non presenta risultati significativamente diversi nella coltivazione del grano duro) evidenzia che la sostenibilità economica della coltura migliora anche con applicazioni limitate alla sola semina su sodo. I motivi sono da ricercarsi sostanzialmente nella necessità di ridurre i costi di produzione, tra i quali la lavorazione principale e secondaria del terreno in preparazione del letto di semina risulta essere molto onerosa e non indispensabile se non quando la struttura del terreno è fortemente deteriorata.
Ad amplificare il concetto, contribuiscono anche i prezzi di mercato bassi registrati dal 2007 sino al 2020, che si sono in media attestati sempre al di sotto dei 20 €/q, in sintonia con i valori del mercato globale. Con tali bassi valori, i costi ne assorbono una quantità rilevante rispetto alla resa, per cui con prezzi più alti i risultati migliorano. Nelle ultime due campagne (stagione 2021 e 2022) i prezzi di mercato sono aumentati di circa 10 € nel 2020 e ulteriori 5–6 € nel 2022, arrivando a superare i 35 €/q di grano tenero. Tali valori hanno spinto significativamente verso l’alto la produzione lorda vendibile ettariale del grano tenero, ovviamente tanto più quanto più è alta la resa ettariale, ma non assicurano il risultato reddituale conseguente anche ai costi di produzione. Pertanto, i cerealicoltori possono essere stati stimolati a porsi obiettivi di resa più alti che in passato. Purtroppo, anche tutti i costi dei mezzi di produzione di questi ultimi 2 anni sono andati incontro ad aumenti e alcuni anche più di quanto non abbia fatto il prezzo del grano. In particolare, i costi energetici hanno accresciuto il ricorso a mezzi tecnici e attività agromeccaniche. I costi della lavorazione del terreno hanno raggiunto quasi i 400 €/ha e assorbono comunque una quantità di grano considerevole, pur se riparametrati ai prezzi attuali pari a circa 12–14 euro, ma solo grazie al prezzo più alto degli ultimi decenni che difficilmente si manterrà nel prosieguo.
Possiamo pertanto concludere che anche in contesto di prezzi molto alti la ricerca di alte rese, se non è combinata a bassi costi, non assicura l’indispensabile redditività della produzione. L’applicazione delle tecniche di agricoltura conservativa aiuta a migliorare redditività e fertilità del terreno nel tempo.
L'autore è di Legacoop agroalimentare