La circolare congiunta del 4 marzo 2025, scritta a quattro mani dall’Ispettorato nazionale del lavoro e dalla Conferenza delle regioni e province autonome, ha stabilito che spetta al datore di lavoro di stabilire se una macchina possiede, o non possiede, i requisiti della Direttiva macchine. Il chiarimento non brilla certamente per tempestività, perché è stato diramato con 28 anni e mezzo di ritardo rispetto all’entrata in vigore della Direttiva 89/392/CE (21/09/1996). Da notare che nel frattempo altre norme ne hanno preso il posto, dalla Direttiva 2006/42/CE a fino al recente “Regolamento Macchine” 2023/1230 che entrerà in vigore il 20/01/2027.
Ricordiamo che tali direttive si applicano a tutto ciò che non è riconducibile ad attrezzi a mano, agli autoveicoli e motoveicoli, e ai “trattori agricoli o forestali”: ogni altro strumento di lavoro, non azionato dalla forza muscolare, rientra nel concetto di macchina.
Fin dalla prima Direttiva Macchine, il costruttore deve attestare, con apposita dichiarazione (CE) che la macchina è stata oggetto di una valutazione dei rischi, è dotata del “manuale CE” che ne riassume le caratteristiche, e del bollino CE che ne consente l’immediata identificazione.
Capita ancora con frequenza, nonostante il tempo trascorso, di trovare macchine che erano già in uso alla data del 21/09/1996 e che non sono dotate né del bollino, né della certificazione CE. Come comportarsi, possono essere ancora utilizzate o devono essere demolite? Queste macchine, se tenute in efficienza, possono continuare a essere utilizzate a condizione che il datore di lavoro le abbia adeguate alle prescrizioni tecniche indicate nell’Allegato V al Testo Unico sulla sicurezza (decreto legislativo n. 81/2008).
Ma come? Nel dubbio qualcuno ha scelto di affidarsi a un tecnico per mettere insieme i documenti richiesti dalla direttiva o per attestare, con la propria capacità professionale, che la macchina risponde alle caratteristiche indicate nell’Allegato V. La procedura descritta, secondo la recente circolare, è ammessa, ma non obbligatoria: gli ispettori devono solo limitarsi a verificare che la macchina sia stata adeguata alle dotazioni minime di sicurezza indicate nell’Allegato V. L’adempimento rientra infatti fra le competenze primarie del datore di lavoro: l’art. 71 del Testo Unico prevede che lo stesso debba mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all’articolo 70, come stabilito dal predetto Allegato V.
Non basta una perizia tecnica
È quindi il datore di lavoro che deve verificare la rispondenza delle macchine affidate ai lavoratori: una eventuale perizia, ancorché redatta da un tecnico abilitato, lo può soccorrere sul piano tecnico, ma non lo esonera dalle sue responsabilità. L’eventuale predisposizione di un manuale di uso e manutenzione – che pure rientra negli obblighi documentali del costruttore della macchina marcata CE – non è compresa fra i compiti del datore di lavoro per le macchine costruite in un’epoca in a cui non si applicava la direttiva macchine. Il manuale può essere un utile strumento di consultazione, specie se la tecnologia su cui è stata impostata a suo tempo la macchina è superata dal progresso tecnico; può inoltre essere utile per l’addestramento degli operatori, ma non rientra fra gli obblighi del datore di lavoro.
La precisazione sottintende però un altro fatto, che merita di essere approfondito e che riguarda le macchine che non possono essere “messe a norma” per oggettive difficoltà operative o costruttive e che non hanno altra alternativa oltre alla dismissione dal ciclo produttivo. Il non tenere conto di un’eventuale perizia o relazione tecnica evita automaticamente il rischio che il datore di lavoro possa aggirare le norme, procurandosi una certificazione puramente formale che non incide sulle condizioni reali di sicurezza.