«Se va bene il Parmigiano, andiamo bene tutti». È quasi un mantra, in provincia di Parma. Non lo recitano soltanto gli allevatori – che ne avrebbero chiaro motivo – ma un po’ tutta la filiera dell’agricoltura, dai venditori di macchine ai commercianti di materiali per la stalla, dai produttori di mangimi ai concessionari automobilistici. Che evidentemente non sono parte della filiera, ma se il Parmigiano “tira”, l’allevatore qualche sfizio se lo toglie e magari cambia anche la macchina, oltre al trattore. Lo dicono anche – e non potrebbe essere altrimenti – i contoterzisti.
Con ragione, perché quando il prezzo del latte scende, gli allevatori tirano i remi in barca e tendono a spendere il meno possibile. Con effetti anche sui lavori agricoli: chi se li fa in proprio, chi cerca l’aiuto del vicino o rimanda del tutto, se il lavoro, è rimandabile.
Periodo positivo
Fortunatamente, da qualche anno il Parmigiano sta conoscendo un momento d’oro e dunque c’è lavoro – e guadagno – per tutti. Anche per gli agromeccanici, chiamati con una certa frequenza a fare, oltre alla raccolta dei cereali, anche preparazione del terreno, livellamenti, trattamenti. «È proprio così: se va bene il Parmigiano, stanno bene tutti. Se va male, si ferma l’agricoltura di tutta la pianura parmense», conferma Pietro Minari, che con il figlio Federico e due dipendenti gestisce un’azienda famigliare, ma ben avviata a Vicomero, pochi chilometri a nord di Parma. «In questi anni, avendo un po’ di soldi in tasca, gli agricoltori ci chiamano più di frequente. Negli anni scorsi, quando c’era la crisi del Parmigiano, anche il nostro lavoro ne ha risentito».
La situazione, anche se adesso le cose vanno bene, non è invidiabile, perché essere quasi totalmente dipendenti dalle fortune o avversità di un solo prodotto non è mai una buona idea. «Purtroppo, negli anni si è venuto a creare questo stato di cose. Un tempo in zona c’era parecchio mais e anche tante bietole. Il mais, oggi, anche per la questione delle aflatossine, è quasi scomparso dal territorio e le bietole, che si stavano lentamente riprendendo, hanno subito un colpo probabilmente mortale nella scorsa stagione, a causa del Lisso (Lixus junci, ndr) che in zona ha fatto gravi danni».
Patologie e quotazioni basse hanno insomma affossato, una dopo l’altra, le classiche colture della pianura Padana, favorendo l’accentramento su pochissime varietà. «Grano e soprattutto foraggi hanno preso il posto di mais e bietole. C’è chi fa un po’ di soia o di sorgo, qualcuno prova con il girasole, ma l’agricoltura di quest’area è legata alla foraggicoltura e ai cereali a paglia. Che tuttavia rendono molto meno di fieno e stalla». C’è però, in provincia di Parma, un’affermata tradizione di orticoltura; nella fattispecie, per il pomodoro da industria.
«È vero, si tratta di una realtà che non si può trascurare. Si sente qualcuno che si lamenta per le scarse produzioni, ma chi coltiva in modo professionale porta a casa il suo guadagno. Al contrario, chi si improvvisa produttore di pomodori, non fa molta strada».
Le macchine
L’attività dei contoterzisti si adegua alle scelte degli agricoltori. «Noi facciamo raccolta di mais, sorgo, prodotti da seme e grano. Poi aratura, diserbi e trattamenti per pomodoro e bietole e naturalmente fienagione. Tanta fienagione». Per la trebbiatura, i Minari hanno due macchine, entrambe Claas: una Tucano 320 e la nuova Lexion 570, acquistata nel 2019. Claas anche le presse – due Quadrant – mentre i trattori sono Fendt. Sotto i capannoni dell’azienda ne troviamo un vasto campionario, dal 415 al 936, ai quali i Minari abbinano aratri ed erpici, ma soprattutto falciacondizionatrici. «Ne abbiamo cinque, tutte Claas: due Disco e tre Comfort, che usiamo per i prati nuovi, in quanto hanno un buon taglio e non accumulano terra, per cui non rovinano il tappeto erboso. Macchine sia a rulli sia a flagelli – spiega Federico Minari – che utilizziamo in base al prodotto da tagliare: per la medica scegliamo quasi sempre il condizionamento a rulli, mentre per i loietti va meglio il flagello, efficace e produttivo».
I clienti, ci spiegano i due contotezisti, sono le tante stalle della zona, ma anche qualche grossa realtà. «Attualmente abbiamo la commessa della fienagione presso la stalla di Boni, una società che è tra le più grandi produttrici di Parmigiano Reggiano del territorio. Il resto dei clienti è di dimensioni molto minori: parliamo di 30-50 ettari. Sono spesso agricoltori che lavorano direttamente i terreni e ci chiamano quando non riescono a fare tutto».
Fieno e paglia
La raccolta riguarda principalmente grano e cereali a paglia, visto che il poco mais coltivato, spiegano i contoterzisti, finisce nel digestore Eridania. «Qualche anno fa molti raccoglievano la granella, oggi si fa soltanto trinciato e un po’ di pastone. Nessuno secca in campo per paura delle aflatossine, che da noi sono molto presenti». C’è però un prodotto alternativo al fieno e sul quale i Minari si stanno specializzando. «La raccolta del grano comporta la produzione di paglia, che peraltro in quest’area ha un valore non trascurabile. Le stalle la chiedono sia come lettiera sia per mischiarla alla razione alimentare, così da stimolare il rumine».
I Minari si sono quindi concentrati sulla paglia, per la raccolta della quale hanno acquistato, nel 2019, una nuova pressa quadra. «La Quadrant Claas è arrivata in effetti soprattutto per questo motivo, anche se poi abbiamo fatto quasi cinquemila balle di fieno. È una macchina molto produttiva e anche versatile. Si muove bene negli spazi stretti e poi è in grado di trattare delicatamente la medica e di arrivare vicina ai 5 quintali con la paglia».
Quest’ultimo prodotto, in una terra di stalle, è assai richiesto, ma deve soddisfare precisi requisiti. «In primo luogo, deve essere sana e pertanto non deve aver preso pioggia. Se si bagna, asciugando diventa nera e perde gran parte del suo valore. Se, invece, si ha della paglia bella, pulita e della varietà giusta, qualcosa si guadagna». La varietà, fa notare Federico, ha un suo peso, in effetti: «La paglia di grano duro è poco apprezzata, come pure quella d’orzo, anche se c’è qualcuno che la preferisce al frumento tenero. Non ha molta importanza, invece, la lunghezza».
Negli ultimi anni, in materia, tutto è cambiato: «Mentre un tempo tutti volevano la paglia lunga e integra, oggi in tanti ci chiedono di tagliarla con il rotore, perché fa perdere meno tempo quando si apre la balla ed è molto più semplice da gestire. E pensare che, anni fa, avevamo comperato la Tucano 320 proprio per non maltrattare la paglia». Anche se, precisa il giovane contoterzista, anche la Lexion 570 produce una paglia molto valida: «Basta rallentare un po’ il movimento del rotore e si ottiene un buon prodotto. Avere la trasmissione dei rotori separata da quella dei battitori permette di regolare la macchina come si vuole».
Non avere più lamentele per la paglia triturata è ovviamente un bel vantaggio per un contoterzista, che può così far esprimere al meglio le sue macchine. «E la Lexion 570, se fatta lavorare, si esprime davvero bene: si arriva a 30 ettari al giorno. Il rischio è semmai che chi riceve il prodotto non sia abbastanza attrezzato per lo scarico. Quest’anno, per esempio, nei giorni in cui tutti raccoglievano è capitato spesso di restare fermi ad aspettare i carri, perché il centro di stoccaggio non riusciva ad accogliere tutto il prodotto». Cose che capitano quando il grano è una delle colture principali del territorio e le mietitrebbie diventano sempre più performanti.