La figura del contoterzista puro, lo abbiamo sottolineato più volte, è una di quelle in forte calo. Non possiamo dire in via d’estinzione, ma l’evoluzione del mercato e la necessità di continuare a fare utili in azienda hanno spinto molte imprese agromeccaniche ad acquistare o prendere in affitto terreni e trasformarsi di fatto, almeno parzialmente, anche in agricoltori.
Non è il caso di Michele Pirani, contoterzista di Osimo (An) e titolare di un’azienda fondata nel 1995 sulle ceneri dei suoi predecessori. «Facciamo tutta la linea del contoterzismo – ci spiega – dalla semina alla raccolta, autotrasporti compresi, e gestiamo in toto aziende importanti, svolgendo nel contempo il classico servizio conto terzi “a chiamata”. Diciamo che tra terreni in proprietà o affitto e lavoro conto terzi il rapporto è di 1 a 10». Come aziende full line Pirani gestisce 600 ettari all’anno, che si triplicano se consideriamo le trebbiature, colture da seme incluse.
Ma cerchiamo di capire subito qual è il segreto per continuare a svolgere la tradizionale attività di contoterzista.
«Credo sia fondamentale rispettare tre regole base: assicurarsi, fare filiera e riscoprirsi bravi agricoltori. La prima regola è senza dubbio la più facile da seguire, mentre la seconda richiede un po’ più di impegno: del resto, però, quando la marginalità comincia a essere risicata, andare alla ricerca di qualcuno che sia in grado di assicurarti un determinato prezzo prima di seminare, credo sia una buona soluzione, anche perché, non avendo più la variabile del prezzo, posso concentrarmi meglio sulla produzione. Io, in particolare, sono riuscito a trovare un canale importante con alcune aziende sementiere del Cesenate. La terza regola è la più difficile, perché spesso siamo ancorati a tradizioni del passato e invece oggi bisogna in particolare applicare il concetto delle rotazioni e rispettare il terreno, rinunciando in alcuni casi a utilizzare trattori pesanti o preferendo cingoli o pneumatici a bassa pressione per le mietitrebbie.
Anche la diversificazione dell’attività può essere una valida soluzione, ma in certe realtà non tutti possono mettersi a seguire colture particolari. Per tornare sull’esempio del filone delle ditte sementiere del Cesenate, è un vestito che non può essere cucito per tutte le aziende».
Biologico e sodo
Nel discorso diversificazione rientra, oggi più che mai, anche il biologico, su cui Pirani ha le idee molto chiare. «A casa mia si fa biologico da 20 anni, quando ancora non era una “moda”, e noi ci crediamo davvero. È vero che i consumi in questo settore sono in crescita, ma spero solo che non sia una moda del momento o un escamotage per intascarsi dei contributi. È proprio nel biologico fatto come si deve che rientra il concetto di imprenditorialità, nel senso che non c’è spazio per gli improvvisatori e se sbagli, lo paghi caro».
Un altro settore dove non si può improvvisare è quello della semina su sodo. «Sono sempre stato un cultore del sodo – spiega Pirani – e anche questa tecnica non va gestita come ripiego, perché richiede programmazione e approfondite conoscenze agronomiche. Le Marche sono la regione regina del sodo che, se fatto bene, con le giuste varietà, conce e concimazioni, consente di produrre anche più del convenzionale. Mi dispiace solo che la Regione Marche non preveda alcun contributo per chi ha sposato questa filosofia: fa bene all’ambiente perché si usano meno i trattori e salvaguarda la sostanza organica nel terreno, perché non premiarla?»
A un’impresa agromeccanica così illuminata non si può non chiedere il rapporto che ha con l’agricoltura di precisione. «Certo, l’Italia non è la Romania, dove sono stato di recente e dove un’azienda media ha una dimensione di 2.000 ettari suddivisi in 4 appezzamenti da 500 ettari in un unico corpo, gestibili con un paio di mietitrebbie ad alte prestazioni, qualche trattore cingolato di elevata potenza e spandiconcime da 300 quintali, con produzioni di 50-70 q/ha di grano tenero, 25-35 q/ha di girasole, 70 q/ha di mais in asciutta e 150 in irriguo. La mia agricoltura ha numeri diversi, con economie di scala che non consentono di fare grandi salti tecnologici e con le mietitrebbie che passano più ore per gli spostamenti su strada che in campo. In ogni caso, vengo da oltre 10 anni di guida assistita e di chiusura automatica delle sezioni durante le concimazioni e i trattamenti con i classici kit satellitari. Quest’anno ho valutato anche l’opzione Rtk e vedremo: ogni investimento va ponderato bene, perché la trebbia che ho comprato quest’anno l’anno prossimo costerà di più, ma io probabilmente andrò a trebbiare qualche ettaro in meno, non in più. Comunque all’Rtk ci arriverò, così come alla mappatura e al rateo variabile, ma sono tutte tecnologie che dovremo proporre noi, perché l’agricoltore oggi non le chiede e se non le chiede, significa che non è nemmeno disposto a pagartele. Ma la strada è quella, anche se oggi la vedo più per la grossa azienda agricola che non per il contoterzista, in particolare per le superfici che abbiamo qui nelle Marche».
Parco macchine misto
Pirani ha due dipendenti fissi e si affida a una decina di stagionali nei momenti di picco, quando è fuori con cinque mietitrebbie, tre dumper, tre autotreni e scorte varie. Il parco macchine, dopo un’iniziale egemonia New Holland, oggi comprende diversi marchi per un totale di 5 mietitrebbie (3 Claas e 2 vecchie New Holland TR per trebbiare il ravanello), 15 trattori (da Claas a Deutz-Fahr, passando per Lamborghini e New Holland), 2 irroratrici (una Grim semovente e una 18 m portata) e attrezzature varie, comprese un paio di seminatrici da sodo (Maschio e John Deere).
A proposito di raccolta, Pirani passa dall’aneto alla lavanda, dalla melissa alla salvia, dalla menta al ravanello, dalla rucola alla rapa fino al colza e alla fava, quindi con diametri molto diversi e dove la registrazione della macchina è fondamentale. «Lavorare con queste colture delicate e passare a un “facile” grano o girasole, ti genera una sorta di “know how gratuito” dentro casa, per cui puoi mandare dal cliente i tuoi dipendenti senza che l’agricoltore debba preoccuparsi.
Noi ci teniamo a fare un lavoro di qualità, perché siamo noi che alla fine portiamo il conto all’agricoltore e non dobbiamo dargli modo di lamentarsi».
Chiudiamo con l’aspetto sindacale, dal momento che Pirani fa parte della giunta esecutiva dell’Apima di Ancona e Pesaro. «L’associazionismo apre di per sé a riflessioni positive – chiosa Pirani –: essere sulla stessa barca e remare tutti nella stessa direzione, c’è poco da aggiungere. Io sono parte attiva dell’associazione dal 2007, tante cose sono cambiate e altre cambieranno, e non è facile stare al passo con situazioni che mutano molto velocemente.
Cosa chiedere a un’associazione? Che più di me sia in grado di guardare avanti, di indicarmi se la strada che ho intrapreso è quella giusta o di procurarmi un paracadute se sto andando a sbattere da qualche parte. È sempre più difficile tenere insieme le persone e coinvolgerle nelle varie iniziative, però è anche vero che niente si ottiene con niente. Dispiace molto che il nostro mestiere non sia capito, anche in ambito agricolo, ma soprattutto a livello di opinione pubblica: credo che manchi l’anello di congiunzione con la gente per far capire l’importanza del nostro lavoro».