Figli d’arte

Bruno Pizzacchera, titolare, assieme al fratello Roberto e al cugino Angelo, della Pizzacchera Snc
La Pizzacchera snc di Parma è attiva da 65 anni e oggi condotta dalla seconda generazione

A voler estremizzare, Bruno Pizzacchera è alla sua terza vita. Dipendente di un’azienda meccanica prima, contoterzista oggi. In mezzo, una parentesi – ovviamente sovrapposta al lavoro – come organizzatore del Tractor Pulling italiano. E senza contare l’attività associativa, che lo vede, ancor oggi, vicepresidente dell’Apima di Parma. Ma quattro vite sarebbero troppe anche per lui, dunque limitiamoci a tre. E parliamo, ovviamente, soprattutto dell’attuale.

Siamo alla periferia nordovest del comune di Parma, dove ha sede la Pizzacchera Snc. Non un’azienda grandissima – ci lavorano a tempo pieno in sei – ma comunque storica. «La ditta esiste da 65 anni e noi siamo la seconda generazione», conferma Bruno. «Iniziarono mio padre e mio zio, mentre noi figli facemmo scuole professionali, abbastanza affini: congegnatore meccanico, motorista, tornitore. Dopo il diploma, andammo a lavorare in aziende esterne, anche per fare esperienza. Rientrammo quando i nostri genitori ci dissero che se fossimo stati interessati, avremmo potuto rilevare noi l’attività e proseguire il loro lavoro». Fu così che, una quarantina di anni fa, Bruno, con il fratello Roberto e il cugino Angelo, iniziò a fare il contoterzista a tempo pieno. Oggi i tre titolari sono attivamente al lavoro, mentre allevano la prossima generazione: «Mio nipote lavora già con noi e quindi, se vorrà, potrà in futuro mandare avanti la ditta. Al momento è assunto come dipendente, perché è giusto che prima di fare il titolare si cominci col fare l’operaio».

Il lavoro nel Parmense

L’agricoltura in provincia di Parma è fortemente condizionata dalla zootecnia e in particolare dal disciplinare del Parmigiano Reggiano, come noto. «In questa zona – conferma Pizzacchera – il mais è quasi inesistente: si incomincia a vederlo se ci si sposta a nord, verso il Po. Da noi dominano il grano e i fieni, in particolare erba medica. E poi c’è il pomodoro, che è il nuovo grande protagonista dell’agricoltura locale». Non è certamente una sorpresa, dal momento che Parma è, assieme a Piacenza, il principale bacino del Nord per il pomodoro da industria. «Lo fanno un po’ tutti, noi compresi. Del resto, pur avendo costi di produzione molto alti, soprattutto per la richiesta di manodopera e irrigazione, è l’unica coltura che dà un reddito accettabile all’azienda. Di solito, almeno: non certo in anni come questo, con produzioni quasi dimezzate dal maltempo prima e dal caldo prolungato poi». Sebbene non sia stata la più bersagliata dalle piogge, anche la provincia di Parma ha fatto i conti con una primavera molto difficile. «Problemi prolungatisi a inizio estate: ai primi di luglio, in un’ora sono caduti 100 mm di pioggia, allagando qualsiasi cosa. Naturalmente il maltempo ha bloccato lo sviluppo delle piante e creato problemi di peronospora. Da metà luglio in poi, invece, sono arrivate temperatura molto alte, con punte di 38 gradi, che hanno frenato le piante per stress termico».

Pizzacchera parla, in questo caso, come produttore e non agromeccanico. «Infatti. Come contoterzisti non facciamo raccolta di pomodori, ma soltanto trasporto: anche i nostri campi sono raccolti da un altro terzista. Ci siamo in parte consorziati, tra aziende, così da avere abbastanza ettari per raccogliere continuativamente. Come aziende singole, dovremmo fare un giorno di raccolta e tre giorni fermi ad aspettare il turno». A parte il pomodoro, sui 100 ettari che ha in affitto, la famiglia Pizzacchera coltiva grano, erba medica, mais dolce e soia. Facendo, come tutti, i conti con una rotazione che obbliga a cambiare coltura per tre anni dopo due stagioni di pomodoro. «Il problema è cosa coltivare per avere un minimo di reddito. Ci si butta sulla medica, visto che il grano, con il clima attuale, rende pochissimo e la bietola è quasi scomparsa».

Stagioni come le ultime, prevede Bruno Pizzacchera, diventeranno sempre più comuni. «Il clima è ormai cambiato e in campagna ce ne rendiamo conto molto bene. Annate che prima erano eccezionali stanno diventando la norma. Ormai l’eccezione sarebbe una stagione finalmente normale». Questo costringerà, prosegue, a ripensare anche l’attività agricola. «Dovremo cambiare modo di coltivare e forse anche colture. Il problema è cosa seminare, visto che le abbiamo provate ormai tutte, ma poche danno un reddito accettabile».

Un effetto del clima estremo è il divieto di lavorare nelle ore pomeridiane, emanato anche per la regione Emilia Romagna dal luglio scorso. «Un provvedimento che costringe a riorganizzare tutta l’attività. Per esempio, iniziando presto alla mattina o tornando in campo nel tardo pomeriggio. D’altra parte, certi lavori non si possono fare con 36 gradi, l’ordinanza ha una sua motivazione. Fortunatamente, non vale per il lavoro con i trattori, grazie alle cabine climatizzate».

Contoterzisti a tutto tondo

Parliamo però dell’attività agromeccanica, come doveroso. «Siamo contoterzisti puri: facciamo tutti i lavori agricoli, dall’aratura alla raccolta. Operiamo su cerali, fienagione e bietole, con due cantieri per raccolta e caricamento. Purtroppo, la bieticoltura è stata distrutta dalla chiusura degli zuccherifici e ancor oggi, sebbene ci siano segnali di ripresa, è una cosa totalmente diversa da un tempo. Si lavora per qualche ora e poi si resta fermi per giorni ad aspettare il carico. È più il tempo perso che il guadagno», si rammarica Pizzacchera.

Non che le altre attività di raccolta diano rese molto migliori. «La trebbiatura in quest’area si riduce a due settimane l’anno. Raccogliamo orzo, grano, un po’ di medica e di soia e qualche ettaro di sorgo. Il mais, come ho già spiegato, praticamente non esiste, per cui in autunno le macchine sono ferme. Ripagarle, con cicli di utilizzo così brevi, è difficile. D’altra parte, è un servizio che dobbiamo continuare a fornire».

In azienda le mietitrebbie sono ben tre, tutte New Holland: due CX, una 5090 Elevation e una 6070, e una vecchia TX 67, arrivata ormai a fine carriera. «Una macchina che si è ormai ripagata – scherza il contoterzista – mentre per ammortizzare le ultime tocca fare i salti mortali. Il costo del nuovo è spropositato, si va ben oltre i 300 mila euro per macchine che, lo ripeto, lavorano poche settimane l’anno».

Oltre alla meccanizzazione agricola, i Pizzacchera svolgono diversi lavori municipali e industriali. «Abbiamo qualche camion ed escavatore, con cui facciamo trasporti di ghiaia e inerti, sbancamenti e altri piccoli interventi». In autunno, ci dice, sono impegnati con le potature degli alberi e in inverno hanno 17 trattori pronti per lo sgombero neve. «Anche se ormai non nevica più, il servizio va garantito comunque. Per esempio, abbiamo quattro macchine fisse presso l’aeroporto. Il problema è se mai trovare il personale, perché lo sgombero neve si fa in ogni momento, compresi Natale e Capodanno. La neve, del resto, non guarda se è festa o no».

Un garage giallo e azzurro

Le macchine da raccolta, come abbiamo visto, sono tutte New Holland. Lo stesso vale per i trattori, a parte qualche vecchio Landini. «Siamo clienti fissi del Consorzio di Parma, che è concessionario New Holland. Sono macchine buone, ci troviamo bene. Abbiamo la gamma quasi completa dai 75 ai 290 cavalli. Il più piccolo è un T4, il più grande un T7 290. Di più, in questa zona, non serve». Il Parmense è noto per i terreni tenaci, ma, ciò nonostante, i Pizzacchera fanno tutto con meno di 300 cavalli: «Abbiamo la fortuna di vivere in un’area con terreni di medio impasto. I suoli più difficili si trovano verso i Po, dove d’altra parte ci sono anche campi sabbiosi. Per questo territorio un T7 è più che sufficiente. Anche perché i campi sono mediamente di piccole dimensioni: una macchina da 300 e più cavalli sarebbe sprecata».

In un angolo del capannone troviamo anche un T5 assai particolare, con due cingoli Camso al posto delle ruote posteriori. «Si tratta di una macchina che esce di fabbrica già cingolata e non è convertibile a ruote. È un bel mezzo, ci facciamo le semine e la preparazione del terreno, soprattutto per il pomodoro. È talmente leggero e ha una superficie di appoggio tale che non si vede quasi dove è passato. Per la preparazione primaverile è eccellente».


1Manutenzioni fai da te

I Pizzacchera, avendo alle spalle studi di meccanica, eseguono nella propria officina la maggior parte dei lavori sulle macchine. «Questo, almeno, fin dove è possibile. Con i trattori moderni, infatti, non si riesce a intervenire se non per cambio olio e filtri. I guasti richiedono la diagnostica e noi, ovviamente, quel software non l’abbiamo. Del resto, il futuro dell’agricoltura è nella tecnologia, per cui c’è poco da fare». Lo dimostra, secondo Pizzacchera, il piano Agricoltura 4.0, che ha portato un forte rinnovamento delle macchine. «Sicuramente i contributi sono stati un aiuto importante per molti, anche se qualcuno ne ha approfittato. Forse, e lo dico anche per i futuri sgravi fiscali, si potrebbe tenere una detrazione più bassa, ma rivolta a un numero più alto di aziende, perché ci sono tanti agricoltori che hanno bisogno di una mano».


2Fondatore del Tpi

Agli appassionati di Tractor Pulling il nome Pizzacchera dice molto. È stato infatti per anni il presidente di Tpi (Tractor Pulling Italia), nonché concorrente, in un team che presentava ben due mezzi. Tra cui, il noto White Angel. «Per anni abbiamo girato l’Italia e anche l’Europa, per gare e dimostrazioni, portando via tempo al lavoro. Si partiva al venerdì e si tornava alla domenica sera. In più, in inverno bisognava preparare le macchine. È stato un periodo esaltante, ma molto faticoso. A un certo punto ho dovuto scegliere tra gareggiare e organizzare gli eventi e molto a malincuore ho abbandonato l’agonismo. Quel periodo ormai è finito, ma resta sicuramente un bel ricordo».

Figli d’arte - Ultima modifica: 2024-09-18T10:59:21+02:00 da Roberta Ponci

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