Definimmo incoraggianti, proprio sulle pagine delle riviste Edagricole l'anno scorso, i risultati produttivi e valori di mercato del grano duro coltivato nell’areale Padano nel 2020.
Ma in questa stagione agraria i cerealicoltori accrescono ulteriormente le soddisfazioni reddituali, già ottenute con il tenero, grazie al frumento duro che evidenzia il miglior risultato di “resa-prezzo” e di marginalità degli ultimi 20 anni.
Dati riscontrabili su tutto l’areale produttivo del Nord Italia, sia per le rese sia per gli aspetti qualitativi e di salubrità del prodotto conformi agli standard dell’industria di trasformazione. Molto interessanti sia il prezzo d’apertura sotto trebbia (poco meno di 30 euro/q) che quello del primo mercato di agosto (35 euro/ q).
Ancor più la quotazione della Borsa merci del 26 agosto che, dopo un’impennata di oltre 8 euro/q, ha portato il prezzo sopra ai 43 euro/q per il grano duro n. 2.
Visualizza le figure e la tabella
Il valore medio del prezzo di agosto si sostanzia in circa 38 euro/q che utilizziamo quale valore per i calcoli per le analisi economiche di questo articolo.
Situazione di mercato con tendenza ulteriormente rialzista dei prezzi, ancora maggiore di quella pur buona del frumento tenero. Con gli analisti che, per entrambi i cereali, non ipotizzano variazioni nel breve-medio periodo.
L’andamento climatico ha visto un susseguirsi di temperature basse e alte con andamento molto diverso e soprattutto stagionalmente sfasato rispetto alle medie di lungo periodo e anche rispetto all’andamento anomalo del 2020 caratterizzato da fine inverno fino a maggio compreso, da assenza di piogge ed alte temperature a cui sono seguite precipitazioni a giugno.
In contrapposto nella stagione 2021 la primavera (maggio in particolare) è stata caratterizzata da temperature basse, ampiamente sotto media, mentre da giugno le temperature si sono repentinamente alzate. La bizzarria metereologica ha paradossalmente favorito rese e qualità delle produzioni cerealicole autunno-vernine (e penalizzato quelle primaverili) oltre ad attenuare le potenziali criticità alla salubrità delle cariossidi.
In fase di maturazione del grano duro non si sono riscontrate problematiche di salubrità causate da patogeni e/o fattori negativi. Il clima non ha permesso lo sviluppo di muffe e funghi sul grano duro coltivato nell’areale Padano, come invece frequentemente successo negli anni passati.
Nè si riscontrano problemi di peso specifico e proteine, che pur se non eccezionali rispettano comunque i parametri qualitativi richiesti dalla trasformazione, tanto che non si menzionano casi di declassamenti a grano foraggero di partite di prodotto.
In buona parte dell’areale considerato, le rese 2021 tornano a crescere e diffusamente si registrano circa 70 q/ha su lavorato, 65 q/ha con minima lavorazione e oltre 60/ha su sodo.
Le rese ottenute si attestano e superano i livelli di resa raggiunti nel 2012 e nel 2017, gli anni migliori prima di questa (fig. 1).
Anche in questa stagione di raccolta molto positiva per il grano duro, gli aspetti di resa e di qualità registrati devono fare riflettere sulla discontinuità degli andamenti.
Se analizziamo le ultime 5 campagne i dati di resa e qualità evidenziano un 2017 positivo per il combinato resa/qualità, un 2018 intermedio, un 2019 estremamente negativo e un 2020 discreto/positivo. Per poi arrivare all’eccezionale 2021.
Risultati contrastanti, conseguenti a cambiamenti climatici in grado di influenzare molto il binomio resa-qualità, ma non prevedibili e governabili da parte dei produttori agricoli. L’agricoltore ha comunque il compito di attenuarne le ricadute sul campo a difesa della produzione.
Gli strumenti potenzialmente a disposizione ci sono, sia preventivi che in tempo reale, sono anche innovativi ma, per meglio esprimere la loro efficacia, si debbono integrare a quelli classici agronomici che non vanno mai dimenticati, anche in tempo di agricoltura 4.0. Allungare la rotazione, accrescere il tenore di sostanza organica del terreno anche per aumentare il “potere tampone” del suolo e il trattenimento delle risorse idriche, preparazione accurata dei letti di semina e capacità di sgrondo delle acque in eccesso.
Il risultato produttivo quanti-qualitativo 2021, che esprime rese ettariali che vanno da circa 60 q nella modalità di coltivazione con meno input (il sodo) a 65 q applicando la minima lavorazione e circa 70 q su terreno lavorato in profondità, sono l’ulteriore prova del potenziale produttivo ottenibile in questo areale del Nord Italia.
Se poi si introducessero e utilizzassero le tecnologie 4.0 in tutte le fasi della filiera cerealicola dal campo alla trasformazione, i cerealicoltori sarebbero supportati a migliorare le loro azioni e l’efficacia del loro lavoro. Fin dai campi la filiera troverebbe anche negli areali produttivi del Nord un credibile percorso di raggiungimento degli obiettivi condivisi in termini quanti/qualitativi, oltre a rese difficilmente raggiungibili nei territori tradizionalmente vocati a grano duro del Sud Italia la cui produzione rimane insufficiente a soddisfare i bisogni della industria pastaria taliana.
Costi e punto di pareggio
L’incidenza ettariale dei costi di produzione rimane sostanzialmente immutata, ed è circa 10 euro in più a ettaro in tutte le modalità di coltivazione in analisi. Le variazioni di dettaglio sono rilevabili nella tabella che analizza il periodo considerato.
Nelle modalità produttive in analisi, senza considerare il canone di affitto, i costi ettariali sono rispettivamente di circa 1.521 euro/ha con l’aratura, poco più di 1.335 euro/ ha con la minima lavorazione e di 1.215 euro/ha su sodo.
La computazione dell’affitto, quando se ne fa ricorso, accresce, nell’areale considerato, mediamente di circa 600 euro/ha il costo di produzione complessivo.
I prezzi evidenziati dal periodo di raccolta 2021, a oggi fine agosto, registrano valori medi del mese, di circa 38,15 euro/q derivati dalla progressione dei prezzi rilevati nelle sedute di Borsa di tutto agosto. Valori in evoluzione, ma molto diversi da quelli delle scorse annate come desumibile dal grafico “rese-prezzi”. I bassi prezzi di quegli anni, determinavano una Plv, al netto della Pac, che nel 2019 si attestava per ognuna delle modalità di coltivazione a circa 1.160, 1.115 e 1.004 euro/ha rispettivamente con lavorazioni tradizionali, minime o su sodo. Nella stagione 2020, invece, grazie anche alle rese, discrete ma non da record, il combinato “resa discreta” per “prezzo alto” determinava una produzione lorda vendibile, al netto della Pac, che si attestava per ognuna delle modalità di coltivazione a circa 1.600, 1.500 e 1.400 euro/ha rispettivamente con lavorazioni tradizionali, minime o su sodo.
Nel 2021 i numeri sono molto diversi, infatti il combinato “buona resa” e “ottimo prezzo” determinano una Plv, al netto della Pac, che si attesta, con l’attuale prezzo medio di agosto, per ognuna delle modalità di coltivazione a circa 2.600, 2.450 e 2.300 euro/ha oltre mille euro/ha di ricavi in più del 2020. Ne consegue che, redditualmente, il combinato resa-prezzo è in grado di assicurare redditività positiva per tutte le modalità di coltivazione analizzate con valori che vanno da un margine di circa 750 euro su terreno lavorato convenzionalmente, 780 euro con minima lavorazione e su sodo 725 euro/ha. Senza considerare l’affitto il margine positivo accresce di 600 euro/ha in ognuna delle modalità di coltivazione (vedi tab. 1).
In riferimento alla copertura e all’assorbimento di valore dei costi di produzione, grazie agli ottimi prezzi di mercato attuali, il potere di acquisto di un quintale di grano duro è notevolmente accresciuto rispetto allo scorso anno, come lo si può riscontrare analizzando lo specifico grafico che illustra le evoluzioni del periodo.
Il grafico con gli istogrammi, evidenzia le quantità in q di grano duro, valorizzato al prezzo medio di 38,15 euro, necessarie alla copertura delle singole voci di costo e di quello complessivo. Si evince che nelle modalità produttive considerate, ne servono circa oltre 9 q per coprire i costi di affitto al netto della Pac, circa 5,60 q per i costi generali, poco più di 3 q per gli oneri finanziari e poco meno di 14 q per i mezzi tecnici. I costi agromeccanici nella modalità di coltivazione su lavorato assorbono circa 18 q, circa 13,5 q applicando la minima lavorazione mentre con la tecnica del sodo solo poco più di 10 q.
A copertura dei costi totali comprensivi e dell’affitto, con le rese ottenute, e il prezzo attuale medio dei mercati di agosto, sono necessari circa 56 q/ha con la coltivazione tradizionale e di circa 51 q/ha in minima lavorazione e 48 q/ha con il sodo. Senza considerare l’affitto, i quintali di grano duro, ai prezzi considerati che occorrono a copertura dei costi si riducono di circa 15 q/ha in ognuna delle modalità di coltivazione considerata.
Con i buoni prezzi di mercato di oggi, e le rese ettariali mediamente ottenute, contrariamente agli anni scorsi, si è diffusamente e ampiamente raggiunto e superato il punto di pareggio economico, come riscontrabile dai grafici e tabelle.
Occorre programmazione
L’analisi dei dati storici di resa, qualità, prezzi e redditività conseguente, evidenziano che se i prezzi sono pari e/o superiori ai 30 euro/q e si mantenessero tali nel tempo, la coltura e la filiera del grano duro nell’areale padano si assicurerebbero un programmabile graduale sviluppo sostenibile crescente nel tempo. Situazione auspicabile, ma gli eventi estremi di resa e o di prezzo non aiutano e pertanto le superfici a grano duro fra due mesi potrebbero essere considerevolmente diverse da quelle degli ultimi anni, con le conseguenzialità e gli squilibri derivati da una crescita non programmata.
Per la prossima campagna le prenotazioni di seme di grano duro sono già freneticamente iniziate. Ineludibilmente, purtroppo la corsa e la frenesia degli agricoltori per assicurarsi seme e mezzi tecnici, contribuiranno indirettamente all’aumento dei costi di produzione il cui contenimento della loro incidenza a q di grano sarà possibile solo continuando ad accrescere le rese e ad affinare le tecniche di coltivazione. Il risultato produttivo e qualitativo di questa stagione, peraltro già ottenuto almeno in altre 3/4 annate passate, è stato generato non solo dalla giusta e lodevole attenzione che i cerealicoltori del Nord hanno riservato alla coltura, ma anche paradossalmente dagli effetti del clima che ha sì favorito i cereali autunno-vernini, ma ha mortificato e anche massacrato le produzioni a semina primaverile. Considerazioni che devono prevedere la possibilità di far tornare i conti anche con minori rese ettariali, non auspicate ma ampiamente riscontrate nel periodo di analisi sia di duro che di tenero (vedi fig. 1).
Per quanto riguarda i prezzi siamo a livelli riscontrati solo nel 2007 quando però le rese medie furono inferiori di circa 30 q/ha e la Plv ettariale inferiore a quella del 2021, di oltre 700 euro, ma in un contesto di costi di produzione inferiori di circa 600 euro ettaro che permetteva la copertura dei costi anche con rese modeste. Se osserviamo il grafico specifico Plv/differenziale costi negli anni e, in particolare, la linea di tendenza dei costi di produzione, rileviamo essere fortemente inclinata verso l’alto, contrariamente a quella della Plv che è invece caratterizzata da una crescita molto inferiore rispetto i costi. Situazione che salvo improbabili inversioni di tendenza, nel tempo, vedrà presto i costi raggiungere i ricavi, a meno che gli alti prezzi 2021 non diventino strutturali e non sporadici nel tempo. Cosa non credibile. Osservando gli istogrammi Plv/Costi nel susseguirsi degli anni, notiamo che ad aumenti di Plv, metodicamente, nell’anno successivo seguono aumenti dei costi di produzione che difficilmente tornano ad abbassarsi negli anni successivi, nemmeno a fronte di Plv più ridotte o anche tracollate negli anni a venire, diventando aumenti strutturali. Ne consegue che, in valore assoluto nel 2022, potenzialmente potremmo ritrovarci aumenti ettariali di oltre 300/400 per mezzi tecnici e lavorazioni agromeccaniche e richieste di aumenti degli affitti.
In relazione al costo del bene terra, occorre rilevare che il grano duro necessita di rotazioni e che le colture che loprecedono e/o seguono, registrano risultati fortemente negativi che assorbono ampiamente gli utili di questa annata del grano duro. Pertanto, credibilmente, nelle prossime campagne, se i prezzi dovessero abbassarsi e tornare in media con quelli del periodo in analisi, e le rese non aumentassero e/o diminuissero, potremmo ritornare a livelli di redditività più modesti.
Ma anche quest’ultima considerazione come le precedenti descritte, che dovrebbero fare accrescere la prudenza dei cerealicoltori rispetto al desiderio di aumentare massicciamente le superfici coltivate a grano duro nel 2022, a meno di due mesi dalle semine, sarà valutata? Credo di sì. Ma solo nel caso ci fossero coltivazioni alternative in grado di esprimere redditualmente, almeno nel medio periodo, risultati interessanti come quelli del grano duro. Colture che a oggi non si trovano. La filiera del grano duro deve quindi prendere atto che del combinato “resa-prezzo” da gestire già dalla semina con contratti di coltivazione che orientino i cerealicoltori a obiettivi comuni. Il prezzo assicurato dovrebbe tenere conto delle considerazioni esposte, con un occhio al mercato ma senza farne un dogma e travalicando temporalmente la sola stagione, ragionando sul medio periodo. Il fattore prezzo è determinante per rendere non solo sostenibile la produzione, ma anche per migliorarla e adeguarla.
Per quanto riguarda le rese e la qualità valgono invece le considerazioni descritte in relazione all’indispensabile aumento della consapevolezza che obiettivi comuni ma difficili, si raggiungono meglio con il consolidamento e rafforzamento della filiera.
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di Eros Gualandi
Coordinamento Agromeccanizzazione Legacoop Agroalimentare