Credito, un sistema da riformare

Il credito ordinario è sempre meno accessibile e gli agromeccanici tendono a preferire sempre più il leasing o il noleggio all’acquisto

È ormai noto che il sistema creditizio, almeno per quanto riguarda il settore primario, ha subito un costante ridimensionamento, perdendo quote importanti. Da qualche tempo la Banca d’Italia lancia segnali allarmanti, ma senza cogliere il reale motivo di tale tendenza: non è l’imprenditorialità a essere venuta meno – come sostiene qualcuno – ma la mancanza di prospettive economiche certe.

Le proteste di inizio d’anno, con i trattori nelle piazze, esprimono un disagio non sempre percepito: le fluttuazioni di prezzi (e di costi...) con un fattore di 1 a 3 non hanno toccato gli altri settori economici, nei quali le oscillazioni sono state più leggere e sopportabili. Che gli attuali prezzi agricoli non invoglino a investire è perfettamente logico: gli agromeccanici, che investono abitualmente tanto da venire qualificati come i principali portatori di tecnologie in agricoltura, tendono a preferire sempre più il noleggio rispetto all’acquisto. È possibile che sia colpa degli istituti di credito?

Le analisi condotte dal sistema bancario non ne parlano, ma traspare la volontà di non scoprirsi – per lo meno con le piccole imprese – e chiedere molte più garanzie di quanto sarebbe necessario. In pratica, il credito ordinario, senza garanzie o contributi pubblici, diventa sempre meno accessibile, sia per i beni mobili (macchine) sia per gli immobili (come un capannone), dal momento che la banca non copre di norma più del 60% del valore di perizia, nonostante l’ipoteca e altre garanzie.

Per questi motivi le acquisizioni di beni strumentali sono sempre più spesso coperte da leasing finanziario (con riscatto finale) – lo strumento più utilizzato per le macchine agricole – e da altre forme di dilazione come i noleggi a breve (per necessità temporanee) o a lungo termine. Magari sarà casuale, ma i bandi per Ismea e quelli per l’innovazione escludono ogni forma di finanziamento che non sia il normale mutuo bancario, uno strumento sempre meno utilizzato.

Bisogna dire che il settore agricolo ha sofferto di una discriminazione di fondo dovuta all’elevata considerazione dei tempi di rientro dei costi: un’impostazione tipicamente “industriale”, risalente ai tempi di “Basilea 2” che attribuisce il merito finanziario dell’azienda in base a tale criterio. In effetti la grande distribuzione è avvantaggiata da questi criteri: paga i fornitori a 60 giorni (minimo), quando la maggior parte degli articoli è già stata venduta e incassata. L’esatto contrario di quanto accade all’agricoltore, che per diversi mesi acquista i mezzi tecnici e non viene pagato alla raccolta, ma vari mesi dopo; all’agromeccanico va ancora peggio, perché fra i fornitori è quello che viene pagato per ultimo.

Eppure, nella crisi generale degli investimenti, sono stati proprio i contoterzisti a investire di più, come è facile verificare dai dati di mercato, che mostrano un incremento nella vendita di macchine di maggior valore unitario. Sull’altro fronte, quello delle aziende agricole, oltre alla minore redditività che ha consigliato prudenza a molti imprenditori, pesa una crescente perdita di interesse verso gli investimenti: pochi acquistano e molti iniziano a pensare a formule alternative all’acquisto.

La diffusione capillare del contoterzismo e la disponibilità sul territorio di macchine con altissima capacità di lavoro sta spingendo un numero crescente di agricoltori, anche di medie dimensioni, a destinare le risorse alla valorizzazione del prodotto e affidare il lavoro al terzista. Se il sistema non inizierà a tenere conto delle particolari esigenze del settore, è probabile che le prossime analisi sul credito all’agricoltura (e alle attività che la supportano) mostrino risultati ancora peggiori; nel frattempo potrebbe iniziare una spirale negativa che danneggerebbe tutti.

Farmer meeting with financial counseller in farm

Assicurazioni fra luci e ombre

Passando all’aspetto assicurativo, parlando con la gente comune, le spese per le assicurazioni, specialmente quelle obbligatorie, vengono percepite come una sorta di tassa, un tributo ingiustificato e oppressivo. Una sensazione del tutto irrazionale, come lo è spesso la paura: come questa, tende a trasmettersi a tutti i contratti assicurativi, compresi quelli stipulati volontariamente, facendo dimenticare i motivi che hanno spinto a sottoscriverli. Ma questo meccanismo psicologico non spiega il crescente disamore che, anche nel comparto agricolo, si sta diffondendo rispetto alle assicurazioni, benché epidemie, parassiti alieni e nostrani, reati e catastrofi naturali sembrino coalizzati ad accrescere il nostro senso di insicurezza.

Come per altre scelte aziendali, bisogna ragionare con freddezza e assicurare i rischi maggiori, quelli che possono mettere in crisi l’azienda: aumentare – anche di poco – una franchigia può portare a considerevoli risparmi, perché riduce frequenza e valore dell’indennizzo. Negli ultimi tempi il valore della produzione è drasticamente calato, specialmente per cereali e foraggere, al punto che si cerca di risparmiare su tutto (anche sul necessario) pur di restare in utile: ma sulle colture di pregio l’assicurazione del prodotto è quasi un obbligo. Resta però l’ostacolo dei premi: secondo gli agricoltori i sostegni comunitari sarebbero stati in gran parte assorbiti dal corrispondente aumento delle tariffe assicurative. D’altra parte, bisogna pensare al costo assicurativo come a qualsiasi altro costo aziendale, un problema per l’unica categoria imprenditoriale che la legge ha sempre esonerato da ogni obbligo contabile: una scelta probabilmente sbagliata, perché non abitua a fare bene i propri conti.

Una situazione ben diversa da quella degli agromeccanici, sia sul piano del controllo di gestione (dato che pagano le tasse sulla differenza fra ricavi e costi), sia dal punto di vista assicurativo. Se per la difesa del patrimonio (furto, incendio, calamità) e per la responsabilità civile dei mezzi agricoli le problematiche sono similari, a parte la maggior presenza sulle strade, che determina premi superiori, le differenze emergono sulla protezione del reddito. Non sono solo i fattori economici a ridurre l’entità delle somme destinate alle assicurazioni, ma altri fattori negativi concorrono a questa tendenza, come la contrazione numerica delle aziende.

Oltre alle motivazioni legate all’anzianità della popolazione rurale, numerosi agricoltori stanno affidando la gestione dell’azienda al contoterzista o a un altro agricoltore, ma senza formalizzare la cessazione per non perdere i contributi Pac e i vantaggi fiscali derivanti da tale condizione. Il fenomeno non è rilevabile a livello statistico, perché chi lo fa si cura di non farlo sapere per non subire sanzioni; nel frattempo, chi si assume – di fatto – il rischio d’impresa non ha la legittima conduzione del terreno e con essa neppure l’interesse ad assicurare i prodotti o il patrimonio.

Se l’impresa agricola, fra gli indennizzi derivanti da contratti assicurativi e gli interventi pubblici per le calamità (a iniziare dagli sgravi fiscali), riesce in qualche modo a essere ristorata, almeno in parte, del tutto diversa è la situazione delle imprese agromeccaniche. In caso di calamità naturali che abbiano fortemente danneggiato la produzione, chi rimborsa il contoterzista che non andrà a trebbiare, o se riuscirà a farlo, lo farà su una superficie minore e con costi di raccolta superiori? I tentativi di creazione di una polizza sulla perdita del guadagno si sono sempre arenati sulle garanzie richieste dalle compagnie di volta in volta interpellate, che devono fondarsi su riferimenti oggettivi.

Questo presuppone che fra agricoltore e contoterzista si stipulino contratti scritti per i servizi appaltati, con una precisa quantificazione del lavoro da svolgere e della sua remunerazione in denaro. In caso di gravi danni alla produzione la società può così quantificare la quantità di lavoro che è venuto meno e riconoscere all’assicurato il mancato guadagno. Tuttavia, il riferimento agli utili è insufficiente: nonostante l’elevata profusione di capitali, da qualche anno la redditività delle prestazioni agromeccaniche si sta contraendo sia per il mancato recupero di tutti i costi, sia per il ben noto effetto della concorrenza che affligge il settore.

Se il riferimento al mancato reddito è facile da esprimere in teoria, sul piano pratico non tiene conto della mancata copertura dei costi delle macchine, dall’ammortamento agli interessi sul capitale, dall’assicurazione del capitale (furto e incendio) alla manutenzione. Per la determinazione di questi costi, che sono quelli realmente sostenuti da chi si trova costretto a lasciare la macchina ferma per mancanza di lavoro, sarebbe necessario riferirsi al bilancio aziendale e a quelli di altre imprese analoghe. Poiché le imprese agromeccaniche – differenza delle agricole – determinano analiticamente il reddito come differenza fra volume d’affari e costi, le quote di ammortamento e le altre voci di costo non legate all’impiego della macchina sono facilmente ricavabili e dimostrabili. Sarebbe solo necessario che la società assicuratrice partisse da un gruppo di contoterzisti omogeneo e su questa base venisse determinato il parametro da utilizzare per il calcolo del futuro (eventuale) indennizzo, sulla base dei normali tassi di rischio e di premio.

Credito, un sistema da riformare - Ultima modifica: 2024-10-15T15:27:32+02:00 da Roberta Ponci

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