In tutti gli ambienti italiani di coltivazione il mais è esposto agli attacchi di una folta schiera di insetti che provocano danni diretti alla produzione e che, in alcuni casi, possono provocare danni indiretti facilitando l’attacco alla granella da parte di micotossine. Negli ambienti in cui la coltura ha raggiunto un’elevatissima specializzazione basata sulla monocoltura, come la Pianura Padana, alcuni fitofagi come la piralide (Ostrinia nubilalis) e la diabrotica (Diabrotica virgifera virgifera) diventano particolarmente dannosi. In queste condizioni la difesa diventa necessaria per ridurre le perdite produttive, ma anche per contenere, sotto i limiti di legge, la presenza di alcuni funghi parassiti del genere Fusarium e Aspergillus che, sfruttando le lesioni causate dall’attacco dell’insetto, possono contaminare la granella.
Va detto comunque che la gestione del rischio di contaminazione da micotossine non dipende soltanto dal controllo degli attacchi dei fitofagi come la piralide, ma passa in primo luogo attraverso l’impiego di pratiche agronomiche virtuose in grado di limitare al massimo le condizioni di stress della coltura in campo.
Piralide, fino al 30% di perdite
La grande diffusione della piralide (O. nubilalis), la sua capacità di adattarsi a diversi ambienti e a diversi andamenti meteorologici ne fanno il fitofago chiave della coltura e quello in grado di produrre i danni più rilevanti. La lotta viene realizzata sulla base delle indicazioni fornite dalle trappole a feromoni e della fenologia della pianta.
Dal punto di vista della biologia dell’insetto i trattamenti devono essere indirizzati contro le uova o le larve di seconda generazione per evitare che possano penetrare nello stocco e nel cartoccio della spiga, mentre dal punto di vista fenologico i migliori risultati si hanno intervenendo nella settimana che segue la fioritura femminile del mais, ovvero quando le spighe sono già fuoriuscite e hanno le barbe che virano dal colore verde a quello marrone. L’intervento, quindi, è praticato con la coltura in pieno sviluppo e richiede l’impiego di irroratrici munite di trampoli. Trattamenti eseguiti con tempistica sbagliata, infatti, risultano inefficaci sia nel controllo della piralide sia nella prevenzione delle contaminazioni da micotossine. In caso di impiego di insetticidi, è molto importante anche la scelta del prodotto: l’impiego di formulati con caratteristiche ovo-larvicide, ad esempio, consente di anticipare l’epoca di intervento trattando durante la fase di ovideposizione.
I prodotti ad attività esclusivamente larvicida, invece, possono essere impiegati in epoca immediatamente successiva, in corrispondenza del picco di volo degli adulti e della nascita delle prime larve. Esiste una correlazione significativa tra le infestazioni di piralide del mais presenti nella spiga a maturazione cerosa e la contaminazione da fumonisine alla raccolta. Gli attacchi di piralide, infatti, oltre alla stroncatura dei fusti indeboliti al loro interno dalle gallerie scavate dalle larve, possono portare all’abbattimento dei pennacchi fiorali, alla disarticolazione delle pannocchie che possono cadere durante la raccolta e a danneggiamenti al tutolo e alla granella. Le perdite produttive indotte dalla piralide nelle coltivazioni di mais variano dal 5-7%, in annate normali per arrivare al 30% nei casi più gravi. Sono le larve di seconda generazione che causano i danni sulle cariossidi e la conseguente diminuzione della produzione. Le gallerie larvali, infatti, provocano un’alterazione delle funzionalità metabolica della pianta impedendo il normale flusso di acqua, sostanze nutritive ed elementi prodotti dalla fotosintesi. In caso di forti attacchi oltre al calo produttivo, anche la qualità della granella può risultare compromessa in quanto le gallerie e i fori larvali costituiscono la via di accesso preferenziale di alcuni funghi parassiti come Fusarium e Aspergillus.
La lotta chimica non è l’unica possibilità per contenere la piralide. La ricerca, infatti, ha dimostrato da tempo che l’imenottero parassitoide, Trichogramma brassicae, ha un’efficacia paragonabile alla difesa chimica nel contenimento di O. nubilalis. L’ausiliare viene confezionato in capsule di cellulosa di forma sferoidale che ne permettono la distribuzione con i droni, facilitandone l’impiego sulle grandi superfici. In ogni capsula di cellulosa sono presenti uova del parassitoide in 6 stadi diversi di sviluppo insieme a larve già attive in modo da garantire una efficacia che può prolungarsi fino a 2-3 settimane. I droni volano sull’appezzamento rimanendo un metro sopra l’apice della pianta e, tramite un distributore automatizzato, rilasciano uniformemente le capsule con una precisione valutabile nell’ordine di un metro. L’uso del drone permette di trattare fino a 100 ha in un giorno.
Il controllo della piralide può anche essere ottenuto anche mediante l’adozione di adeguate tecniche agronomiche quali: la rotazione delle colture, una corretta gestione degli stocchi con trinciatura e successivo interramento, la scelta dell’ibrido e di tecniche colturali che favoriscono uno sviluppo equilibrato del mais (in particolare di uno stocco robusto), l’anticipo delle semine (per provocare uno sfasamento fra ciclo biologico della piralide e coltura) e la gestione dell’epoca di raccolta (granella con umidità più elevata richiede delle onerose operazioni di essiccazione nei centri di stoccaggio consortili).
Trappole per la Diabrotica
Nelle aree con basse popolazioni di adulti di diabrotica, spesso non è nemmeno necessario intervenire. In ogni caso l’eventuale trattamento insetticida eseguito per la piralide ha un’efficacia collaterale anche per il contenimento di questo crisomelide anche se il momento di intervento ideale in funzione diabrotica spesso non coincide con il posizionamento del trattamento contro la piralide. Recenti osservazioni, infatti, hanno stimato una sfasatura media di 3 settimane tra i due posizionamenti migliori.
Nelle aree con forte pressione di diabrotica, l’opportunità di un trattamento adulticida specifico realizzato al fine di controllare le ovideposizioni del crisomelide può essere decisa sulla base di un monitoraggio aziendale eseguito con trappole cromotropiche gialle al superamento di soglie specifiche. L’efficacia maggiore si raggiunge posizionando l’eventuale trattamento nel momento in cui compaiono le femmine gravide pronte per deporre le uova. Va detto che il doppio intervento insetticida è una soluzione spesso antieconomica e può trovare applicazione solamente in particolari condizioni di elevatissima pressione di entrambe le specie. Per quanto il sintomo più visibile della presenza della diabrotica sia l’abbondante presenza di adulti nei campi di mais, il danno di rilevanza economica è causato dalle larve, che nei campi ristoppiati si nutrono delle radichette e, scavando gallerie nelle radici più grosse, provocano un ridotto sviluppo radicale che rende la pianta di mais più soggetta ad allettamenti, ne riduce la capacità di assorbimento di acqua e nutritivi e, durante le operazioni di raccolta, provoca maggiori perdite di produzione. Il tipico sintomo che si ritrova nei casi di elevata infestazione larvale è la presenza in campo di piante a “collo d’oca”. Si tratta di piante allettate che tendono a risollevarsi dal suolo curvandosi e formando gomiti. Gli adulti di diabrotica, invece, si nutrono di polline e possono causare erosioni fogliari di scarsa rilevanza o danneggiare gli stimmi dell’infiorescenza femminile del mais causando aborti fiorali.
Elateridi, intervenire alla semina
Tra le specie più dannose al seme e alle piante nelle prime fasi di sviluppo, vi sono alcuni coleotteri elateridi (in particolare Agriotes brevis e Agriotes sordidus). Le larve degli elateridi, chiamate comunemente “ferretti” per il loro colore rugginoso, vivono nel terreno e attaccano il mais sin dai primi stadi di sviluppo, dalla germinazione sino alla 4°-5° foglia, attirati dalle emissioni di anidride carbonica da parte delle radici. Nei casi di forte attacco si possono avere fallanze estese, spesso in maniera localizzata, in relazione alla densità di larve presenti nel terreno. Va tenuto conto che si tratta di insetti con un ciclo di vita molto lungo, con larve che vivono nel terreno per 2-3 anni a seconda della specie, per cui situazioni favorevoli all’incremento della popolazione si traducono in danni negli anni successivi.
Non sempre le popolazioni presenti in un singolo appezzamento causano un danno economicamente rilevante; in Veneto è stato calcolato che ogni anno questi coleotteri causano danni gravi tali da costringere l’agricoltore alla risemina su meno dell'1% della superficie investita a mais. Più in generale il danno grave difficilmente supera il 4-5% dei terreni, mentre i sintomi dell’attacco si osservano sul 5-10% delle piante. Questo significa che un accurato monitoraggio delle popolazioni di elateridi permette di razionalizzare e di ridurre l’uso dei mezzi chimici, senza compromettere la produzione, ma limitando l’intervento agli appezzamenti in cui il monitoraggio ha accertato la presenza di larve sopra la soglia di danno.
Nel caso si accerti il superamento della soglia, è necessario intervenire alla semina. Gli interventi di difesa diretta possono essere la concia del seme o l’applicazione di un prodotto liquido o granulare sul solco di semina in fase di alloggiamento del seme. L’obiettivo strategico di questi interventi è quello di ridurre il tempo di emergenza della pianta in modo da limitare la permanenza della coltura a uno stadio fenologico vulnerabile. In alternativa alla difesa chimica si può procedere per un anno alla semina di una coltura poco suscettibile (ad es. soia) seguita da una coltura biocida (ad es. Brassica juncea) da interrare prima del successivo mais.
Il problema micotossine
Per contenere le contaminazioni delle cariossidi da aflatossine causate da Aspergillus flavus risulta interessante la lotta al fungo attraverso l’utilizzo di AF-X1, un agente di biocontrollo a base di un ceppo (MUCL54911) di A. flavus selezionato dall’Università Cattolica di Piacenza in Italia e formulato da Pioneer. AF-X1 agisce attraverso l’esclusione competitiva sostituendo i ceppi tossigenici di A. flavus (produttori di aflatossine), riducendo così il rischio di contaminazione da aflatossine (AF) nella coltura di mais. Tale ceppo non è produttore di aflatossine ed è capace di non ricombinarsi con ceppi produttori di aflatossine. AF-X1 è stato autorizzato già dal 2019 come uso eccezionale esclusivamente per il mais destinato a uso zootecnico. Il prodotto si basa sul principio attivo A. flavus ceppo atossigeno MUCL54911 e consiste in semi di sorgo devitalizzati e incapaci di germinare, che agiscono come vettore organico e substrato di crescita per le spore del fungo atossigeno durante il primo periodo dopo l’applicazione. In questa forma, AF-X1 può essere distribuito al suolo alla dose di 25 kg/ha nel periodo successivo alla sarchiatura dall’inizio della fase di allungamento dello stelo e la fase di foglia a bandiera completamente sviluppata e con la ligula visibile (BBCH 30-39). Il prodotto non deve essere interrato, perché l’esposizione all’aria è necessaria per la corretta diffusione e proliferazione del fungo atossigeno. In assenza di una pioggia è raccomandabile un’irrigazione per aspersione poco dopo il trattamento per consentire la riattivazione e diffusione delle spore. Una volta applicato, il prodotto compete con i ceppi di A. flavus produttori di aflatossine presenti in campo, riducendo la presenza di aflatossine sulla coltura di mais trattata.
Negli Usa, infine, recenti ricerche hanno inoltre dimostrato l’efficacia di un ceppo di Burkholderia MS455, batterio endofita isolato da soia, di contenere efficacemente sia le infezioni delle cariossidi di mais da parte di Aspergillus flavus sia la contaminazione di aflatossine. Ciò sembra sia dovuto alla capacità del batterio endofita di produrre occidiofungina, un metabolita avente caratteristiche antifungine. Ciò aprirebbe, per il futuro, una nuova strada al contenimento biologico delle aflatossine.
Una nottua esotica a rischio di introduzione
Spodoptera frugiperda, conosciuta a livello internazionale con il nome di Fall Armyworm (FAW), è una Nottua originaria delle regioni tropicali e subtropicali delle Americhe. La sua pericolosità deriva dall’elevata polifagia (si calcola che possa attaccare oltre 80 specie di piante diverse anche se ha una preferenza per il mais, il riso, sorgo, miglio e canna da zucchero) e alla grande capacità di spostamento.
All’inizio del 2016 popolazioni di questa nottua esotica si sono insediate nell’Africa centrale e occidentale da cui hanno rapidamente colonizzato quasi tutta l’Africa subsahariana danneggiando in prevalenza il mais. Nel 2018 l’espansione è continuata e ha interessato anche alcuni paesi asiatici come India, Yemen, a fine anno in Thailandia; a inizio 2019 è stata segnalata in Myanmar, Bangladesh, Sri Lanka e in Cina. A causa dell’incremento degli scambi commerciali e della sua buona capacità di volo, Spodoptera frugiperda ha il potenziale per diffondersi velocemente anche in Europa. Di recente un preoccupante focolaio che si sta progressivamente ampliando, è stato rilevato a Cipro. Ma va rilevato che, negli ultimi anni, in Europa si sono avute numerose intercettazioni di larve dell’insetto all’interno di vegetali importati e il clima delle aree mediterranee più calde, sembra favorevole all’insediamento di S. frugiperda. Per questi motivi da alcuni anni viene eseguito un monitoraggio specifico su tutto il territorio nazionale in modo da individuare tempestivamente eventuali focolai iniziali di questa nottua esotica.