Nell’estate di due anni fa la Confederazione ebbe l’opportunità di presentare un emendamento all’art. 105 del Codice della strada per elevare il limite di lunghezza dei convogli agricoli da 16,5 metri a 18,75, con la possibilità di autorizzare lunghezze superiori.
La proposta fu fatta propria dal Cnel – Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro – e subito inserita nel testo in discussione alle camere, contenente varie modifiche al Codice. Dopo la lunga pausa dovuta alla pandemia il testo è stato nuovamente aggiornato ed inserito nella legge di conversione del d.l. 121/2021, approvata il 9 novembre con il n. 156 e immediatamente pubblicata sulla Gazzetta ufficiale. Nonostante la paternità dell’iniziativa di Cai sia documentata e facilmente riscontrabile in tutti i suoi passaggi, la modifica è stata rivendicata come propria da parte di varie sigle sindacali, il che può far piacere perché significa che il problema era realmente avvertito da tutti. È bene ricordare che la vecchia versione dell’art. 105 non permetteva neppure di superare il limite di lunghezza di 16 metri e mezzo in mancanza di un collegamento al precedente art. 104, che tratta delle macchine eccezionali. Chi si fosse trovato a circolare con lunghezza superiore era soggetto alla sanzione di 173 euro, riducibili a 121,10 se il pagamento avveniva entro 5 giorni dalla contestazione o dalla notifica; la sanzione saliva a 347 euro se il pagamento avveniva dopo 60 giorni; a differenza di quanto previsto per le macchine agricole eccezionali, non esistevano sanzioni accessorie, come il ritiro della patente e della carta di circolazione.
Le combinazioni coinvolte
Il nuovo limite di m. 18,75 riguarda quasi tutti i convogli agricoli, che come noto possono essere costituiti da varie combinazioni di macchine agricole:
- trattrice trainante un solo rimorchio;
- trattrice trainante un massimo di 2 macchine agricole operatrici trainate (MAOT);
- macchina agricola operatrice semovente al traino di una macchina agricola operatrice trainata;
- mietitrebbia con carrello porta barra ed unica omologazione.
Il primo caso, il più frequente in assoluto, aveva reso urgente l’innalzamento del limite, poiché il rimorchio agricolo ha una lunghezza massima di ben 12 metri, un valore puramente teorico perché poteva essere trainato solo da un trattore di dimensioni esigue (massimo 4,5 metri). I nuovi limiti consentono il traino da parte di trattori con lunghezza utile fino a m 6,75. Nel secondo caso, l’evoluzione tecnica aveva precluso la possibilità di trainare due macchine agricole operatrici: esistono infatti varie combinazioni che non avevano potuto diffondersi fino ad ora proprio a causa del limite insufficiente. Il caso più evidente è quello del carrello, accodato alla pressa per balle parallelepipede, destinato ad accumulare un certo numero di pezzi per realizzare piccole cataste e rendere più celere la raccolta delle balle dopo la pressatura: con i nuovi valori ci si sta dentro abbondantemente.
Per quanto riguarda la situazione descritta al punto 3, il vecchio limite era del tutto anacronistico, soprattutto per le mietitrebbie che devono trainare il carrello per il trasporto della barra di taglio.
Si tratta di mezzi di notevole lunghezza, che può facilmente superare i 10 metri; considerando la necessità di caricare la barra in modo da evitare interferenze con il corpo macchina, la larghezza di taglio della piattaforma era forzatamente limitata a 5-6 metri al massimo. Il nuovo limite non consente il traino di carrelli con barre di grandi dimensioni, ma il fatto che possa essere superato con l’autorizzazione (già necessaria a causa delle dimensioni e dalle masse della mietitrebbia) rende possibile il traino diretto, evitando quindi l’impiego di un trattore in più. È utile aggiungere che questi carrelli sono spesso dotati di doppio asse sterzante in modo da seguire esattamente la traiettoria della mietitrebbia e consentire così la perfetta inscrizione nella fascia di ingombro ammessa dal Codice, in base alla quale vengono dimensionate le strade.
L’ultima ipotesi ha un valore ormai transitorio e riguarda le mietitrebbie omologate fino alla data del 6 maggio 1997, alle quali si applicavano le norme del Codice della strada del 1959; tali mezzi sono facilmente distinguibili per l’assenza dell’allegato tecnico.
All’epoca le macchine agricole trainate (con l’esclusione dei soli rimorchi con peso superiore a 1,5 t e dimensioni superiori a certi limiti) non erano soggette ad omologazione; i carrelli porta barra (detti “carrelli attrezzi”) venivano omologati insieme alla mietitrebbia, di cui erano parte integrante. Questo comportava l’indicazione del carrello sulla carta di circolazione, che recava le dimensioni del treno agricolo, trattato come un veicolo unico, anche se snodato; qualora fosse necessario il trasferimento della barra sul carrello, faceva fede la lunghezza complessiva omologata. Tale valore non può mai essere superato, in quanto deriva un’omologazione, nella quale si era tenuto conto della visibilità dei dispositivi di segnalazione; tuttavia, le mietitrebbie di maggiore potenza recavano sul libretto misure assai superiori al vecchio limite, creando talvolta problemi in sede di richiesta dell’autorizzazione, ora finalmente superati.
Macchine agricole per tutti
Le recenti modifiche al Codice della strada hanno riguardato anche altri aspetti, finora considerati un tabù, come la possibilità di intestazione di macchine agricole a soggetti diversi dai “magnifici quattro” di cui all’art. 110, comma 2:
- agricoltori;
- agromeccanici;
- imprese di noleggio;
- enti e consorzi pubblici.
Ma procediamo con ordine: alcuni anni fa, al termine della precedente legislatura, era stato proposto dal sen. Astorre un disegno di legge (n. 2684) per consentire ai cosiddetti “hobby farmer” di intestarsi una macchina agricola di piccole dimensioni e pesi. Il progetto, ribattezzato dalla stampa “legge Rovazzi” con riferimento ad una canzone allora in voga, non riuscì a completare l’iter parlamentare entro i termini; nei mesi scorsi è stato ripescato e inserito, con qualche modifica, nella legge 156. La norma presenta luci e ombre, perché può prestarsi ad un uso distorto, specialmente nelle aree marginali e montane, dove la presenza dello Stato non è poi così attenta.
Con le nuove disposizioni l’elenco di coloro che possono intestarsi una macchina agricola (trattore o rimorchio) si allarga ai privati senza partita Iva, a condizione che sia l’uno che l’altro abbiano una massa massima tecnicamente ammissibile inferiore a 6 tonnellate.
La prima impressione conferma le riserve manifestate a suo tempo, in occasione della presentazione del disegno di legge: i valori in gioco sono troppo elevati per un hobbista e sembrano destinati più che altro ad alimentare la schiera degli evasori totali. Se il provvedimento dovesse servire solo a rivitalizzare il mercato delle piccole macchine, che subisce la concorrenza dell’agricoltura professionale, potrebbe anche andare bene; ma è forte il sospetto che possa consentire varie forme di evasione. Perché un artigiano dovrebbe acquistare un autocarro da 7,5 t con tanto d’iscrizione all’albo conto proprio, la patente C, il cronotachigrafo, la revisione annuale, la tassa di possesso e l’assicurazione di un camion, quando può intestarsi un trattore ed un rimorchio e fare le stesse cose?
L’investimento iniziale può essere impegnativo, se si guarda al nuovo: ma su un 120 cavalli usato ed un vecchio rimorchio (con freno meccanico) ci si può fare un pensierino, senza contare i risparmi sugli altri costi e oneri.
Fin qui gli aspetti negativi, che ci si augura possano essere limitati dal controllo puntuale da parte delle autorità preposte: una macchina agricola può trasportare solo “prodotti agricoli e sostanze di uso agrario”, non certamente una barca, un’auto d’epoca o del materiale da costruzione. La norma offre anche spunti positivi: nel passato la vendita di un vecchio trattore ad un privato comportava il rischio che l’acquirente, non potendo fare la voltura a suo nome, impiegasse una macchina ancora intestata al vecchio proprietario. Nel malaugurato caso in cui il trattore fosse coinvolto in un incidente, il primo ad essere chiamato in causa era proprio l’intestatario del veicolo, che doveva dimostrare di avere venduto la macchina; un grosso problema se il malcapitato aveva nel frattempo rimosso qualche dispositivo di sicurezza. Questo riguarda anche l’azienda che decide di cessare l’attività ma non fa in tempo, prima della chiusura della partita Iva, a fatturare tutte le macchine: le nuove disposizioni gli consentono di intestarsi il mezzo, di assicurarlo e di poterlo usare anche solo per trasferimento.