Se in una situazione già compromessa arriva anche l’epidemia di Covid-19, le cose possono mettersi molto male. Ne è convinto Denis Tomanin, che oltre a fare l’agromeccanico a Lendinara (Ro), è anche consigliere della Confai Rovigo, una carica che gli offre uno sguardo privilegiato sulla realtà del territorio.
«Nel giro di quattro o cinque anni il contoterzismo rischia di scomparire in tutta la fascia che va da Rovigo a Legnago», ci aveva detto a inizio marzo, alla vigilia del primo blocco imposto dal governo. «Rispetto a quel periodo, la situazione si sta ulteriormente aggravando. Non so dire di quanto, perché nel nostro settore i conti si fanno a fine anno, ma il processo di chiusura delle aziende in difficoltà potrebbe accelerare fortemente», aggiunge ora, raggiunto al telefono per sapere se e quanto l’epidemia abbia complicato le cose dalle sue parti.
Concorrenza ad armi impari
Cerchiamo di procedere con ordine e vediamo prima le difficoltà strutturali del contoterzismo rovigotto. Che hanno, essenzialmente, origine nell’attività connessa da parte delle aziende agricole. «La chiamerei concorrenza sleale, ma in realtà sleale non è, perché gli agricoltori fanno soltanto quanto consentito loro dalle leggi. Per noi, tuttavia, è sleale nel senso che vi è una chiara ed evidente disparità tra chi fa l’agromeccanico di professione e chi lo fa essendo in realtà un agricoltore», ci spiega Tomanin.
Il doppiopesismo, ci spiega, riguarda sia gli adempimenti richiesti, sia l’impiego degli strumenti di lavoro. «Per questi ultimi il discorso è semplice: gli agricoltori possono acquistare trattori grazie ai Psr e anche ai bandi Inail, ottenendoli alla metà del loro valore. Noi li dobbiamo pagare per intero e quindi è chiaro che non possiamo applicare le stesse tariffe», spiega il contoterzista. Che non dimentica il credito d’imposta di cui beneficia la sua categoria, ma fa anche notare che molte aziende agricole vi hanno accesso al pari dei contoterzisti.
«Se prendiamo in considerazione gli adempimenti richiesti, la sproporzione è ancora più netta. Noi dobbiamo fare corsi sulla sicurezza, sottoporci a ispezioni, ottenere il certificato Inail. Tutte incombenze da cui l’azienda agricola è esentata. A questo punto faccio una proposta, provocatoria, ma non troppo: che l’accesso ai contributi Pac sia vincolato alla presentazione del certificato Inail di chi ha eseguito i lavori. Visto che ci obbligano ad averlo, è giusto che obblighino anche i nostri clienti a esibirlo, nel momento in cui accedono a risorse pubbliche».
Effetto moltiplicatore
Su questa già difficile situazione si è abbattuta l’emergenza Covid-19. Con che esiti? Come abbiamo scritto, è presto per valutarli; quel che è certo, comunque, è che ci saranno. «Vedremo nel corso dell’autunno, quando incasseremo le fatture. Il timore è che gli agricoltori faticheranno ancor di più a saldare. Qualcuno perché oggettivamente in difficoltà – penso per esempio a chi deve mantenere coniuge o figli rimasti senza lavoro – qualcuno perché approfitta della situazione per dichiararsi a corto di liquidi. Anche se, come sappiamo, l’attività agricola è stata toccata soltanto parzialmente dall’emergenza e anzi i prezzi di alcuni prodotti, vedi grano e soia, sono aumentati durante la primavera. D’altra parte, vi sono anche aziende oggettivamente penalizzate. Tutte quelle che avrebbero bisogno di manodopera straniera per la raccolta e non ne trovano a causa del virus e dei vincoli al transito di persone. Chi di noi lavora per queste realtà, rischia di avere problemi di incasso».
Già in primavera, comunque, si sono visti i primi effetti della situazione creatasi dallo scorso marzo in poi. «Il più chiaro è la forte diminuzione di alcuni lavori, come le semine. Per quanto mi riguarda, si sono quasi dimezzate e lo stesso mi dicono molti colleghi. La ragione è semplice: vuoi per risparmiare, vuoi perché non hanno altro da fare, tanti agricoltori che prima facevano seminare dal contoterzista, hanno tirato fuori la vecchia seminatrice e hanno fatto da soli. Sono macchine magari di 30 anni fa, ma per seminare, seminano. Certo, se le cose stanno così, l’Agricoltura 4.0 la possiamo buttare dalla finestra».
A percepire maggiormente il problema, continua Tomanin, sono quelle aziende – tra cui la sua – che fanno una fetta importante del fatturato con clienti sporadici, che chiamano all’ultimo minuto, spesso su indicazione del contoterzista di riferimento. «Tra noi c’è una buona collaborazione e non è raro che un collega mi chiami per fare un lavoro presso un suo cliente, perché lui non ha quel tipo di attrezzatura. Oggi tutto questo rischia di saltare».
Uniti contro la crisi
Quello del consigliere Tomanin è dunque un appello ad allearsi contro la crisi, anche attuando forme di partnership per l’acquisto delle macchine. «Che senso ha comprare in tre o quattro la stessa macchina per usarla due mesi all’anno? Meglio che ce l’abbia uno solo e che gli altri chiamino lui quando ne hanno bisogno. Chiaramente, tutti avranno una macchina specifica e faranno qualcosa per gli altri, investendo molto meno e lavorando molto di più». Un’idea quasi rivoluzionaria, conoscendo la realtà del contoterzismo tradizionale, ma di questi tempi sono proprio le idee rivoluzionarie ciò di cui si ha bisogno. «Non possiamo mantenere un operaio per fare soltanto la raccolta. O troviamo il modo di lavorare di più, oppure molti chiuderanno. O, in alternativa, diventeranno tutti agricoltori, continuando a fare quel che già fanno oggi».
Una forma di collaborazione, conclude Tomanin, già esiste, in zona. «A casa dei colleghi siamo i benvenuti: più di un agromeccanico, per esempio, quando è in zona lascia il trattore nel mio capannone. È il caso di potenziare quel che già c’è, per fare fronte comune contro la crisi».
Diversificare per sopravvivere
A livello aziendale, la ricetta di Tomanin per fare bilancio passa dalle nicchie di prodotto e da due capisaldi: raccolta e livella; senza naturalmente trascurare la semina. «Quest’ultima in difficoltà nel 2020, ma che di solito ci dà tanto da lavorare. Soprattutto perché abbiamo alcune macchine che hanno in pochi, per cui siamo chiamati, spesso, anche dai colleghi».
Per quanto riguarda la raccolta, Tomanin ne fa quasi una religione: «La trebbiatura è una questione di cuore: se non ti piace, diventa una pena. Se ti piace, passi ore a registrare una macchina per farla lavorare al meglio e allora tutte le mietitrebbie lavorano bene. Ciò non toglie che ve ne siano alcune più indicate per certi lavori. Noi, per esempio, scegliamo le Cr di New Holland, che garantiscono una minima rottura di granella». Requisito fondamentale visto che l’azienda lavora molto con le coltivazioni da seme. «Facciamo parecchi prodotti, dal girasole alla colza. Sia come raccolta, sia come semina e coltivazione. Purtroppo, il filone si sta un po’ esaurendo, causa perdita di germinabilità. Tuttavia, resta il girasole da olio, che in zona ha buoni numeri, soprattutto grazie alle spese ridotte: gli unici costi sono il seme e un po’ di nitrato ammonico, mentre le rese sono buone e il prezzo non è malvagio. Infine, c’è la soia, sempre valida in questi territori».
Un’altra nicchia che dà diverso lavoro è quella dell’asparago. «In particolare, per i livellamenti, indispensabili per una buona riuscita. Abbiamo una livella Rossetto da 6 metri, molto efficiente. E con la quale nella passata stagione abbiamo fatto parecchi interventi».
Futuro incerto
Quel che accadrà in futuro, ovviamente, nessuno può saperlo, oggi ancor meno di ieri. «Come ho detto, per restare attivi e pagare gli operai, i contoterzisti hanno bisogno di lavorare, perché non possono mantenere il personale soltanto per fare trebbiatura». Soprattutto in un settore in cui il personale è raro. «Purtroppo, è così: i giovani non vogliono fare questo mestiere e sinceramente non ne capisco il motivo. I trattori moderni sono comodi, ben climatizzati, silenziosi. Lavori manuale se ne fa poco o niente e in più, diciamoci la verità, lavorando in agromeccanica si vede cambiare il mondo. Vedremo il trattore autonomo, già oggi ci sono le guide satellitari… Tutti aspetti che dovrebbero attirare i giovani, invece di scoraggiarli. Eppure, ne conosco molti che preferiscono andare in fabbrica pur di avere qualche weekend libero e poter fare l’aperitivo alle 6 di pomeriggio».
Il momento, insomma, non è dei migliori, ma Tomanin vuol chiudere con un messaggio di speranza: «Di certo assisteremo a un’evoluzione, forse anche drammatica. Ma per chi sopravviverà, si apriranno delle vere autostrade. Le aziende superstiti avranno l’agricoltura locale a disposizione».