Seminatrici fra miti e realtà

Consigli per un impiego razionale delle macchine e una più logica assegnazione dei contributi previsti dai Psr

Il restringimento della forbice costi-ricavi sta indirizzando un numero crescente di agricoltori verso le tecniche di gestione del suolo meno onerose dal punto di vista economico. Poiché una parte considerevole del costo di un bene o di un servizio è determinata in qualche modo dall’energia che è stata impiegata per produrli o renderli disponibili, la riduzione dei costi comporta sempre un minore consumo di energia; la percentuale potrà forse variare fra un processo e l’altro, ma l’impatto ambientale diminuisce insieme con il fabbisogno energetico.
Prendiamo per esempio un’utilitaria elettrica ricaricabile e confrontiamola con la sua equivalente dotata di motore a benzina: il prezzo di acquisto raddoppia, aumentando di ben 15.000 euro. Ammettendo che per 1 euro di valore di qualunque cosa il suo “prezzo energetico” ammonti a 1 litro equivalente di petrolio, è come se la nostra city car avesse già, compresi nel prezzo, 15.000 litri di carburante, molti di più di quelli che potrebbe consumare nel corso della sua vita. Se quell’automobile funzionasse ad aria fresca (e non a batterie...), il vantaggio ambientale potrebbe ridursi a zero, con buona pace di tutti coloro che vedono negli aiuti di Stato per i veicoli elettrici la soluzione per la salvaguardia dell’ambiente. Il nostro esempio ci serve per capire che il vero incentivo resta quello economico e che il sistema non sta in piedi da solo.

Gli incentivi per il sodo permanente

Consigli per un impiego razionale delle macchine e una più logica assegnazione dei contributi previsti dai Psr

Tornando alla semina, le regioni hanno profuso milioni e milioni di euro per sostenere la diffusione del regime a sodo permanente, ottenendo risultati deludenti, secondo quanto esse stesse affermano. Come per l’auto elettrica, dipende da come si prendono le misure: sommando tutti gli ettari realmente seminati ogni anno senza lavorazione preventiva dalle imprese agromeccaniche, si sfiora il milione, con un’incidenza sul totale dei seminativi dell’ordine del 10%. L’incentivo è nella riduzione dei costi di produzione, che per le semine autunnali (con o senza preparazione) comporta la soppressione di vari interventi, dalla lavorazione principale alle successive passate di affinamento, con un risparmio di 250-300 €/ha. Vero è che una semina diretta richiede un notevole impegno sul piano energetico che si traduce in macchine più costose, tuttavia il risparmio netto è sempre superiore a 200 euro, una cifra che per colture “povere” come colza, foraggere e cereali a paglia può fare la differenza.
I vantaggi ambientali sono legati sia alla riduzione dei consumi (in certi terreni si superano i 100 litri/ha) sia agli effetti sulla stabilità del suolo e sulla resistenza all’erosione: ma senza il risparmio sulle lavorazioni meccaniche questa tecnica avrebbe tardato ad affermarsi, se fosse stato solo per gli incentivi dei Psr. I contributi comunitari continuano a essere concessi secondo una formula obsoleta, che nell’ultimo quarto di secolo ha riempito le nostre campagne di ferraglia destinata a restare inutilizzata e costretto i cosiddetti “beneficiari” a pagarsi macchine troppo grandi per le loro necessità. Sarebbe stato più produttivo, per raggiungere gli obiettivi di sviluppo rurale posti dalle regioni, finanziare l’adozione di una certa pratica virtuosa piuttosto che l’acquisto di una macchina che potrebbe produrre effetti finanziari negativi.

Come indirizzare i finanziamenti pubblici

La differenza fra il valore di acquisto e i contributi è a carico dell’azienda: se questa si fosse lasciata convincere a comprare una macchina da 40.000 euro (28mila al netto del contributo), invece di quella “giusta” da 25.000 non si danneggia solo l’agricoltore, ma l’intera collettività. Se il contributo pubblico potesse, invece, rimborsare il maggior costo del servizio, si impiegherebbero meno risorse per ottenere un effetto immediato e facilmente documentabile (attraverso le fatture dell’impresa agromeccanica). Tale ipotesi permetterebbe di superare le obiezioni legate alla (presunta) impossibilità di finanziare un soggetto non agricoltore: è pur vero che i contributi vengono erogati ai produttori agricoli, ma il terzista può ugualmente trarne un beneficio indiretto.

Sarebbe più produttivo finanziare l’adozione di una certa pratica virtuosa piuttosto che l’acquisto di una macchina che potrebbe produrre effetti finanziari negativi

Non esistono alternative valide, se si vogliono davvero diffondere le moderne tecniche di semina, perché l’acquisto e la gestione in proprio di una macchina da sodo richiede una superficie seminabile di non meno di 100-120 ettari annui, un privilegio destinato a ben pochi agricoltori. Pure il cantiere più semplice, composto da una trattrice da 120 hp, dotata di pneumatici a bassa pressione, abbinata a una seminatrice da sodo o minima lavorazione da 3 metri, su tale superficie non riesce a competere con i prezzi praticati dai contoterzisti. Forse, facendo ricorso ai fondi del Psr (ammesso di rientrarvi, considerate le dimensioni), sarebbe possibile ridurre il costo per ettaro a valori paragonabili, ma con quale vantaggio? Solo quello di riuscire a seminare allo stesso prezzo del terzista? È una domanda che si dovrebbero porre sia gli agricoltori sia i responsabili delle politiche di sviluppo rurale, così come dovrebbero farsi i calcoli che costantemente pubblichiamo su queste pagine: i Paesi che hanno impiegato bene i fondi comunitari ci hanno sorpassato, anche in termini di reddito agricolo pro capite.
Il ragionamento sulla soglia minima di accesso per gestire in proprio la semina diretta si può, infatti, estendere ad altre tecniche: ancora oggi vediamo piccoli agricoltori che si affannano a seminare con vetuste macchine a distribuzione meccanica, quando potrebbero affidarsi a un professionista, magari lo stesso che verrà a raccogliere. Chiaramente, per un cantiere di lavoro più semplice e meno costoso il limite di convenienza potrebbe ridursi a qualche decina di ettari, valore comunque superiore alla superficie media su scala nazionale.

Dimensionamento del cantiere di lavoro

Una seminatrice da 6 m conserva un minimo vantaggio economico rispetto a una da 4 m solo se sfrutta tutta la larghezza di lavoro; se invece fosse necessario chiudere una sezione, lavorerebbe agli stessi costi di una 4 m (foto Pöttinger)

Richiamandoci nuovamente alla tabella, può essere interessante osservare come non ci siano differenze rilevanti fra la macchina da 4 metri e quella da 6, che conserva un minimo vantaggio economico solo se sfrutta tutta la larghezza di lavoro; se invece fosse necessario chiudere una sezione, lavorerebbe agli stessi costi di una “4 metri”. Codesta considerazione ci deve far riflettere sul dimensionamento del cantiere di lavoro, anche in relazione alle misure dei campi: se la larghezza standard degli appezzamenti è approssimativamente un multiplo di 4 metri (e non di 6), la macchina più larga ci costringerà a fare almeno un giro a vuoto per completare il campo. Se questo è sufficientemente esteso, poniamo 40 m per 400 m (1,6 ha), la seminatrice da 4 metri dovrà eseguire 5 giri completi, quella da 6 ne dovrà fare solo 4, l’ultimo dei quali con un terzo della larghezza utile in andata e il ritorno a vuoto.
Il fatto di dovere percorrere 1 giro in meno, oltre a un ritorno a vuoto con la seminatrice sollevata, ci può trarre in inganno: il tempo impiegato è di poco inferiore a quello necessario per seminare 1,92 ha (48 x 400) – poniamo 55 minuti – ma il lavoro realmente eseguito è stato di soli 1,6 ha, con una resa oraria di 1,75 ha/ora. Dividendo per 1,75 il costo orario calcolato per tale cantiere, indicato nella colonna di destra della tabella, otteniamo un valore di 78 euro/ha, superiore ai 74,19 euro/ha della seminatrice da 4 metri.
Se rifacessimo i conti per appezzamenti di misura diversa, i risultati potrebbero cambiare, ma ciò che conta è capire come il movimento della macchina in campo può influenzare i tempi di esecuzione e, di conseguenza, i costi di esecuzione.

Il movimento della seminatrice in campo può influenzare i tempi di esecuzione e, di conseguenza, i costi di esecuzione

Nel nostro esempio, se avessimo concordato con il cliente un prezzo a corpo di 120 euro più Iva, di cui 109,18 € di costi (68,24 €/ha per 1,6 ha) e il resto di utile, ci saremmo mangiati ben più del guadagno: moltiplicando 78 €/ha per 1,6 ha i soli costi ammontano a ben 124,80 €.
I cantieri di lavoro di maggior costo orario sono quelli sui quali si rischia di più; per questo sarebbe opportuna un’indagine accurata su forma e dimensioni degli appezzamenti. Un lavoro semplice se messo in opera attraverso il software di tracciamento del sistema di guida satellitare: poiché ogni campo viene misurato con precisione, è facile analizzare forma e dimensioni. Nei terreni di bonifica (Delta del Po, Agro Pontino, Val di Chiana ecc.) il reticolo poderale è stato realizzato secondo misure standard e se la maggior parte dei clienti risiede in tale area, i conti possono essere fatti anche a tavolino.

Come evitare il sovradosaggio

Il rischio di sovrapposizione delle passate oggi può essere in parte eliminato collegando una seminatrice a distribuzione elettrica a una trattrice dotata di guida automatica

In generale, è bene ricordare che sono proprio le maggiori larghezze di lavoro a evidenziare queste differenze, così come quelle legate alla forma dell’appezzamento e all’eventuale rischio di sovrapposizione delle passate. Un rischio che oggi può essere in parte eliminato, collegando una seminatrice a distribuzione elettrica a una trattrice dotata di guida automatica; il sistema determina automaticamente la posizione dei corpi di semina evitando il sovradosaggio e garantendo a ogni piantina il giusto spazio vitale. Tale metodo richiede però che la macchina copra tutti i punti del campo, e non può pertanto evitare di ripassare due volte sulla stessa porzione: se l’effetto sul seme e sulla coltura è invisibile, il costo dovuto al doppio passaggio non sembra eliminabile.
Le valutazioni sulla resa oraria delle macchine devono essere condotte con criteri prudenziali, a forfait, oppure calcolate puntualmente (a consuntivo), tenendo a mente il principio che “3+3 non fa mai 7”, anzi talvolta non fa neppure 6. Come abbiamo potuto vedere nel nostro esempio, un conto è il record mondiale, realizzato nelle condizioni più favorevoli, un altro è la dura e mutevole realtà di tutti i giorni. Per questo motivo ogni riferimento alla superficie, dalla resa al costo, deve essere preso con la massima prudenza; se qualche volta può essere utile raffrontare il costo orario per la resa, come s’è fatto in questa occasione, bisogna ammettere che si tratta di un’approssimazione.

Seminatrici fra miti e realtà - Ultima modifica: 2020-09-16T13:13:54+02:00 da Francesco Bartolozzi

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