La rapida diffusione del “telehandler”, rispetto al più comune caricatore frontale, ci deve portare a interrogarci sui motivi di un interesse così ampio.
Alla radice della nostra analisi sta l’eterna rivalità fra la macchina specializzata e quella polivalente, rappresentata dal trattore: questa rimane la soluzione più economica soprattutto nelle piccole aziende, in cui è imperativo aumentare le ore di impiego annuo per diminuire i costi unitari.
Ma dove la macchina specialistica trova una sua giustificazione economica, come può avvenire nelle aziende più strutturate o presso i contoterzisti, gli aspetti operativi diventano dominanti e le prestazioni superano di gran lunga quelle del caricatore portato. Questo avrà di certo il pregio della semplicità, del costo contenuto e, da qualche tempo, della versatilità, potendo adattarsi a qualunque accessorio di presa del carico; ma ha bisogno di spazio per essere impiegato nel modo migliore.
Per esempio, l’impiego principe resta quello della raccolta delle balle in campo e nel trasporto al punto di carico sul veicolo; ma fuori da questi ambiti presenta i limiti imposti dalla geometria. Trovandosi in prossimità delle ruote sterzanti, i bracci sono soggetti a una sensibile traslazione laterale; inoltre, il carico è forzatamente limitato dalla portata dell’assale anteriore. Dove c’è bisogno di muoversi velocemente anche in spazi ristretti, con una traiettoria precisa e senza necessità di correggere la posizione con il traslatore – comodissimo, ma è un movimento in più – bisogna che l’attrezzatura di presa del carico (forca o pinza) si sposti il meno possibile durante la manovra di avvicinamento. Un problema, questo, che è comune ad altre operatrici, come la mietitrebbia, oppure la trincia, la pala o il semplice rasaerba a piatto: se la sterzatura è posteriore, è assai più facile impostare la traiettoria che dovrà assumere la testata di lavoro, in funzione del punto in cui dovrà trovarsi.
Questione di equilibrio
Non vanno inoltre dimenticati gli aspetti legati all’equilibrio della macchina: un problema sentito anche per i caricatori frontali, il cui attacco al trattore è arretrato il più possibile, in modo da portare il baricentro all’interno del perimetro dei punti d’appoggio delle ruote. Nei caricatori telescopici l’attacco è ancora più indietro, per ridurre la necessità di contrappesi che costituirebbero un carico “non pagante”, ma oltremodo costoso in termini di consumo di gasolio e di usura delle gomme.
Tale soluzione costruttiva comporta inevitabilmente lo spostamento laterale della cabina, a fianco del braccio, che tuttavia comporta una minore distanza rispetto al punto di presa del carico e una migliore visibilità. La posizione centrale ha inoltre il vantaggio di ridurre le vibrazioni, cosa molto importante per una macchina dotata di gomme di sezione limitata, con notevole portata e quindi piuttosto rigide; questo è il vero punto debole del telescopico agricolo, che solo di rado richiede l’impiego di stabilizzatori.
Benché il caricatore non si possa considerare un trattore, da cui differisce persino dal punto di vista normativo e di omologazione stradale, spesso viene impiegato in condizioni similari, a cominciare dai trasporti su strada. Il ridotto peso aderente, gli pneumatici di dimensioni inferiori a quelle di una trattrice standard e, soprattutto, la trasmissione idrostatica, non ne fanno il mezzo di trazione ideale, sia in termini di forza di traino sia per quanto riguarda il comfort di marcia.
Tuttavia, il telescopico è l’unica macchina specializzata che può fare “anche” da trattrice, nonostante richieda qualche precauzione; oltre ai lavori leggeri in campagna, il suo impiego ideale è nel traino stradale, soprattutto per il trasporto di paglia e foraggi. In queste condizioni il fattore limitante è nelle dimensioni del pianale: con 30 rotoballe il carico utile va da 10 a 15 tonnellate, per 20 t di peso complessivo, un valore alla portata di un buon telescopico omologato per il traino.
Sul piano del confort di marcia, bisogna dire che i costruttori hanno lavorato sodo, riducendo considerevolmente il rumore in cabina e, soprattutto, le vibrazioni trasmesse al conducente, grazie a sistemi di sospensione sempre più sofisticati.
Controlli periodici
Il caricatore telescopico, anche quando non dotato di mezzi di aggancio, rientra fra i cosiddetti “apparecchi di sollevamento” ai sensi del testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, approvato con Decreto Legislativo n. 81/2008 e da allora ripetutamente aggiornato. Perché un elevatore a forche non è considerato un mezzo di sollevamento e un telescopico sì, anche se di fatto possono fare lo stesso lavoro? L’obiezione non è priva di significato, se si pensa alla sola funzione di sollevamento sulle forche, tuttavia il telescopico può svolgere lavori diversi da un comune “muletto”: il braccio estensibile può infatti sollevare oggetti ingombranti e pesanti che il semplice carrello elevatore non può alzare, essendo vincolato dalla breve distanza fra il mezzo di presa e l’incastellatura.
La possibilità di portare il punto di attacco a distanza dalla macchina, oltre che a una quota adatta, consente infatti la sospensione di un carico che può essere spostato esattamente come se fosse appeso a una gru: è questo il motivo per cui il telescopico è assimilato alle gru ai fini dei periodici controlli di funzionalità e di efficienza, con particolare riguardo ai sistemi di sicurezza.
La notevole distanza a cui può essere sollevato il carico può squilibrare il veicolo, determinandone il rovesciamento: un pericolo assai grave, specialmente per i caricatori privi di piedi stabilizzatori.
Per tutti questi motivi, già dal 2014, l’Inail ha posto fine agli equivoci generati dalla lettura delle varie norme succedutesi nel tempo, emanando uno specifico manuale per i caricatori telescopici, di cui si chiarisce l’appartenenza ai mezzi di sollevamento.
In effetti l’Allegato VII al testo unico lascia pochi dubbi, tanto più che la presenza delle forche consente di attaccare qualunque fune, cinghia o imbracatura per il sollevamento di carichi; poco conta quindi che ci sia un vero e proprio gancio, se in fin dei conti è possibile farne a meno.
Questo per fugare ogni dubbio rispetto al decreto interministeriale del 11 aprile 2011, che tratta dei caricatori telescopici dotati di piattaforma per il sollevamento di persone e di quelli, per l’appunto, dotati di un gancio di sospensione: il fatto che la macchina possa essere impiegata per questo scopo obbliga l’impresa a sottoporla alle verifiche periodiche.
Nonostante siano già trascorsi diversi anni, numerosi caricatori che non sono ancora stati censiti e non sono quindi mai stati sottoposti a verifica periodica. Una convinzione doppiamente pericolosa, perché oltre al rischio di verifiche ispettive (ispettorato del lavoro e Asl), oltre a quelle sul rispetto della condizionalità nelle aziende agricole, le conseguenze di un infortunio sul lavoro si aggravano se non sono state rispettate tutte le regole. L’Inail è un istituto di assicurazione e come tale è tenuto al pagamento dell’indennità; ma se il datore di lavoro è incorso in qualche grave irregolarità, l’Inail può esercitare la rivalsa sull’azienda, chiedendo indietro il capitale corrispondente alla rendita pagata all’infortunato.
Sul piano strettamente tecnico, una macchina a funzionamento idraulico è assai meno soggetta a guasti rispetto a una a fune metallica, che è rimane il principale sistema di funzionamento delle gru: una fune può subire lesioni ai cavi che la compongono, mentre un braccio idraulico è molto più robusto, non avendo componenti esposti. Tuttavia, anche i sistemi idraulici sono soggetti a guasti, assai più subdoli da verificare: se per una fune danneggiata basta l’esame visivo, una valvola difettosa può essere provata solo al banco, con l’aiuto di personale esperto. Un braccio a sfilo può inoltre subire danni da deformazione, responsabili di un rientro irregolare, così come i danni a tubi e raccordi; il notevole contenuto tecnologico di un moderno caricatore telescopico, ormai interamente gestito da microprocessori, richiede una verifica qualificata.
Mercato europeo in salute nel 2018
Anno nel complesso buono per i sollevatori telescopici agricoli in Europa nel 2018. Guardando i dati di quattro tra i più importanti paesi dell’Unione europea, si nota infatti che solo l’Italia ha registrato una battuta d’arresto rispetto all’anno precedente, mentre gli altri tre hanno visto un incremento nelle immatricolazioni, rispettivamente del 31,3% in Spagna, del 16,7% nel Regno Unito e del 4,8% in Francia. In virtù di questi risultati, il mercato inglese torna a riappropriarsi della leadership come sette anni fa ai danni della Francia, mentre l’Italia, come detto, ha registrato un netto calo (-15%) ed è al secondo anno consecutivo in rosso.
A livello di quote di mercato, nel Regno Unito i dati disponibili sono quelli del 2017, dove Jcb ha letteralmente dominato con il 52% di market share, seguita da Merlo (15%) e Manitou (14%). In Francia, negli ultimi quattro anni si assiste a una curiosa altalena ai primi due posti tra Manitou e Jcb: nel 2018 è stato il marchio francese a imporsi (36,7% di quota, contro il 29,6% del 2017), con Jcb al secondo posto (28,9%, contro il 33,1% dell’anno precedente). Stabile, invece, al terzo posto Merlo (12,4% di quota). Infine, in Spagna vero e proprio testa a testa tra Jcb (20,7%) e Manitou (20,3%), con la locale Ausa (14,4%) stabile al terzo posto.
Per quanto riguarda l’inizio 2019, non ci sono dati a disposizione se non quelli della Spagna, che continua nel suo esplosivo percorso di crescita con un + 27% dopo i primi cinque mesi. F.B.
Per mettersi in regola
Prima di tutto, bisogna iscrivere il caricatore in un elenco tenuto dall’Inail, compilando l’apposito modello; la comunicazione vale come denuncia di avvenuta messa in servizio e contestuale richiesta di attribuzione di un numero di matricola a cui si dovrà poi fare riferimento nella documentazione aziendale (registro delle verifiche). All’immatricolazione segue – ma può anche essere contestuale – la richiesta della prima verifica periodica: un tempo il controllo periodico degli apparecchi di sollevamento veniva svolto esclusivamente da enti pubblici (come l’Ispesl, poi confluito nell’Inail).
Da tempo questi, in gravissima carenza di personale, sono stati affiancati da società private all’uopo accreditate che, oltre a possedere le cognizioni tecniche necessarie per le verifiche, possono anche supportare il proprietario dell’apparecchio di sollevamento per eventuali revisioni, secondo una formula ben nota anche in agricoltura (controlli funzionali sulle irroratrici).
Di norma il datore di lavoro ha 10 (dieci) mesi di tempo dalla denuncia di messa in servizio per richiedere l’esecuzione della prima verifica periodica; in pratica, se la comunicazione del numero di matricola dovesse tardare, c’è tutto il tempo per effettuare la richiesta della prima verifica.
Per i telescopici non muniti di apparecchiature di aggancio, che fino alla data di entrata in vigore del D.M. 11/04/2011 (maggio 2012) non erano soggetti a denuncia, la richiesta della prima verifica vale come denuncia di messa in servizio.
È consigliabile, o in sede di immatricolazione o di richiesta della prima verifica, allegare alla domanda il certificato CE del caricatore telescopico, per quelli immessi per la prima volta in circolazione dopo il 21 settembre 1996. Per quelli più vecchi, privi di marchio CE, è possibile sostituire la conformità CE con una dichiarazione con cui il proprietario dichiara che il caricatore è conforme, o è stato reso conforme, all’Allegato V al d. lgs. 81/2008.
Le istruzioni impartite dall’Inail non dicono come comportarsi nel caso in cui il telescopico sia stato omologato come “trattrice agricola” (soggetta alla Direttiva 2003/37/CE) e non come “macchina agricola operatrice semovente regolamentata dalla Direttiva Macchine (2006/42/CE).
In questo caso infatti potrebbe mancare la “Conformità CE”: una questione di lana caprina, in realtà, perché facilmente superabile con la dichiarazione di conformità all’Allegato V, firmata dal datore di lavoro che è l’unico responsabile in caso di sinistro. La stessa cosa riguarda anche il cosiddetto “patentino” attestante l’avvenuta formazione per l’uso di alcuni tipi di macchine: un caricatore telescopico, anche se immatricolato come trattore, resta a tutti gli effetti un telescopico ed è pertanto soggetto alle relative norme. In questo caso ci troviamo in una condizione assai diversa da quella del caricatore portato che, in quanto tale, rientra negli obblighi formativi specifici per i trattori agricoli.
Che accade infine in caso di vendita del caricatore usato, mai denunciato all’Inail? La mancata denuncia di messa in servizio e, di conseguenza, l’assenza di verifiche periodiche, non comporta automaticamente la non conformità del telescopico: questo significa che la responsabilità della messa in servizio spetterà a cui lo acquista e lo impiega nella propria azienda. La documentazione necessaria per la denuncia di messa in servizio dei caricatori telescopici è desumibile dall’apposito manuale predisposto dall’Inail al seguente indirizzo:https://www.inail.it/internet/default/Modulistica/Sicurezzasullavoro/Verificheimpiantieattrezzature/indEx.html R.G.