Lavorazioni alla prova del fuoco

L’impennata dei costi energetici costringe a reimpostare tutti i parametri agronomici, a partire proprio dalle lavorazioni

Senza alcuna intenzione di aggravare lo stato d’ansia generato dalla pandemia tuttora in corso e dalla constatazione che gli eventi bellici in corso in Ucraina sono solo uno degli oltre cento conflitti esistenti sul pianeta, la crisi delle materie prime ci induce a qualche riflessione sul nostro futuro.

Se ci guardiamo alle spalle, tutte le considerazioni – più o meno valide – che abbiamo fatto o subito negli anni passati riguardo alla sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili, o dei motori termici con quelli elettrici, ci sembrano oggi ridotte a futili chiacchiere da bar.

Già, perché è ben diverso parlare di risparmio energetico, di uso intelligente delle risorse e di nuove tecnologie quando si vive nell’abbondanza, rispetto a quando i fatti della vita ci portano “dentro” a un problema che avevamo visto solo come probabile o eventuale. È stato sufficiente raddoppiare i costi dell’energia o delle principali materie prime per farci capire che l’abbondanza a cui eravamo abituati era legata solo a quel delicato equilibrio che si chiama pace e che la globalizzazione è accettabile solo se copre interamente i nostri bisogni.

Già la pandemia aveva cominciato a farci venire dei dubbi: nelle prime fasi, quando mancavano le mascherine e altri dispositivi medici, scoprimmo che era possibile – contro ogni regola del diritto internazionale – requisire una fornitura destinata a un altro paese. Qualche mese dopo, l’udire che l’Italia aveva prenotato i vaccini in quantità sufficiente aveva spinto a pensare che dovessero essere proprio gli Stati a preoccuparsi di rispondere ai bisogni dei cittadini, creando delle riserve strategiche tali da evitare la mancanza di beni necessari. Ora che esiste il concreto rischio che possano venire a mancare altre commodity, dai carburanti ai fertilizzanti e ai cereali, ci stiamo finalmente rendendo conto che la globalizzazione ha un senso solo in tempi di abbondanza e di libero commercio.

Le lavorazioni devono privilegiare sia la riduzione dei consumi sia l’efficienza rispetto ai fabbisogni delle colture, senza ovviamente rinunciare alle rese unitarie

Agricoltura, ruolo marginale nelle emissioni

Ma la crisi in corso ci sta insegnando anche a riscoprire che le leggi economiche formulate nel secolo scorso sono sempre valide: se un bene manca o scarseggia (o si diffonde, semplicemente, la sola idea che possa arrivare a scarseggiare), il primo effetto è la risalita del prezzo. Nell’Unione Europea è mancata una vera strategia sull’auto-approvvigionamento dei prodotti agricoli primari, con una politica agricola che ha sempre messo la produzione in secondo piano, spingendo di fatto a produrre all’estero: un’idea estremista che sta cominciando a vacillare. Un tempo l’Europa era uno dei massimi produttori netti mondiali e – si diceva – gli incentivi sui prezzi (i cosiddetti montanti compensativi) aiutavano la produzione fino a determinare cospicue eccedenze che andavano ad accumularsi nei magazzini. Per invertire questa tendenza la politica comunitaria ha spinto verso la riduzione delle rese e degli input, pur senza migliorare di molto i parametri ambientali che dovevano giustificare gli aiuti a superficie. Un beneficio, quello ambientale, che in realtà non esiste: secondo i dati ufficiali dell’Ispra risulta, infatti, che l’agricoltura ha un ruolo marginale nelle emissioni che possono incidere sul cambiamento climatico (7%) e, fra queste, le produzioni vegetali incidono per meno di un terzo.

Di fronte al rischio che chi possiede una certa risorsa voglia limitarne l’esportazione, ci vorrebbe un sano ritorno alla tutela delle economie nazionali, che non significa chiudersi al mercato, ma tenere conto dei propri fabbisogni primari, sia in termini consumi sia di impieghi. L’Italia è un Paese che produce poco e trasforma molto: gran parte delle nostre eccellenze alimentari derivano da materie prime di provenienza estera e per i mercati in cui esportiamo il “made in Italy” può derivare anche da prodotti importati. Quindi, tutti coloro che si rallegrano della riduzione delle importazioni dovrebbero riflettere sul fatto che ciò che indebolisce la filiera alimentare non rafforza neppure le produzioni locali.

La minima lavorazione è consigliabile perché consente di proteggere la sostanza organica da una troppo rapida ossidazione e dal rischio di perdere azoto per vaporizzazione dei composti volatili

Privilegiare riduzione dei consumi ed efficienza

Come al solito, la posizione migliore va cercata nel mezzo, in un punto di equilibrio fra fabbisogni e importazioni, nel quale devono essere difesi e incentivati i prodotti che sostengono le nostre filiere. Definito l’obiettivo, bisogna stabilire come raggiungerlo: senza fughe in avanti, alla vana ricerca di tecniche produttive oggettivamente deboli e incapaci di garantirci la sicurezza alimentare, ma pur sempre nel rispetto della sostenibilità, sociale, economica e ambientale.

Il raddoppio del costo del gasolio deve far ripensare l’intera tecnica colturale, che fino a poco tempo ci concedeva di confrontare liberamente diversi cantieri, nei quali il minor costo delle macchine esistenti poteva essere compensato da un consumo più elevato. Con un costo energetico che si è impennato in pochi mesi, portando con sé un netto incremento nei prezzi dei fertilizzanti (sempre legati a quelli dell’energia), bisogna reimpostare tutti i parametri agronomici, a partire proprio dalle lavorazioni. Queste devono privilegiare sia la riduzione dei consumi sia l’efficienza rispetto ai fabbisogni delle colture, senza ovviamente rinunciare alle rese unitarie, che restano un requisito imprescindibile per la sicurezza degli approvvigionamenti e per la sopravvivenza dell’azienda agricola.

Il regime sodivo non deve essere “obbligato”, ma prevedere la possibilità di ripristinare la permeabilità del suolo

Otto obiettivi da perseguire

Gli obiettivi da perseguire, fin dalla scelta delle lavorazioni (e quindi dei macchinari) dovrebbero essere i seguenti:

1. Aumento della fertilità, intesa come capacità di messa a disposizione della pianta acqua e nutrienti in quantità sufficiente al suo sviluppo; tale capacità è correlata al contenuto di humus, derivante dalla trasformazione della sostanza organica in ambiente aerobico. Queste condizioni si realizzano con costante apporto di sostanza organica (residui colturali, sovesci e fertilizzanti a base organica) da distribuire nello strato attivo, a una profondità variabile da 5 a 35 centimetri; il valore massimo può essere raggiunto solo nei climi asciutti e su terreni drenanti, per favorire gli scambi gassosi con l’atmosfera ed evitare la carbonizzazione della sostanza organica.

2. Incremento dell’attività degli organismi terricoli, ottenibile solo limitando l’inversione degli strati e gli interventi troppo energici sul terreno. Nell’ambito della rotazione l’aratura deve essere eseguita saltuariamente, mentre l’impiego delle attrezzature a utensili rotanti deve essere limitata ai soli casi in cui non sia possibile lavorare con utensili folli; in ogni caso è sempre preferibile l’erpice rotante a denti verticali rispetto alla zappatrice;

Un’aratura a 25-30 centimetri di profondità è più che sufficiente per controllare possibili infestazioni, oltre a consentire un maggiore risparmio energetico

3. Adozione, compatibilmente con la coltura, di tecniche di minima lavorazione, consigliabile perché consente di proteggere la sostanza organica da una troppo rapida ossidazione e dal rischio di perdere azoto per vaporizzazione dei composti volatili. La combinazione fra seminatrice e organi lavoranti è preferibile, sia per motivi di costo (unico passaggio) sia per la migliore competizione della coltura con eventuali malerbe. La separazione fra le due operazioni è meno conveniente e deve essere limitata ai casi in cui il terreno sia ancora troppo secco per la semina, ma non per la preparazione.

4. Semina senza lavorazione
: il regime sodivo è stato sviluppato in climi freddi e umidi, nei quali la semina diretta è consigliabile per non disturbare l’attività degli organismi terricoli, senza che possa determinarsi un’eccessiva perdita di azoto ammoniacale, quando la sostanza organica si decompone in superficie. Il regime sodivo non deve però essere “obbligato”, come era stato interpretato da svariate regioni in relazione agli aiuti ambientali, ma deve prevedere la possibilità di ripristinare la permeabilità del suolo con appositi strumenti.

5. Nei cantieri tradizionali, come accade per il regime biologico dove il controllo delle malerbe è tuttora dipendente dalle lavorazioni meccaniche, l’aratura profonda (40 cm e oltre) deve essere limitata alle sole colture e ai terreni che ne traggono un diretto vantaggio. Una profondità di 25-30 centimetri è più che sufficiente per controllare possibili infestazioni, oltre a consentire un maggiore risparmio energetico. È interessante notare che, sullo stesso terreno, la riduzione di un quarto della profondità di lavoro (da 40 a 30 cm) comporta una diminuzione dei consumi superiore al 30%, a cui va sommata la minore richiesta di energia per la riduzione della zollosità residua.

Nella preparazione del letto di semina è consigliabile ridurre l’impiego delle macchine a utensili rotanti, azionate dalla presa di potenza

6. Preparazione del letto di semina:
- È consigliabile ridurre l’impiego delle macchine a utensili rotanti, azionate dalla presa di potenza, la cui produttività è limitata dalla ridotta velocità di avanzamento. Sono macchine di cui non si può fare a meno, perché in certe annate non hanno alternative valide, ma devono essere impiegate solo ove necessario perché la minore resa oraria determina un maggior consumo di carburante; per contro, gli utensili attivi riducono le sollecitazioni agli organi di propulsione, grazie al minore sforzo di trazione.
- Dopo un periodo di adattamento ai nostri terreni e alle nostre condizioni, i preparatori combinati a utensili fissi e folli possono essere impiegati in quasi tutte le condizioni, con un consumo per ettaro compatibile con gli attuali costi dell’energia; se impiegati su terreno asciutto e alla giusta velocità di lavoro, grazie alla disponibilità di trattori di potenza elevata, eseguono un ottimo affinamento del terreno con grande tempestività.
- Le condizioni climatiche e pedologiche hanno una notevole incidenza sui tempi di lavoro, sui consumi e sull’efficienza delle lavorazioni, che dovrebbero essere eseguite in funzione del tasso di umidità del suolo e non solo a calendario. In questo senso è corretto privilegiare la scelta delle attrezzature in relazione alla produttività ed alla capacità di lavorare in condizioni diverse, per programmare gli interventi nelle migliori condizioni.

La combinazione fra seminatrice e organi lavoranti è preferibile, sia per motivi di costo (unico passaggio) sia per la migliore competizione della coltura con eventuali malerbe

7. Riduzione del compattamento, che diminuisce la permeabilità del terreno e la sua capacità idrica, oltre a creare condizioni asfittiche che ne limitano la fertilità. Il compattamento, che si può definire come una deformazione plastica della struttura del suolo, a danno della porosità, è dovuto all’applicazione di forze determinate dal transito di un veicolo oppure dal passaggio di un attrezzo con sezione crescente, che comprime le due facce del taglio. In condizioni di forte umidità, la deformazione aumenta perché l’acqua si comporta come un lubrificante che riduce l’attrito fra le particelle terrose.
- Passaggio di veicoli in superficie: è il caso più evidente, anche se la deformazione visibile è quella meno dannosa; una ruota che sprofonda nel terreno soffice deforma la superficie, ma soprattutto gli strati sottostanti, nei quali gli spazi vuoti vengono “spremuti” dell’aria che contenevano, con le particelle minerali che si incollano fra loro, rendendo poi difficili gli scambi gassosi e la penetrazione dell’acqua e delle radici, oltre che degli utensili.
- Calpestamento del terreno in profondità (entro solco): se la pressione superficiale è dannosa, ancora di più lo è quella profonda, come accade per le lavorazioni entro solco. Arando alla stessa profondità, la costipazione del piano di passaggio del vomere è molto più alta per l’agricoltore che ara in proprio, rispetto all’aratura svolta da un contoterzista con un aratro fuori solco. In tal caso si impiega un trattore di grande potenza, il cui peso viene però scaricato da una gomma di grande diametro e di larga sezione, con una pressione al suolo inferiore per effetto dell’ampia superficie di appoggio. Per lavorare entro solco una gomma a sezione larga è inadatta (la ruota deve entrare nel solco), sommando alla compressione del vomere quella esercitata dalla ruota posteriore; questa, per effetto dell’inclinazione del trattore, è assai più caricata dell’altra.
- Passaggio di utensili di lavoro: quelli che più danneggiano il terreno sono le lame orizzontali presenti negli aratri (vomere) e nelle zappatrici, perché determinano una forte compressione dello strato sottostante, detta per l’appunto “suola di aratura”.  Più l’aratura è frequente, magari impiegando lo stesso aratro, come accade agli agricoltori che scelgono di lavorarsi la terra in proprio, più si crea e si conserva questo strato fortemente costipato, che ostacola la percolazione profonda delle acque. Nei terreni collinari e montani, dove in apparenza lo sgrondo delle acque parrebbe più semplice, la suola di aratura diventa invece ancora più pericolosa perché crea un piano di scivolamento sul quale può scorrere il terreno soprastante con la formazione di smottamenti di varia gravità.
Ma la suola di lavorazione può formarsi anche con i passaggi ripetuti, come avviene nelle aziende orticole, dove si succedono più cicli colturale nello stesso anno e lo strumento preferito per terminare il ciclo precedente e preparare la terra per il trapianto è proprio la zappatrice; in questi casi è preferibile lavorare con utensili di forma il più possibile rettilinea (e, comunque, non a gomito) per lasciare un piano di lavorazione non uniforme, incrociando ove possibile le passate.

Per ripristinare terreni costipati gli strumenti più adatti sono i ripuntatori dotati di ancore

8. Ripristino di terreni costipati o danneggiati da pratiche agronomiche errate: il mercato offre un’ampia scelta di attrezzature per il ripristino delle condizioni ottimali, considerato che la maggior parte dei problemi è legata alla riduzione della porosità e alla formazione di aggregati artificiali (zolle). Gli strumenti più adatti sono i ripuntatori dotati di ancore ad andamento prevalentemente verticale, per favorire la rottura della suola di lavorazione e per creare una fessurazione profonda stabile nel tempo. Il modo migliore di far lavorare un ripuntatore è quello di impiegarlo ad una velocità sufficiente e con terreno tendenzialmente asciutto: l’energica azione meccanica favorisce la rottura caotica delle zolle evitando il semplice taglio verticale o la deformazione elastica del suolo. In termini energetici, se si lavora nelle condizioni adatte e senza esagerare con la profondità (superiore però a quella di aratura) i consumi restano accettabili.

Lavorazioni alla prova del fuoco - Ultima modifica: 2022-05-16T09:32:18+02:00 da Roberta Ponci

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