Con l’agricoltura di precisione si risparmia e si guadagna di più

I risultati del progetto Sos-Ap dell’Università e del Cnr di Milano su mais e vite

L’agricoltura di precisione è ormai il tema del momento: non c’è articolo o convegno che non la citi, almeno indirettamente. Una delle principali riserve relative a questa pratica, soprattutto nel suo primo periodo di diffusione, è stata però la sua utilità stanti le caratteristiche dell’agricoltura italiana, fatta generalmente di piccoli appezzamenti (se paragonati anche soltanto con le estensioni di Francia o Germania) e di terreni in maggior parte collinari. Con, in più, una quota importante della superficie coltivabile destinata a colture specialistiche quali vite, olivo e frutta in genere. In queste condizioni, le tecniche di precisione sono ancora convenienti, dal punto di vista ambientale ma anche economico? In altre parole, portano a risparmiare mezzi tecnici (fitofarmaci, fertilizzanti, acqua) e di conseguenza a inquinare meno, grazie alla riduzione di prodotti di sintesi come concimi e agrofarmaci, oltre che al minor consumo di gasolio necessario per la loro distribuzione e per irrigare? La domanda è legittima, soprattutto in una fase, come quella attuale, in cui i suddetti mezzi tecnici, per non parlare del gasolio, hanno subito una drastica impennata dei prezzi. Porsela è un dovere di ogni imprenditore accorto, ma ancor più di ogni tecnico e agronomo.

Il progetto

È anche una domanda più che lecita per un ricercatore, naturalmente, e dunque non sorprende che diversi gruppi se la siano posta e abbiano cercato una risposta scientificamente comprovata. Tra essi, gli ideatori di Sos-Ap, acronimo per Soluzioni Sostenibili per l’Agricoltura di Precisione, un progetto avviato oltre due anni fa in Lombardia dal Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università di Milano e dall’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente, un dipartimento del Cnr. Obiettivo dello studio, valutare e diffondere tecniche di precisione in due settori fondamentali dell’agricoltura lombarda, come maiscoltura e viticoltura. I ricercatori hanno individuato tre aziende, una cerealicola e due viticole, e hanno portato avanti due filoni di ricerca: un test di gestione dell’irrigazione e della concimazione con tecniche di precisione e, successivamente, la trasposizione dei risultati ottenuti su scala aziendale. Di seguito, le caratteristiche salienti delle realtà esaminate.

Mais. La Canova è un’azienda agricola di Gambara (Bs) con una Sau di circa 300 ettari, coltivati a grano, orzo, mais e soia. L’irrigazione è assicurata da sette impianti pivot, uno dei quali insisteva sul terreno scelto per la prova pilota. La concimazione, naturalmente, si avvale di letame aziendale integrato da concimi minerali.

Vite. In questo caso le aziende coinvolte erano, come già segnalato, due. Le prove vere e proprie sono state condotte su un ettaro di vigneto della Cantina Gozzi di Olfino di Monzambano (Mn), mentre la simulazione su scala aziendale ha preso in considerazione i dieci ettari vitati dell’azienda Ricchi di Cavriana (Mn), caratterizzati da appezzamenti collinari.

Il test

Partiamo dal mais. La presenza di un sistema di irrigazione ad alta efficienza come il pivot – gli estensori del progetto ricordano che la maggior parte del mais lombardo è irrigato per sommersione, sebbene stia crescendo la superficie soggetta ad aspersione – ha permesso di applicare al terreno individuato l’irrigazione a dosaggio variabile, aumentando o riducendo la velocità di rotazione del braccio. «Sugli impianti più moderni è possibile regolare la quantità di acqua distribuita agendo sugli ugelli, ma nel caso in questione è stato necessario installare un motore che modificasse la velocità di spostamento», ha ricordato Arianna Facchi, una delle ricercatrici milanesi coinvolte nel progetto.

Naturalmente, affinché il sistema sappia dove e quando accelerare il passaggio è necessario arrivare a una mappa di prescrizione; ottenuta, in questo caso, sia con analisi del terreno (monitoraggio con sensori geofisici che registrano la resistività elettrica) sia con il telerilevamento (indici Ndvi, Evi, Evi2 etc). «La tecnica del Data Fusion ha permesso di interpolare le informazioni individuando le zone omogenee di gestione degli input», ha precisato Alberto Crema, ricercatore del Cnr che si è occupato in particolare delle fasi di telerilevamento. Al termine di questa complessa operazione, sono stati individuati quattro tipi di suolo differenti: franco con scheletro, franco sabbioso, franco argilloso e grossolano in profondità. L’installazione di sonde di umidità ha permesso di conoscere, durante la stagione, lo stato del terreno, ottenendo informazioni su quanta acqua distribuire per ogni settore. «Quando la variabilità produttiva dipende dall’interazione tra pianta, suolo e atmosfera, tuttavia, è difficile mettere in campo contromisure efficaci. I sensori di umidità, per esempio, sono influenzati dalla variabilità della micro-infiltrazione, per cui i volumi di acqua risultano spesso sottostimati»: questa la precisazione di Francesco Morari, docente di Agronomia all’Università di Padova. «Per questo motivo – ha aggiunto – è importante impiegare dati raccolti da diverse fonti: modelli agro-ambientali, sensori, capannine meteo, queste ultime per stimare traspirazione ed evaporazione. Il nostro staff, per esempio, sta lavorando a modelli basati sulla temperatura superficiale, ma anche su sensori a raggi cosmici, che lavorano sull’interazione tra i neutroni presenti in atmosfera e l’acqua contenuta nel suolo e nelle piante, fornendo dati attendibili sull’umidità per parcelle con raggio di 100 metri».

Fonte: Alice Mayer

Procedimento simile per la parte di ricerca relativa alla viticoltura, dove si sono affiancati i rilievi geofisici al telerilevamento, ma anche all’analisi topografica dei vigneti, dal momento che parte di essi si trovano in pendenza: una situazione che, naturalmente, condiziona sensibilmente la quantità d’acqua assorbita dal terreno, per esempio durante un rapido temporale con piogge intense. Al termine dell’analisi del suolo, l’appezzamento è stato diviso in quattro zone, in cui si sono aperte trincee per prelevare campioni a vari livelli di profondità. «Al termine delle verifiche abbiamo individuato due aree: suolo sabbioso con molto scheletro nella parte ovest, poi la tessitura diventava sempre più fine procedendo verso est, fino a trasformarsi in argilloso-limosa. Per questo motivo abbiamo progettato un impianto di irrigazione a goccia diviso in tre: uno per il settore sabbioso, uno per quello argillo e un terzo, infine, di controllo», ha spiegato Alice Mayer, ricercatrice dell’Università di Milano. L’irrigazione, ha aggiunto, è stata guidata da sonde di umidità poste a profondità di 40 e 80 cm e dai dati ottenuti da una stazione meteo, mentre l’area di controllo è stata affidata al viticoltore, esattamente come avvenuto per il test su mais.

La scala aziendale e i risultati

I dati raccolti al termine della stagione avevano già un loro significato, ma i ricercatori hanno preferito ampliare il progetto estendendolo nello spazio e nel tempo. Grazie ad algoritmi e modelli matematici hanno simulato cosa sarebbe accaduto se tutta l’azienda Canova fosse stata irrigata con queste tecniche nei sei anni precedenti. Per il settore viticolo, si è invece presa in considerazione una seconda azienda, la Ricchi, su un periodo di cinque anni. Naturalmente, su entrambe sono state realizzate analisi preventive del terreno e della vigoria, per ottenere un solido supporto su cui basare la simulazione.

I risultati di quest’ultima, assieme a quelli del test pilota, sono stati illustrati nel corso di un convegno conclusivo, in omaggio a uno degli assi fondamentali del progetto, ovvero la trasmissione di quanto ottenuto ai veri destinatari del messaggio, vale a dire tecnici e agricoltori.

Fonte: Arianna Facchi

Vediamo allora le principali conclusioni cui è giunto il gruppo di ricerca. Il test su mais ha portato a un risparmio di acqua del 16% su terreno grossolano e del 24% nella parte a tessitura fine. «La granella – ha aggiunto Arianna Facchi – era confrontabile con il settore di controllo per quantità e inferiore al medesimo per umidità, il che comporta chiaramente un risparmio nei costi di essiccamento».

Trasferiti su scala aziendale e su un arco temporale più lungo della singola stagione, i dati hanno mostrato che applicando l’irrigazione a dosaggio variabile si sarebbe risparmiato, in media, il 20% di acqua e una quota proporzionale del gasolio o dell’energia elettrica necessari per pompaggio e diffusione. «Questi risparmi – hanno concluso i ricercatori – compensano il costo di acquisto dei servizi satellitari per mettere in atto le tecniche di precisione». Allo stesso modo, la gestione mirata dell’acqua riduce le perdite di azoto per lisciviazione, a prescindere dal sistema di concimazione e dall’impiego di fertilizzanti organici o minerali, e migliora quindi la sostenibilità ambientale della maiscoltura.

Meno univoci i dati per la viticoltura: il vigneto pilota ha ottenuto un risparmio medio del 30%, mentre su scala aziendale le pendenze hanno condizionato i valori, fornendo una forbice che va dal 5 al 59%. Si rende necessario, hanno spiegato i ricercatori, un ampliamento della ricerca che tenga conto di impluvi e depluvi. Più uniformi i dati sulla concimazione azotata, per la quale si sono adottate diverse strategie, con somministrazioni comprese tra 30 e 70 unità di azoto, analizzandone l’effetto sia sui parametri quantitativi (vigore della pianta e peso del grappolo), sia su quelli qualitativi, dal momento che, come ha ricordato Lucio Brancadoro, le variazioni di azoto nei mosti favoriscono vinificazioni più regolari e migliori profumi. Per entrambi gli ambiti, la parcella concimata con 50 unità di azoto è stata quella con le migliori performance.


La variabile economica

Il bilancio economico di una coltivazione realizzata con tecniche di precisione è ovviamente fondamentale per valutare se e fino a che punto valga la pena adottare le suddette. Se ne è occupato Stefano Corsi, associato di Economia e Estimo alla facoltà di Agraria della Statale. «Non disponendo di bilanci accurati nel settore agricolo, ne abbiamo realizzato uno andando a recuperare informazioni da diverse fonti: dati di mercato, costo dei macchinari, tassi di ammortamento, tariffari delle aziende di lavorazioni in conto terzi. È emerso che fino al 2019 applicare tecniche di precisione in maiscoltura, con determinati sistemi di irrigazione, poteva essere economicamente penalizzante. Rifacendo i calcoli con il valore attuale di gasolio e mezzi tecnici, tuttavia, le soluzioni a dosaggio variabile diventano competitive rispetto a quelle convenzionali. Discorso diverso per la vite: viste le quotazioni delle uve, il dosaggio variabile appariva competitivo già con i costi del 2019, grazie all’incremento quantitativo e al miglioramento qualitativo che esso determina. Introducendo gli aumenti degli ultimi due anni, la capacità far risparmiare gasolio e fertilizzante dell’agricoltura di precisione aumenta ulteriormente».

Fonte: Stefano Corsi
Fonte: Stefano Corsi

In conclusione, ha spiegato il relatore, l’agricoltura a dosaggio variabile consente di far fronte meglio a variazioni dei costi, tutelando il reddito aziendale. «Purtroppo, i costi dei servizi, per esempio per i rilevamenti e la mappatura, restano piuttosto elevati, ma si calcola che scenderanno in modo proporzionale alla loro diffusione. Quella che va incentivata, soprattutto, è la capacità di interpretare questi dati da parte degli agricoltori». La combinazione di diverse pratiche di rateo variabile – per esempio irrigazione e concimazione – determina infine economie di scala, in quanto, per esempio, il costo dei rilevamenti si distribuisce su più interventi, i cui benefici effetti si sommano gli uni agli altri.

Tutte le presentazioni del convegno sono scaricabili dal sito dedicato del Progetto SOS-AP

Con l’agricoltura di precisione si risparmia e si guadagna di più - Ultima modifica: 2023-01-10T16:14:23+01:00 da Francesco Bartolozzi

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