Agricoltura conservativa, prima che sia troppo tardi

Con 4 t/anno di residui colturali in 10 anni si può arrivare a oltre 30 t di disponibilità idrica
È legittimo chiedersi se negli ultimi decenni sia cambiato qualcosa in termini di tecnica agronomica e di gestione dei suoli, e se sia possibile cambiare rotta

In un mondo sempre più piccolo, in cui le superfici agricole si riducono per fare spazio ad altre attività umane – solo in Italia si perdono 24 ettari al giorno – ci sarebbe bisogno di incrementare le rese sia per compensare le perdite sia per nutrire una popolazione in costante crescita. Invece i nostri campi producono sempre di meno, come dimostra il crescente bisogno di nuove superfici da parte di quelle attività di trasformazione che hanno una capacità produttiva costante e facilmente misurabile, dal biogas ai mangimifici.

Un segnale d’allarme che si somma ad altri più complessi: lo sforzo di trazione è in costante aumento, a parità di sezione lavorata, con terreni che diventano sempre più sensibili al clima; un mese senza piogge (o con piogge continue) diventa una catastrofe. Non c’è dubbio che l’estremizzazione dei fenomeni, dovuta al cambiamento climatico, abbia le sue colpe, ma che qualunque eccesso nella disponibilità idrica debba per forza trasformarsi in una calamità lascia qualche sospetto sulle responsabilità. A parte quella collettiva, globale, dovuta agli effetti sul clima di attività economiche forse troppo invasive, è legittimo chiedersi se negli ultimi decenni sia cambiato qualcosa in termini di tecnica agronomica e di gestione dei suoli, e se sia possibile cambiare rotta.

Per fare questo dobbiamo tornare sui banchi di scuola e riflettere sul ciclo dell’acqua, che le piante non assorbono come una pompa idraulica – che applica una depressione che richiama il liquido – ma attraverso un meccanismo più complesso. L’assorbimento dell’acqua avviene su base cellulare e, come nella pompa idraulica, richiede poco lavoro se il terreno è umido, ma ne richiede sempre più a mano a mano che questo perde umidità, fino al punto di consumare gran parte delle riserve per vincere uno sforzo crescente.

Tutti i vegetali accumulano sostanze di riserva, che servono per favorire la ripresa vegetativa o lo sviluppo del seme: una caratteristica di cui l’uomo ha saputo approfittare nella domesticazione dei cereali – qualche decina di migliaia di anni fa – per darci piante capaci di nutrirci. É chiaro che se una parte degli zuccheri deve essere impiegata per fornire energia sufficiente a estrarre acqua da un suolo secco, troveremo meno amido nei tessuti di riserva e quindi avremo meno granella e, in soldoni, meno quintali dentro ai sili. Un fenomeno ben noto nel nostro Mezzogiorno, con perdite di grano dell’ordine del 40-45% in Puglia e ancora superiori altre regioni – come la Sicilia – che ha azzerato la produzione del miglior grano duro del Mediterraneo.

Raddoppiare il contenuto di sostanza organica dei suoli entro il 2050 è un traguardo raggiungibile, a patto di stabilire regole certe che vadano a sostenere le situazioni più a rischio

Il ruolo cruciale del carbonio organico

I processi cellulari hanno bisogno di un livello minimo di umidità, al sotto del quale le reazioni biochimiche non avvengono più, la pianta non riesce a portare i semi a maturazione e muore. La capacità di estrazione dell’acqua varia fra le specie – ci sono piante più esigenti, come il mais, e altre più rustiche come sorgo e miglio, coltivate nelle regioni più aride – e soprattutto fra le diverse matrici di cui è composto il terreno. Da un substrato prevalentemente organico, che si comporta come una spugna, è possibile estrarre grandi quantità d’acqua con poca fatica, a differenza di quanto avviene da un mix di argilla, limo e sabbia, che ne contiene assai di meno e se la tiene ben stretta.

L’esempio evidenzia il ruolo cruciale del carbonio organico che, secondo autorevoli studi condotti oltre oceano, può assorbire acqua per quasi cento volte il suo peso: del resto esistono organismi viventi che contengono quasi il 99% di acqua. Ammesso che la capacità idrica ammonti a 80 volte il peso della sostanza organica apportata, con 4 t/anno di residui colturali, in 10 anni si può arrivare a oltre 30 t, al netto delle perdite: 2.400 metri cubi di acqua trattenuta corrispondono a una maggiore disponibilità di ben 240 mm!

L’Unione Europea, con il Green Deal, si era posta l’obiettivo di raddoppiare il contenuto di sostanza organica dei suoli entro il 2050, un traguardo facile da realizzare solo nei terreni più poveri: anche qui l’impostazione ideologica della politica comunitaria non consentiva di fare distinzioni. Ora che il vento sembra essere cambiato, almeno rispetto agli eccessi più evidenti, il traguardo è raggiungibile, a patto di stabilire regole certe che vadano a sostenere le situazioni più a rischio.

Lo spettro della desertificazione non interessa solo i suoli dell’area mediterranea, che più risentono delle carenze idriche, ma anche quelli delle pianure del Nord, soggetti a frequente ristagno per effetto della minor capacità di assorbire le precipitazioni in eccesso.

Soluzioni agronomiche disponibili

Per invertire la tendenza, finché siamo ancora in tempo, bisogna ripensare completamente alla gestione agronomica del terreno, puntando sulle soluzioni disponibili:

- apporto di residui colturali: se insufficiente, per effetto di colture che lasciano pochi residui, come il mais da trinciato, deve essere compensato con altre soluzioni, come le cover crop;

- preferire colture che lasciano molto residuo, come sorgo e mais da granella;

- per i cereali vernini la paglia non ha un valore solo come sottoprodotto, ma anche come apporto di sostanza organica “non fertilizzante”: l’elevato rapporto fra carbonio e azoto non è un ostacolo all’assorbimento di acqua.

L’azione conservativa riguarda la conservazione della fertilità del suolo, fondata sulla protezione della sostanza organica durante il processo di decomposizione e trasformazione in humus. Questo insieme di composti organici di natura colloidale ha la capacità di legarsi alla componente minerale del suolo, dando luogo ad agglomerati molto più stabili rispetto a quelli derivanti dalla frantumazione meccanica delle zolle, perché la sostanza organica agisce come “collante”.

Tali aggregati, oltre a risentire assai meno dell’azione dilavante della pioggia, hanno la capacità assorbire una maggior quantità di acqua e, legandosi ai silicati a struttura laminare (come le argille), consente di trattenere altre molecole d’acqua o di nutrienti. La fauna terricola svolge un ruolo chiave nell’attività di decomposizione dei residui, che viene completata dai microrganismi: quelli che vivono nell’apparato digerente dei piccoli animaletti e quelli presenti nel terreno.

Lo scopo delle lavorazioni conservative assume diverse funzioni, a seconda che la sostanza organica debba essere protetta da una troppo rapida mineralizzazione, come accade in ambienti caldo-aridi, oppure da fenomeni di riduzione (l’opposto dell’ossidazione) in climi freddi o umidi.

Le cover crop rappresentano il sistema più efficace per incrementare il tenore di sostanza organica

Ambienti caldo-aridi

Nel primo caso bisogna portare i residui a una profondità tale da mantenere un certo grado di umidità, evitando l’azione solare diretta: la decomposizione all’aria comporterebbe la perdita del carbonio organico (come anidride carbonica) e di parte dei composti azotati (come ammoniaca).

La materia organica deva essere distribuita all’interno di uno strato non troppo profondo, in grado di mantenere il contatto con l’atmosfera e di favorire la vita degli organismi terricoli; il materiale organico che dovesse rimanere in superficie è destinato a scomparire rapidamente. La lavorazione dovrà pertanto coprire l’intera superficie, per assicurare la completa protezione dei residui vegetali (o dei reflui zootecnici, se disponibili); l’aratura superficiale non è da scartare, a condizione che venga eseguita con gli attrezzi adatti. Come aratro è preferibile quello con il vomere a losanga, preceduto da una ripuntatura se c’è il rischio di ristagni idrici durante il periodo invernale; diversamente potrebbe andare bene anche un utensile a dischi, tale da consentire il completo interramento dei residui. La lavorazione con utensili rotanti appare invece sconsigliabile, perché zappe e coltelli sminuzzano troppo il residuo vegetale e ne accelerano la decomposizione; inoltre, si crea un notevole disturbo alla fauna terricola con conseguente riduzione della sua attività.

Climi freddo-umidi

In ambienti via via più freddi e umidi la necessità di proteggere i tessuti vegetali diventa meno pressante, perché il processo di decomposizione è più lento, a causa della minore attività degli organismi del terreno, consentendo maggior libertà nella scelta della lavorazione e dell’attrezzatura.

Una lavorazione a strisce con utensili azionati dal motore, capace di frantumare residui coriacei come gli stocchi di colza o girasole, consente agli organismi terricoli viventi nella parte non lavorata di colonizzare rapidamente la fascia “disturbata”. Con l’aumentare dell’umidità, o con il diminuire delle temperature, la sostanza organica potrebbe arrivare a decomporsi nei tempi giusti anche restando in superficie: la tecnica del sodo permanente nacque proprio nei climi temperati freddi per questo motivo.

Una parte di essa – anidride carbonica e ammoniaca – è comunque destinata a evaporare e perdersi in atmosfera, subendo lo stesso destino delle biomasse vegetali inutilizzate; poiché tali gas sono fra i primi responsabili dell’effetto serra, è opportuno adottare la tecnica più corretta. Quindi, niente sodo permanente, a meno che la materia in decomposizione non sia stata schermata da uno strato di sufficiente spessore di altra biomassa fresca, come quella di una cover crop.

Le cover rappresentano il sistema più efficace per incrementare il tenore di sostanza organica: se consideriamo che un cereale vernino apporta in media da 3 a 4 t/anno (fra paglia e radici), l’aggiunta di altre 3-4 t derivanti dalla coltura di copertura dimezza i tempi di recupero della fertilità. Inoltre, come abbiamo visto, l’incremento di materiali organici riduce la sensibilità al contenuto di umidità, allungando il periodo in cui il terreno si trova in condizioni di “tempera” e consente quindi di ridurre la sforzo di trazione con immediato effetto sui consumi di carburante.

Ma bisogna sbrigarsi, perché già da qualche tempo gli esperti di agronomia hanno iniziato a parlare di agricoltura rigenerativa, come se il concetto di “conservazione” della fertilità si riferisse a un qualcosa che non c’è più e che bisogna ricostruire partendo da zero.

Agricoltura conservativa, prima che sia troppo tardi - Ultima modifica: 2024-06-25T08:46:58+02:00 da Roberta Ponci

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