«Ottimizzare la gestione dell’irrigazione in serra, rispondendo tempestivamente alle reali necessità delle piante, diventa una necessità sempre più ineludibile, sia per non esporle a condizioni di stress idrico sia per evitare sprechi di acqua, risorsa sempre più preziosa e costosa. In tale prospettiva i sensori per la misura dello stato idrico del substrato di coltivazione costituiscono un importante supporto decisionale all’irrigazione». Lo ha affermato Francesco Montesano, ricercatore dell’Istituto di scienze delle produzioni alimentari (Ispa) del Cnr di Bari al convegno “Gestione sostenibile della risorsa idrica per l’irrigazione: il progetto Irma per una rete di conoscenze”.
Negli ultimi decenni si è assistito all’introduzione di importanti innovazioni il cui effetto è stato aumentare notevolmente l’efficienza d’uso dell’acqua irrigua. «Si pensi ad esempio al passaggio alla cosiddetta precision irrigation (drip o microirrigazione, irrigazione con minisprinkler o barre mobili), per distribuire l’acqua alle colture in maniera quanto più efficiente al fine di ridurne gli sprechi. Un’altra importante innovazione è stata senza dubbio l’introduzione, su colture orticole, floricole e persino arboree, della tecnica del fuori suolo a ciclo chiuso, con recupero e riciclo della soluzione nutritiva. Infatti la gestione della risorsa idrica e dei fertilizzanti con questi sistemi prevede l’eliminazione degli sprechi e la riduzione dei consumi, grazie al riciclo e al riutilizzo delle soluzioni nutritive».
Una spinta automazione
Tali sistemi si prestano tutti a una spinta automazione. «Per quanto automatizzare gli interventi irrigui sia abbastanza facile, i sistemi automatici – ha osservato Montesano – non sono tuttavia necessariamente efficienti, ovvero non assicurano che effettivamente l’acqua e i nutrienti vengano somministrati alle piante quando queste ne hanno realmente bisogno. Per molti agricoltori in serra il metodo più semplice e diffuso per controllare l’irrigazione e organizzare la distribuzione della soluzione nutritiva è il ricorso a un timer, che consente di programmare numero e durata degli interventi nell’arco della giornata, svincola l’intervento irriguo dall’intervento dell’operatore, è economico. Ma i timer non tengono conto dei frequenti cambiamenti che si verificano a carico della richiesta di acqua da parte delle piante, in virtù delle fluttuazioni di luce, temperatura e umidità relativa e delle diverse fasi fisiologiche che le piante attraversano nel corso della loro crescita».
Si sta dunque facendo strada il concetto di precision + decision irrigation, cioè la possibilità di disporre di sistemi affidabili, semplici ed economici, di supporto all’operatore nel processo decisionale alla base della gestione irrigua della coltura.
«Già abbinando il timer con la misura del drenato, nel senza suolo a ciclo aperto, si possono raggiungere buoni risultati. Ma le esigenze idriche della pianta possono essere più attentamente monitorate, sia in un sistema a ciclo aperto sia in uno a ciclo chiuso, mediante sistemi di misurazione più precisi. Un possibile approccio, che sta suscitando crescente interesse, è quello di creare reti di sensori, ad esempio quelli di misura dello stato idrico del substrato eventualmente abbinati a sensori per il rilevamento di altri parametri climatici, che acquisiscano in tempo reale e in maniera ripetuta i dati che, trasmessi ad un sistema di elaborazione, portino autonomamente il sistema alla decisione di irrigare. Nella fattispecie, la misura dello stato idrico dei substrati colturali è affidata a tensiometri per la misura del potenziale idrico (la forza con cui l’acqua viene trattenuta) o, sempre più spesso, a sensori di ultima generazione che si basano sulla misura della costante dielettrica del mezzo di coltivazione, fortemente correlata alla sua umidità. L’innovazione di tale approccio è lasciare che sia la pianta a decidere!».
Ideali nelle colture protette
L’utilizzo di tali sistemi di gestione irrigua può risultare estremamente utile in particolar modo nel caso delle colture protette, come ha sottolineato Montesano. «La serra, infatti, si caratterizza, rispetto al pieno campo, per uno specifico microclima interno, i cui parametri fondamentali, la temperatura, la radiazione solare e l’umidità relativa, hanno effetto sulla pratica irrigua. I dati necessari per il processo decisionale dell’agricoltore in serra, che deve stabilire quando e quanto irrigare, devono essere rilevati in situ, su scala aziendale e non comprensoriale come accade nel caso delle colture di pieno campo, spesso servite dai servizi agrometeorologici che coprono aree molto ampie fornendo indicazioni sull’irrigazione: il sistema deve essere quindi autosufficiente».
Con l’utilizzo di tali sensori i vantaggi sono molteplici. «In primo luogo, grazie alle frequenti applicazioni di piccole quantità di acqua, si assecondano le reali necessità delle piante, senza mai esporle a condizioni di stress idrico. Inoltre irrigando con la quantità di acqua di cui le piante hanno effettivamente bisogno, sia l’utilizzo dell’acqua sia le perdite per lisciviazione possono essere ridotte notevolmente: ciò minimizza l’inquinamento e semplifica la gestione delle soluzioni nutritive esauste, molto difficili da riciclare e in qualche modo riutilizzare!».
Gli obiettivi futuri della ricerca, secondo Montesano, devono sicuramente mirare «a rendere sempre più utilizzabili questi sensori a livello aziendale, impiegando tutte le applicazioni disponibili, a definire set-point di irrigazione ottimali per colture in serra in condizioni mediterranee (ad esempio per il pomodoro), a quantificare l’aumento dell’efficienza d’uso di acqua e fertilizzanti. Gli agricoltori non cambiano la tecnica che adottano, a meno che non li si convinca che una nuova tecnica potrà migliorare la produttività delle colture o della serra e quindi la loro redditività».
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