I sistemi per rendere rintracciabili i percorsi fatti dai rifiuti avrebbero dovuto aiutare a scoprire i traffici illeciti che da decenni “sporcano” il Bel Paese e la sua immagine nel mondo. Ma siamo sicuri che dipenda solo dal sistema produttivo? È ormai trascorso quasi mezzo secolo dall’emanazione delle prime norme sulla protezione ambientale, ma è solo da pochi anni che si cerca di ridurre la produzione di rifiuti attraverso il recupero. Il motivo sta nel fatto che per molto, forse troppo, tempo ha prevalso un’impostazione “ideologica” che pretendeva che qualunque sostanza di scarto dovesse automaticamente essere classificata come rifiuto, da smaltire in appositi impianti.
Quest’idea è costata tanto al nostro sistema produttivo, che oltre a perdere competitività – smaltire costa più che riutilizzare – si è rivelata perdente sul piano della credibilità; e poiché nessuno vorrebbe una discarica davanti a casa sua, ha rapidamente saturato tutti gli impianti disponibili. Bisogna poi aggiungere che il contrasto all’illegalità passa attraverso la semplificazione: quando l’ostacolo è troppo arduo da superare, aumenta il numero di coloro che subiscono la tentazione di girarci intorno; non si può dire che le leggi, per il fatto stesso di esistere, giustifichino il ricorso all’illecito, ma una burocrazia oppressiva non aiuta.
Come per altre norme non c’è proporzione fra l’entità della colpa e la pena: l’illecito ambientale è punito senza riguardo alla quantità e al pericolo reale per l’ambiente: ma anche solo la mancata registrazione di un rifiuto produce effetti assai diversi se si tratta di 1 kg o di 1.000 tonnellate. Qui sta un’altra difficoltà, quella di considerare le imprese come se avessero tutte lo stesso livello di organizzazione interna, ma rispetto alla grande azienda con centinaia di dipendenti, per la ditta individuale il più semplice adempimento diventa un problema. Benché in Italia non siano più richieste competenze amministrative a chi decide di aprire un’attività economica – con qualche limitata eccezione – la complicazione che si registra nella vita reale crea gravi difficoltà a chi non ha un’azienda strutturata.
Sistri, la grande illusione
Nel 2010, quando il Ministero dell’ambiente varò, con effetto dall’anno successivo, il Sistema per la tracciabilità dei rifiuti (Sistri), era già evidente la resa dello Stato rispetto all’illecito, per l’assoluta incapacità della pubblica amministrazione di fare adeguati controlli. Chi ha mai visto verifiche sull’effettiva rispondenza della dichiarazione annuale (risalente agli ‘90) ai registri di carico/scarico, oppure fra questi ed i formulari, peraltro più volte rimaneggiati?
Il controllo avrebbe dovuto precedere la verifica sostanziale e invece, assai spesso, è stato fatto solo dopo le verifiche sul posto, quando ormai l’illecito penale – l’inquinamento ambientale – superava di gran lunga negli effetti sanzionatori quello amministrativo. Il Sistri avrebbe dovuto, almeno nelle intenzioni, semplificare i controlli, perché il registro di carico e scarico veniva centralizzato su un portale telematico aperto dal ministero competente e riservato inizialmente ai soli operatori professionali. L’obbligo di installare un sistema di tracciamento sugli autocarri destinati al trasporto di rifiuti, con costi a carico delle imprese, avrebbe dovuto servire a cogliere con le mani nel sacco chi volesse cambiare destinazione: ma chi utilizzerebbe un veicolo tracciato per commettere un reato?
Per quanto la digitalizzazione avesse già iniziato a diffondersi in altri settori dell’amministrazione, i tempi evidentemente non erano maturi per la registrazione on line, senza contare che il sistema non era in grado di rilevare le giacenze a fine anno, indispensabili per la denuncia annuale. Ma prima ancora che fossero aperte le porte anche ai produttori iniziali di rifiuti pericolosi – come olio esausto, filtri e batterie al piombo – il sistema informatico mostrò gravi limiti progettuali. Nonostante il costo dichiarato di diverse centinaia di milioni, che andavano a sommarsi ai contributi versati dagli iscritti, l’infrastruttura informatica si rivelò inadeguata: con appena il 10% degli iscritti collegati, il sistema andava in blocco impedendo loro di rispettare la legge.
Dopo diversi anni di rinvii e indagini giudiziarie il sistema, nato male, fu definitivamente cancellato senza però curarsi troppo di ristorare le imprese attive nel settore dei rifiuti degli investimenti fatti.
Uno dei motivi che hanno portato al definitivo abbandono del Sistri è infatti legato alla pretesa di tracciare – con navigatore satellitare – tutti i veicoli autorizzati al trasporto di rifiuti, come se chi lavora nell’illecito impiegasse mezzi autorizzati e lo facesse alla luce del sole.
Oltre a questo limite – la marchiatura dei delinquenti anche nel Medioevo non sembra abbia dato grandi risultati – il sistema ne aveva altri, a partire dai mezzi che trasportano rifiuti di demolizione, come ben sanno le imprese che fanno movimento terra. Se infatti la “scatola nera” doveva restare sempre accesa e non poteva essere scollegata se non in officine autorizzate – con lunga procedura amministrativa – cosa registrava quando l’autocarro andava in cava, caricava inerti e li portava in cantiere? Poiché tale attività era spesso preponderante rispetto al trasporto delle macerie, per cui il veicolo era stato autorizzato con obbligo di installazione del dispositivo, si creavano continui “falsi allarmi” che rendevano impossibile fare i dovuti controlli.
Le novità del Rentri
L’insuccesso del Sistri era dovuto alla velleità di controllare i veicoli destinati al trasporto dei rifiuti: viene da dire che con il miliardo di euro che sarebbe costato il Sistri si sarebbero potuti pagare mille agenti per 10 anni, con risultati migliori e più duraturi. Il registro telematico non era una cattiva idea, ma avrebbe dovuto servire realmente alle aziende: il timore di limitare l’attività delle società produttrici di programmi per la gestione dei rifiuti aveva spinto verso un “registro” incapace perfino di tirare le somme di carichi e scarichi.
Nonostante qualche reminiscenza del passato, sembra che il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti abbia corretto gli errori più gravi, anche se sarà la prova dei fatti a dire se il nuovo sistema funziona. Il Rentri, sigla che riassume la definizione di Registro elettronico nazionale per la tracciabilità dei rifiuti, è già stato approvato sia dal punto di vista legislativo sia sotto l’aspetto regolamentare, con il decreto ministeriale n. 59 del 3 aprile 2023. Sono tenuti a iscriversi al registro elettronico gli stessi soggetti attualmente obbligati a presentare il modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) e precisamente:
• gli operatori professionali nel campo dei rifiuti, che svolgono operazioni come il trasporto, lo stoccaggio, il trattamento o lo smaltimento dei rifiuti;
• i produttori di rifiuti pericolosi, come risulta dal codice Cer di classificazione dei rifiuti;
• i produttori di rifiuti non pericolosi, quando occupano più di dieci dipendenti.
Il Registro soffre, come già soffriva il Sistri, di una funzionalità ridotta (per non fare concorrenza alle società informatiche), limitandosi alla tenuta del registro di carico/scarico e alla compilazione del formulario; dovrebbe tuttavia essere in grado di produrre un report riepilogativo. L’ultima funzione sarebbe utile per la compilazione del Mud, ma non per la gestione completa dei rifiuti, riservata ai programmi commerciali. Un atteggiamento, quello del ministero, che non si spiega alla luce di quanto già fanno altre amministrazioni pubbliche, dallo Stato alle Regioni, i cui applicativi non sembrano avere avuto gli stessi riguardi nei confronti degli applicativi gestionali commerciali.
Per ora ci basti sapere che il nuovo registro non diventerà obbligatorio prima del prossimo anno: i primi a partire saranno gli operatori professionali, la cui iscrizione è possibile dal 15/12/2024 e fino al 13/02/2025. A seguire i produttori di rifiuti, pericolosi o non pericolosi, che occupano da 11 a 50 dipendenti, che potranno iscriversi a partire dal 15 giugno 2025; infine, gli altri produttori di rifiuti pericolosi, che avranno a disposizione, per l’iscrizione, del periodo fra il 15/12/2025 e il 13/02/2026. In pratica, da metà febbraio 2026 tutti i soggetti obbligati dovranno aderire al Rentri e potranno operare solo attraverso questo canale, sia per la tenuta del registro di carico e scarico, sia per la compilazione del formulario. Per chi smaltisce spesso rifiuti, l’attuale formulario cartaceo da 25 operazioni è piuttosto scomodo perché obbliga a recarsi frequentemente (su appuntamento) alla Camera di Commercio per le vidimazioni che, per quanto gratuite, restano una seccatura. Con il nuovo sistema la vidimazione e la compilazione avvengono in via telematica e, a regime, il formulario cartaceo è destinato a scomparire; la cosiddetta “quarta copia” arriverà con il medesimo canale una volta completato il trasporto. Come si vede, c’è tempo sia per l’iscrizione sia per approfondire le funzionalità del Registro, ma non c’è dubbio per gli operatori professionali, e per coloro che producono rifiuti con continuità sia conveniente l’acquisto di un programma gestionale.
FORMULARI RIFIUTI, ADDIO ALLA CARTA
Il formulario di identificazione dei rifiuti, istituito dall’art. 193, comma 1, del D. Lgs. n. 152/2006, (Testo Unico Ambientale), è il documento di accompagnamento dei rifiuti, per il trasporto dal produttore al trasportatore e, di qui, ai centri di trattamento, recupero o smaltimento. Il formulario è identificato da una numerazione unica su base nazionale, che consente di rintracciare chi lo ha acquistato, in rivendite autorizzate, e deve essere vidimato dalla Camera di Commercio; la bollatura – gratuita – attesta che il formulario è entrato in funzione. La procedura vuole evitare modifiche arbitrarie (per esempio nella destinazione) per coprire la più diffusa frode in materia di rifiuti: trasporto ad una destinazione diversa da quella autorizzata, per non pagare i costi – talvolta elevati – del corretto trattamento o smaltimento.
Con la prossima entrata in vigore del Rentri il formulario come lo conosciamo oggi (un blocco di fogli prenumerati) è destinato a sparire: dal 13 febbraio 2025 la vidimazione dovrà essere fatta per mezzo del sistema Rentri, o di un eventuale programma gestionale ad esso collegato. Gli attuali formulari prenumerati potranno continuare ad essere utilizzati anche dopo tale data, ma sono destinati ad andare in esaurimento, perché dal 13 febbraio 2026 il formulario sarà solo quello emesso dal portale Rentri. Con una sola eccezione: il formulario cartaceo come lo conosciamo oggi potrà essere impiegato anche dopo il 13/02/26, ma solo dai soggetti non obbligati ad iscriversi al Rentri.