La circolazione delle macchine agricole è soggetta alla disciplina stabilita dal vigente codice della strada, entrato pienamente in vigore negli anni 1992-1993, un complesso normativo che, pur avendo ormai più di trent’anni, è ancora lontano dall’essere correttamente capito e applicato. Tutto nasce dalla tendenza umana a semplificare i concetti complessi, che viene utilizzata per scopi esclusivamente personali: la mancata comprensione di un fenomeno viene “risolta” applicando cose che già si sanno, anche se riferite a contesti diversi.
Dobbiamo aggiungere che i soggetti pubblici coinvolti nell’applicazione della legge sono estremamente diversi, con un grado di preparazione professionale non sempre ottimale:
- prefetture, investite di una miriade di compiti, che rende difficile la specializzazione sulle macchine agricole;
- uffici della ex Motorizzazione, specializzati nelle pratiche amministrative, ma con qualche limite sui mezzi meno comuni, come per l’appunto le macchine agricole;
- organi di vigilanza stradale: polizia di Stato, con le sue varie specialità, a partire da quella stradale, la più specializzata; arma dei Carabinieri, un corpo soggetto ad innumerevoli attribuzioni, che rendono impossibile conoscere tutto di tutto; polizia locale, anch’essa investita di svariate competenze che impediscono approfondimenti accurati;
- enti proprietari di strade, come regioni (19) e province (oltre 100), ognuno con i propri regolamenti e relative direttive;
- società di gestione delle strade, costituite da alcune amministrazioni locali (regionali): hanno una preparazione ottima sui trasporti eccezionali, un po’ minore per i mezzi agricoli;
- Anas Spa: società pubblica, di proprietà delle Ferrovie dello Stato, a loro volta sottoposte all’autorità del ministero dell’Economia e delle Finanze, che rilascia le autorizzazioni per veicoli eccezionali sulle strade di competenza; teoricamente dovrebbe essere all’avanguardia ma in pratica soffre degli stessi limiti di altre amministrazioni pubbliche.
Ogni ente è soggetto a proprie disposizioni interne e il relativo personale è costretto a operare in condizioni di carenza di organico, gravato da pesanti responsabilità in caso di errore, poco formato dall’ente da cui dipende e – cosa gravissima – pagato assai di meno che in altri paesi europei. Tali condizioni ci permettono di comprendere, se non di giustificare, la mancanza di adattabilità alle condizioni di lavoro: prima di decidere come applicare una norma, ancorché chiara e comprensibile, il funzionario deve stare ben attento e chiedere l’avallo di un superiore. A queste difficoltà strutturali si somma la scarsa autorità che i dirigenti possono esercitare sui loro sottoposti: tutto è rigidamente codificato dalle complesse regole della burocrazia, al punto che il semplice sollecito di una pratica ferma richiede spesso un atto di coraggio.
A ogni veicolo la sua regola
Ma a complicare la vita, specialmente quando si deve chiedere un’autorizzazione per una macchina agricola eccezionale, è lo stato giuridico dell’ente che, in quanto amministrazione pubblica, si sente in diritto di applicare le norme che crede, anche in contrasto con il dettato del codice della strada. Il principio invocato in queste occasioni è sempre e invariabilmente lo stesso: vogliamo tutelare la sicurezza degli altri utenti della strada.
Una mietitrebbia lavora da 15 a 60 giorni all’anno (600 ore sono un obiettivo difficile da raggiungere), nei quali il tempo di trasferimento su strada non supera in media il 20% di quello complessivo di lavoro: alla velocità media di 20 km/h la percorrenza non supera i 2.000 km. Un autocarro adibito a trasporti eccezionali lavora solo su strada: compiendo ogni anno 200 viaggi da 100 km ciascuno (a carico) totalizza una percorrenza annua 10 volte superiore, solitamente su strade molto frequentate, con partenza e arrivo in aree portuali o industriali.
Il viaggio di una macchina agricola eccezionale si svolge quasi completamente in aree rurali, su strade secondarie e spesso a fondo cieco, caratterizzate dall’assenza di traffico, con un coefficiente di rischio estremamente inferiore. Le stesse considerazioni che fece il legislatore nel lontano 1992, quando fu emanato l’attuale Codice della strada: è per questo che le regole per la circolazione delle macchine agricole eccezionali sono poche e nettamente separate da quelle previste per i trasporti eccezionali. Una separazione che esiste nel Codice ma non nella mente dei funzionari delle amministrazioni coinvolte, che vorrebbero invece applicare le stesse regole – contro la legge – a veicoli diversi, che circolano in situazioni e in condizioni altrettanto diverse.
L’esempio delle scorte
Questi atteggiamenti stanno portando a situazioni assurde, come l’imposizione di una seconda scorta posteriore (condizione non prevista dal Codice, se non per un caso ben diverso) per “favorire l’incrocio con gli altri veicoli” come recita la prescrizione sul permesso. Anche ammesso che fosse giuridicamente possibile (ma non lo è), a cosa servirebbe un veicolo che segue la macchina, quando il pericolo è davanti a essa? Davanti c’è già la scorta tecnica, obbligatoria per tutte le macchine agricole che superano la larghezza di 3,20 m: è questa che deve segnalare l’ingombro e favorire l’incrocio con i veicoli che arrivano in direzione opposta; ma quella posteriore a cosa potrebbe servire?
Al di là della totale mancanza di giustificazioni tecniche (e logiche...), per le macchine agricole eccezionali la scorta è prevista dalla legge, nei soli casi indicati dall’art. 268 del Regolamento di applicazione ed esecuzione del Codice della strada. Solo per i trasporti eccezionali (non agricoli) la scorta è a discrezione dell’ente proprietario della strada, che in relazione alle caratteristiche della stessa può prescriverla o no, indipendentemente dalla larghezza degli autoveicoli e del loro carico: una norma, questa, che il legislatore ha stabilito non debba applicarsi – mai – alle macchine agricole.
Il problema è grave, perché se sul permesso viene scritto, anche se non legittimamente, che ci vuole la scorta anche dietro, gli organi di vigilanza possono contestare il mancato rispetto delle prescrizioni indicate sull’autorizzazione.
Una mancanza che, sul piano sanzionatorio, equivale alla circolazione in assenza di autorizzazione: magari si potrà anche fare ricorso – con esito incerto – ma intanto viene ritirata la patente al conducente e alla macchina la carta di circolazione. A nulla è servito spendere centinaia di euro per un “pezzo di carta” che, di fatto, non vale niente: l’unica soluzione praticabile sarebbe quella di ricorrere al Tar (il tribunale amministrativo regionale) quando viene emesso il permesso di circolazione, avviando un contenzioso costoso e di enormi proporzioni, dato che le macchine coinvolte sono migliaia. Forse potrebbe essere più semplice convincere le amministrazioni che hanno adottato questa linea a ritornare nei binari della legge, ma, come detto, le “cento repubbliche” sono un ostacolo difficile da superare, perché moltiplicano il problema sul territorio.