Novembre non è solo il mese in cui si conclude tradizionalmente l’annata agraria, ma anche il periodo in cui si concludono, o si dovrebbero concludere, i pagamenti delle prestazioni svolte durante l’anno. Una tradizione incompatibile, in verità, con un’agricoltura moderna, gestita fra veri imprenditori: in ogni settore economico le fatture si pagano – o si dovrebbero pagare – entro 30/60 giorni.
Il decreto legislativo 231/2001, di recepimento della normativa comunitaria, lo aveva stabilito chiaramente, anche se fiscalmente le prestazioni di servizi si considerano concluse al momento del pagamento: la data di questo è il termine ultimo concesso per la fatturazione. Il ritardo nei pagamenti, nonostante le leggi, è soggetto a scarsi controlli e gode della benevolenza di un sistema giudiziario lento ed incerto: una situazione che pare fatta apposta per favorire i cattivi pagatori e che spiega perché sono così pochi coloro che decidono di investire in Italia.
In agricoltura, il pagamento delle forniture alla fine dell’annata sembra più forte di qualsiasi riforma e resiste ai cambiamenti solo perché l’agricoltore non si fida delle banche: per non rivolgersi ad esse preferisce i pagamenti dilazionati, di cui però non sa valutare la reale convenienza. In questi rapporti le forniture di mezzi tecnici o il ritiro dei prodotti avvengono con formule spesso oscure, in cui non è possibile distinguere quanto valga la dilazione, il cui il costo non è favorevole all’agricoltore, che a questo punto non può fare nulla. Quando poi questi si rivolge al suo contoterzista di fiducia – un imprenditore e non un distinto signore in doppiopetto – cerca di rifarsi dei torti subiti giocando sui suoi punti deboli: se le rate incalzano è preferibile accontentarsi piuttosto che perdere il cliente.
Ma da un po’ di tempo le cose sono cambiate e non c’è più spazio per questi piccoli ricatti che, uno alla volta, possono mettere in crisi l’impresa e con essa tutto il sistema. In Sud America, qualche decennio fa, la pressione sui prezzi portò alla crisi del contoterzismo e alla scomparsa di numerose imprese: pian piano, tutti gli agricoltori piccoli e grandi furono prima costretti a dotarsi di un proprio parco macchine; poi, non riuscendo a pagare i debiti, furono in gran parte costretti a chiudere. Per risollevare l’agricoltura – una delle prime fonti di gettito fiscale – vari Stati furono costretti a creare uffici appositi per la ricostituzione di nuove imprese agromeccaniche, che nel tempo hanno consentito al settore di tornare competitivo.
Agromeccanici indispensabili
La vicenda ci serve per comprendere che gli agromeccanici sono indispensabili al settore agricolo e che devono mantenersi efficienti e in buona salute: l’agricoltore che mette in crisi il suo fornitore non dimostra né intelligenza né lungimiranza. Di conseguenza, è quanto mai necessario recuperare marginalità, senza tenere conto di eventuali incentivi: essi sono certamente utili, ma non devono essere presi come una “scusante” per non aumentare i prezzi e fare concorrenza sleale sul mercato.
Nella Tabella 1 è possibile vedere come si è evoluta la dinamica dei costi di esercizio delle macchine agricole nell’ultimo anno, a partire dagli aumenti incontrollati delle parti di ricambio, dei componenti e delle stesse macchine agricole. La risalita dell’inflazione, ormai ad un passo dalla doppia cifra (un valore che non si vedeva da 30 anni!), porterà con sé l’incremento dei tassi di interesse e degli oneri finanziari: le banche si sono già mosse e di questo si deve tenere conto nell’adeguamento dei prezzi. Secondo i costruttori gli aumenti dei listini – che si riverberano sui prezzi di vendita – variano dal 10 al 15%, a causa dell’incremento delle quotazioni di materie prime, semilavorati, componenti elettronici, trasporti ed energia, indispensabili per il processo produttivo.
All’interno di questa forbice gli aumenti seguono di pari passo il contenuto tecnologico: per questo motivo, considerando le lavorazioni svolte dagli agromeccanici, nella tabella è stato considerato un incremento medio dei prezzi 2021 – gasolio escluso – del 12,5%.
Gasolio
Sul gasolio, qualcosa è stato fatto da parte del governo Draghi, ma gli utilizzatori hanno comunque subito un fortissimo aggravio di costi: dal prezzo medio 2021, circa 70 centesimi al litro, si è passati fin dall’inizio dell’anno a oltre 1,40 euro al litro. I crediti d’imposta sul gasolio destinato ad attività agricole, inspiegabilmente sospesi proprio in occasione dei lavori primaverili e della raccolta dei cereali vernini, hanno inciso in misura marginale sui costi di esercizio, pur essendosene tenuto conto nella tabella.
Alla fine dei conti, si può considerare un aumento medio dei costi energetici di oltre il 60%, rispetto all’anno passato. Nella tabella 1 si è preferito però indicare gli aumenti in valore assoluto e non l’incremento percentuale rispetto al 2021, perché la dinamica dei costi è indipendente (e deve esserlo!) dal prezzo praticato al cliente: quello che per vari motivi è riuscito a spuntare un prezzo speciale, finirà per pagare solo una piccola quota degli aumenti. La tabella mostra quanto mediamente dovrà aumentare – in euro – il prezzo per unità di lavoro svolto, in relazione al consumo medio per ettaro e ad un prezzo di riferimento, ritenuto “equo” su base nazionale. Chi, per vari motivi legati al mercato, oppure a particolari condizioni di campo, fattura ai propri clienti meno del prezzo di riferimento, dovrà comunque applicare gli aumenti proposti, che corrispondono ai maggiori costi sostenuti; lo stesso vale per prezzi superiori, a parità di consumo unitario, i cui aumenti incideranno per una percentuale minore.