«Oggi come oggi la filiera è l’unica strada in grado di garantire una certa redditività, grazie a un prezzo minimo con il quale sai che riuscirai almeno a coprire i costi. Se, invece, ti affidi solo al mercato e alle quotazioni delle varie Borse Merci, negli anni difficili vai in rosso. E non di poco».
Alberto Ricciotti, contoterzista di Ancona, ha fatto la sua scelta qualche anno fa, quando il commerciante a cui si appoggiava per la consegna dei cereali gli fece questa proposta. «La accettai subito – conferma Ricciotti – perché pensavo che fosse un’ottima opportunità, e il tempo mi sta dando ragione».
La filiera di cui parliamo è quella del grano duro e l’interlocutore è di quelli che non hanno bisogno di presentazione: Barilla. Ricciotti firma contratti triennali, con prezzi minimi garantiti (siamo sui 25-30 euro/q) a fronte della consegna di un prodotto con proteine superiori al 13,5% e peso specifico non inferiore a 79-80 kg/hL. La superficie destinata a questo contratto di filiera oggi è di quasi 200 ettari, sui quali ha una resa media di circa 50 q/ha.
Un prezzo accettabile
«Il prezzo garantito non è di quelli esagerati, ma è accettabile e se non altro ti consente di rientrare nei costi, di non rimetterci. Chiaramente bisogna sempre fare i conti con il clima, ma in termini di proteine sono sempre riuscito a garantire i valori richiesti. Sinceramente mi piacerebbe estendere questo tipo di contratto anche ad altre colture (vedi girasole, sorgo, mais), ma non sono a conoscenza di opportunità in questo senso dalle mie parti».
L’azienda Ricciotti è nata negli anni 70, con il padre di Alberto, Franco Ricciotti, svolgendo fin dall’inizio i lavori tradizionali in agricoltura, prima in piccolo, poi ingrandendosi anno dopo anno grazie anche all’entrata in azienda nel 1987-88 dei figli (Alberto appunto e Carlo Ricciotti), subentrando ad aziende che chiudevano o dismettevano l’attività e acquisendo in particolare i terreni che queste stesse aziende gestivano.
Adesso la Ricciotti continua a lavorare sempre e solo in ambito agricoltura, su Ancona e dintorni (in un raggio di 30 km), dalla preparazione del terreno alla semina, dai trattamenti alla concimazione e alla raccolta, avvalendosi di un parco macchine che conta una quindicina di trattori, attrezzature di tutti i tipi e due mietitrebbie. «Prima ne avevamo anche tre – confida Alberto – ma era diventato difficile gestirle: noi, infatti, preferiamo una conduzione di tipo familiare, nel senso che ci piace stare personalmente sui nostri mezzi, che sono sempre più moderni e competitivi e quindi consentono a me e mio fratello di portare avanti comunque il lavoro».
Come tipologia di lavori la fanno da padrone l’aratura (copre 600 ettari, ad anni alterni, su grano) e la raccolta (900 ettari, su tutte le colture, grano, girasole, orzo, sorgo, favino, ceci ecc.). Per la raccolta le mietitrebbie devono tassativamente avere una caratteristica: essere autolivellanti, perché le colline anconetane vanno da pendenze del 20% fino al 40%, e infatti Ricciotti si avvale di due Laverda autolivellanti.
Il grosso dell’attività oggi viene svolto sui terreni in affitto (600 ettari), perché come tanti altri anche Ricciotti non è più un contoterzista puro. «In generale l’attività conto terzi va avanti perché ci sono i terreni in affitto – conferma Ricciotti – e in un certo senso facciamo più “attività connessa” che contoterzismo puro. D’altronde, se i vecchi proprietari terrieri dieci anni fa arrivavano a guadagnare qualcosa oltre ai contributi Pac, oggi ormai non rimane nemmeno la Pac, perché i costi delle lavorazioni lievitano ogni anno di più, il gasolio aumenta di continuo e anche le macchine comportano investimenti e costi di esercizio sempre più alti».
Minima sì, sodo no
Ricciotti lavora complessivamente circa 950 ettari all’anno, una superficie abbastanza costante negli anni, assieme al fratello e al primogenito Mattia.
Il secondo figlio, Nicolò, oggi diciassettenne, sembra essere interessato anche lui all’attività agromeccanica, quindi la passione per le macchine e la campagna è stata trasmessa e la continuità pare garantita.
Il passaggio finale lo riserviamo a una tecnica dove le Marche hanno fatto da pioniere in Italia in un certo senso, cioè l’agricoltura conservativa, a proposito della quale Ricciotti fa un importante distinguo. «Se parliamo di minima lavorazione, ci credo; se parliamo di sodo, no. L’ho fatto 10-12 anni fa, come grano dopo sorgo-girasole e la stagione andò decisamente male, per cui dopo 5-6 anni decisi di vendere la seminatrice da sodo. La minima lavorazione, invece, secondo me funziona e consente di risparmiare in fitofarmaci (si fa un solo diserbo a marzo sulla coltura, insieme a un fungicida, e nient’altro, perché la pianta nel periodo marzo-aprile rimane sana) e di eliminare gli insetticidi. Se non fosse per il problema delle infestanti, potrei anche passare al biologico su grano. Vedremo, nulla è escluso a priori».