Visitiamo almeno un contoterzista ogni mese, spesso di più. Ma poche volte abbiamo avuto il senso della professione che si evolve e dell’agricoltura che cambia come qui a Carpenedolo (Bs), a casa dei fratelli Nodari. Tre in tutto: Martino – con cui parliamo – Enrico e Stefano Nodari, che sotto l’occhio vigile della mamma Rita, attiva in ufficio, mandano avanti l’attività di famiglia, fondata dal loro bisnonno che, all’epoca, girava per le aziende con la trebbia fissa e il Testacalda.
Definire i settori
Si parlava però di futuro, non di passato. I Nodari sembrano incarnarlo al meglio. Perché applicano sì le più recenti tecnologie, ma quello lo fanno in molti. Loro, però, le vivono e ne traggono tutti i benefici possibili, per loro stessi e per i clienti. E per di più hanno una coscienza ambientale insolitamente sviluppata. Cominciamo però dalle basi: l’attività svolta. Contoterzismo puro, almeno per questa azienda: un’altra, che fa sempre capo alla stessa famiglia, fa invece allevamento di bovini da carne, con 350 ettari di terreni annessi. «L’azienda è stata portata avanti, fino al nuovo millennio, da mio padre e mio zio. Una quindicina di anni fa si divisero: lui tenne l’allevamento di suini, noi i bovini e l’azienda agromeccanica. Fu allora che iniziai a occuparmene a tempo pieno, pur essendovi dentro già da 10 anni. Anche perché mio padre, che purtroppo è scomparso nel luglio scorso, preferiva dedicarsi alla stalla», ci spiega Martino.
Origini a parte, quella dei Nodari è un’azienda abbastanza particolare già nel tipo di attività: segue principalmente biogas e stalle e lo fa con una strategia ben precisa e che ci illustra lo stesso Martino: «Invece di fare un po’ di tutto, abbiamo preferito concentrarci su alcune attività, ben determinate. La prima è la semina: abbiamo cinque seminatrici ad alta produttività, con una capacità compresa tra 30 e 35 ettari al giorno. Ultimo grido in materia di tecnologia, con guida satellitare, raccolta dati e tutto quel che ci può essere in questo ambito. Poi c’è la raccolta, che principalmente, per noi, significa trinciatura. Abbiamo infatti tre mietitrebbie e cinque trince, tutte Jaguar». Tutte, tra l’altro, assai recenti: l’ultima arrivata è una 990 che non ha ancora compiuto due anni, pur avendo già quasi mille ore di lavoro all’attivo. Poi ci sono i trattori: oltre una trentina, a contarli tutti. «Quanti siano di preciso non lo so: posso dirvi però che abbiamo 90 mezzi con polizza per la circolazione su strada».
Nonostante questo numero, che ben si abbina a quello dei dipendenti – una ventina, oltre ai titolari – Nodari non si definisce un grosso contoterzista. «Ci sono colleghi più grandi, qui nel Bresciano. Diciamo che noi ci siamo piazzati bene, soprattutto nell’organizzazione del lavoro e nella strategia aziendale. Abbiamo scelto due settori: le vacche e il biogas e da lì siamo partiti. Abbiamo così le seminatrici, le trinciacaricatrici con raccolta shredlage o taglio corto da biogas, con insilaggio tradizionale o alternativo. Poi c’è il servizio liquami, che facciamo con un Vervaet, quattro carri-botte e tre spandiletame, oltre a un camion per gli spurghi di industrie e impianti di biogas. Inoltre, abbiamo la gestione di due impianti chiavi in mano, nel senso che abbiamo anche nostro personale all’interno delle strutture».
Sacconi e ballette
La specializzazione nella zootecnia si vede soprattutto dalla cura con cui i Nodari seguono il settore della trinciatura. Lavorano infatti per il classico insilaggio in trincea, ma accanto a esso offrono servizi alternativi agli allevatori. «Per esempio i silobag. Negli ultimi anni siamo arrivati a 6 km di sacconi; una soluzione molto gradita da alcuni allevatori». C’è poi un’alternativa, poco nota ma assai interessante: la pressatura ad altissima densità. «Tramite una speciale macchina pressiamo il prodotto a un punto tale da impedire qualsiasi fermentazione. Produciamo così delle balle cilindriche da un metro di diametro per uno di altezza, talmente dense da pesare oltre una tonnellata. È un sistema che piace molto, perché preserva integralmente la qualità del foraggio. Abbiamo due presse di questo tipo e nella passata stagione ne abbiamo dovuta prenderne una a noleggio per soddisfare tutta la domanda. Siamo arrivati a cinquantamila balle, una più una meno». Molto ampio anche il ventaglio di prodotti trattati: «In primo luogo il mais, in varie forme: integrale, per pastone, per stalla o biogas. Poi frumenti, loietti, foraggi pre-appassiti e altro».
A dimostrare l’attenzione per l’ambiente sono invece i cingoli presenti sotto due delle trinciacaricatrici. Una scelta certamente meno comune della cingolatura sulle mietitrebbie. «È vero, ma noi operiamo in zona di colline moreniche, dove le risorgive sono frequenti e inaspettate. Può succedere di lavorare su terreno del tutto asciutto e 50 metri dopo affondare nel fango. Per questo la cingolatura è indispensabile, su alcuni terreni. Poi c’è la questione agronomica: con una macchina da 190 quintali più barra da 12 file si lasciano tracce nel terreno che non si tolgono di certo con la minima lavorazione. Con i cingoli, al contrario, non si vede quasi dov’è passata la macchina: lasciano più segni i carri, al limite».
Attrezzare una trincia con i cingoli costa parecchie migliaia di euro. Quindi i Nodari devono sopportare un investimento superiore a quello di molti colleghi. D’altra parte, ne ottengono anche vantaggi concreti: «Abbiamo preso le macchine cingolate per servire determinati clienti che fanno minima lavorazione o sodo e che non avrebbero accettato una trincia tradizionale. Inoltre, grazie a esse abbiamo acquisito nuovi clienti nelle zone più difficili, agricoltori venuti da noi espressamente per le Claas cingolate».
Scommessa sulla tecnologia
Il gruppo Nodari è oggi uno dei più avanzati in materia di digitalizzazione e agricoltura di precisione, pur avendo intrapreso questa strada da poco tempo. «Iniziammo tre anni fa, comprando le guide satellitari e le macchine predisposte per la telemetria. C’è voluto parecchio tempo per formare il personale, ma oggi siamo pienamente operativi. Facciamo concimazione a dosaggio variabile su grano e altre colture, un servizio molto richiesto. E poi anche semina e recupero dati di raccolta, naturalmente. Stiamo proponendo questi servizi ai nostri clienti e, superata la freddezza iniziale, anch’essi ne capiscono l’importanza».
Al di là dell’aspetto commerciale, precisa però Martino Nodari, le tecnologie digitali sono per prima cosa utili al contoterzista. «La gestione informatizzata cambia completamente il nostro lavoro. Non voglio nemmeno pensare ai tempi in cui, alla sera, arrivavano 30 operatori carichi di foglietti con i lavori della giornata, tutti da inserire per le fatture. Oggi, alla fine del campo chi sta sul trattore o sulla trincia pigia un tasto, trasmette i dati direttamente al computer dell’amministrazione e il giorno dopo parte la mail con la fattura in allegato. È un altro mondo, vorrei soltanto che l’avessimo potuto fare dieci anni prima».
Quanto i Nodari credano in queste nuove tecnologie è dimostrato, oltre che dai cospicui investimenti effettuati, dalla scelta di dedicare una sezione dell’ufficio proprio alla telemetria. «Abbiamo un impiegato che da mattina a sera fa soltanto controllo delle macchine, inserimento dei dati e produzione di mappe. Ogni giorno. Estrae dati, calcola le rese da comunicare ai clienti, prepara le chiavette per gli operatori. È un posto di lavoro che si ripaga con il tempo che fa risparmiare a tutta la squadra».
Uno sguardo al futuro
L’agricoltura cambia e lo fa anche il lavoro di agromeccanico, sostiene Nodari. «Tutto si sta modificando in modo rapido. Anni fa un agricoltore ti raccomandava soltanto di andare piano, di fare attenzione. Oggi quando ti chiamano ti dicono subito che per sera il lavoro dev’essere finito, perché il giorno successivo avranno qualcos’altro da fare. Sono sempre più imprenditori e sempre meno agricoltori; meno vanno in campo e più sono contenti».
In futuro, continua Martino, questa tendenza diventerà ancora più radicale. «Non so se noi agromeccanici avremo più o meno lavoro. Ci sono aziende che fanno quasi tutto da sole, altre che delegano tutto a noi. Non esiste una tipologia migliore dell’altra, esistono aziende che lavorano bene e altre no: ci può essere un’azienda agricola da 100 ettari che fa reddito e una da 300 che è in perdita. Ogni imprenditore deve capire dove sono i punti critici della propria realtà. Nelle macchine? Nella stalla? Nella manodopera? In base a quello, si programmano gli investimenti. Ha senso spendere 100mila euro per un trattore quando hai la stalla che cade a pezzi o la seminatrice che non funziona quasi più?».
In ambito agricolo Nodari prevede un’ulteriore accelerazione del progresso tecnologico, legato soprattutto alla sostenibilità. «L’agricoltura è un settore che ha sempre investito poco in ricerca, per cui ha grandi margini di miglioramento in molti campi: nutrizione animale, fertilizzazione, gestione del terreno. A fare la differenza saranno le politiche ambientali: dovremo produrre con meno mezzi tecnici. E se non saremo in grado, pagheremo di più. Io credo che si dovrebbero remunerare i prodotti agricoli in base alla loro impronta di carbonio. Quanto fertilizzante, quant’acqua e quanto gasolio hai usato per produrre questo mais? Se ne hai usati pochi, te lo pago di più. Trovo giusto che chi inquina di più sia in qualche modo penalizzato, perché la collettività dovrà spendere soldi per riparare i danni creati dal suo modo di produrre. Abbiamo un solo pianeta, dobbiamo viverci noi e lasciare una buona eredità a chi verrà dopo; cerchiamo di farlo».
L’ultima domanda non può che essere per il futuro del contoterzismo. «Noi agromeccanici siamo sempre meno e le cose si complicano sempre più. Occorre estrema attenzione negli investimenti, perché se ne sbagli uno, si rischia di finire gambe all’aria. Un contoterzista oggi deve essere super-concentrato e focalizzato sul suo obiettivo. Non importa se è la semina, lo spandimento liquami o la raccolta: con i costi che abbiamo, non possiamo permetterci errori».