Il registro di carico e scarico dei cereali e loro sfarinati è una realtà, per effetto della firma del decreto di attuazione da parte del ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, apposta il 29 marzo, con un mese di anticipo rispetto alla scadenza fissata dalla legge.
Ma come si è sviluppata questa iniziativa, che ha suscitato opposti sentimenti fra gli stessi soggetti coinvolti dal provvedimento?
Tutto ha inizio dalla constatazione dell’adozione di politiche comunitarie totalmente sbagliate: con la guerra alle eccedenze iniziata alla fine del secolo scorso da parte della Comunità Europea, i cereali sono finiti nel mirino, senza distinzioni fra i diversi prodotti e la loro destinazione.
Il grano duro, che sta alla base della filiera della pasta, uno dei simboli del “made in Italy” è entrato nella lista dei “cattivi” insieme ai cereali (grano e mais) che i paesi europei producevano in eccesso rispetto al fabbisogno e ha progressivamente perduto tutti gli incentivi. Se già allora il grano duro era leggermente insufficiente, con l’eliminazione dell’aiuto supplementare abbiamo perso mezzo milione di ettari, con rese unitarie molto basse ma con una qualità eccellente, obbligando l’industria di trasformazione a rivolgersi all’estero.
In questa fase si sono creati i canali per l’importazione del grano duro e le complesse relazioni, non solo commerciali, necessarie per consentire l’approvvigionamento sui mercati internazionali. Una volta aperta questa strada, l’importazione di grano duro (a basso prezzo) ha finito per deprimere le quotazioni del prodotto nazionale, con un doppio danno per i nostri agricoltori, con episodi che hanno fortemente inciso sui prezzi e che hanno dominato le cronache. In una certa area geografica, dove il prezzo medio era – poniamo – di 300 €/t, l’arrivo di una nave da 50.000 tonnellate di grano duro (corrispondenti ad un’estensione di 20.000 ettari) a 200 €/t al molo, provocava l’immediato crollo delle quotazioni e una perdita secca e inaspettata.
Inutile parlare, in questi casi, di “pasta italiana”, al punto che si arrivati all’obbligo di etichettare come tale solo la pasta prodotta con grano duro nazionale; un obbligo che in realtà era già implicito nelle norme sul commercio, perché non si può vendere un prodotto diverso da quanto promesso. Dai vari movimenti di protesta contro queste turbative di mercato – il grano estero non può essere spacciato per italiano – è scaturita l’iniziativa “Granaio Italia”, volta a tutelare il prodotto nazionale attraverso un capillare sistema di tracciamento, dal campo alla tavola. É interessante premettere che chi aveva sollevato il problema – gli agricoltori – abbia poi fatto di tutto per evitare ogni obbligo, secondo il ben noto principio che le colpe sono sempre “degli altri”.
La prima versione
Il disegno di legge su “Granaio Italia” è partito con l’introduzione nella legge di bilancio per l’anno 2021 (178/2020) di quattro commi che hanno istituito il registro di carico e scarico per i cereali e per i prodotti di prima trasformazione (farina e semola). Nella sua prima versione erano presenti alcuni termini che hanno suscitato più di una perplessità, a partire dalle quantità minime, che erano di sole 5 t, un valore che includeva aziende minuscole: per il mais basterebbe meno di mezzo ettaro.
Altra sorpresa è stata la constatazione che nel “granaio” rientrassero cereali che non hanno alcuna attinenza con la filiera grano-pasta, quella da cui erano scaturite le proteste sulle importazioni e sulle loro conseguenze sui prezzi. La portata assai generica della norma aveva suscitato legittime apprensioni anche da parte di imprese che non si erano mai sentite veramente coinvolte (se non in negativo) dai fatti di cronaca che avevano portato all’emanazione della legge.
Vero è che il “registro” è costituito da un portale telematico attivato dal Sian, l’archivio nazionale a cui sono iscritte tutte le imprese che a qualche titolo operano nel settore dell’agricoltura. Tale previsione aveva suscitato non poche perplessità, perché la prospettiva di decine di migliaia di collegamenti al giorno, magari concentrati nel normale orario d’ufficio, apriva la porta a scenari simili a quelli già visti con il portale sulla tracciabilità dei rifiuti, rivelatosi un fallimento.
Il Ministero delle Politiche agricole aveva consultato le categorie interessate nel giugno dell’anno scorso, in una riunione-fiume nel corso della quale ciascuna aveva presentato le sue osservazioni. Per quanto riguarda le imprese agromeccaniche, non svolgono né attività di trasformazione del cereale, né detengono il prodotto in quanto non ne hanno la disponibilità economica, ossia non lo possono immettere sul mercato, essendo il cereale di proprietà dell’agricoltore. Tutto questo era stato fatto presente da Cai nella riunione con il competente ministero, che aveva promesso di tenere conto delle osservazioni presentate in sede di redazione del decreto attuativo.
La seconda versione della norma
Con la legge 25 febbraio 2022 n. 15, di conversione del d.l. n. 228/2021, al termine di un lungo dibattito che aveva interessato svariate decine di emendamenti, la norma originaria è stata modificata tenendo conto delle innumerevoli eccezioni presentate dalle varie categorie. Fra le novità introdotte, la principale riguarda la quantità minima trattata nell’anno, che passa da 5 a 30 tonnellate, un valore più elevato ma in contrasto con la nozione di “piccolo produttore” a suo tempo data dalla normativa comunitaria, che era di 92 t. Un valore ancora insufficiente, che avrebbe comunque obbligato al nuovo adempimento un numero eccessivo di soggetti, rendendo di fatto difficile, se non impossibile, controllare i grandi quantitativi che possono realmente influire sul mercato.
Nell’ingegneria idraulica, che sta alla base della sicurezza del territorio, assume grande importanza il tempo con cui le piene arrivano nel fiume: più l’afflusso è distribuito nel tempo, minore sarà il pericolo di esondazione. Lo stesso avviene con le immissioni di prodotto sul mercato: le piccole partite anche se in gran numero, hanno un tempo di arrivo differenziato che non influenza le quotazioni, a differenza del carico di una nave che immette di colpo un quantitativo ingente, capace di fare crollare il prezzo. Se l’obiettivo era questo, l’obbligo di registrazione per le piccole quantità di prodotto può avere un valore statistico, ma non consente di raggiungere gli scopi prefissati.
Secondo la nuova stesura, il Ministero delle Politiche agricole avrebbe dovuto dettare le disposizioni applicative entro la fine del mese.
Decreto tempestivo
Superando le previsioni legislative, con oltre un mese di anticipo (29 marzo) il ministro Stefano Patuanelli ha sottoscritto il decreto attuativo con largo anticipo rispetto alla scadenza originaria. Integrando, e in qualche caso superando, le disposizioni di legge, il decreto ministeriale rende giustizia alle osservazioni presentate da Cai riguardo alle imprese agromeccaniche impegnate nella raccolta e nelle operazioni di messa in sicurezza dei cereali, in primo luogo con l’essiccazione.
Come detto, chi non ha la disponibilità economica dei cereali, intesa come possibilità di immetterli sul mercato, e chi non fa operazioni di trasformazione (il cereale essiccato non muta la sua natura), non rientra fra gli operatori tenuti al registro. Sono quindi definiti come “operatori” solo le “aziende agricole, le cooperative, i consorzi, le imprese commerciali, le imprese di importazione e le imprese di prima trasformazione” della filiera cerealicola, ma non gli agromeccanici. Questo è spiegato dall’attività svolta: sono soggetti solo coloro che “producono, detengono, acquistano, vendono, cedono o destinano a prima trasformazione” uno o più prodotti, che il decreto si è finalmente premurato di precisare nel dettaglio.
La registrazione riguarda infatti solo i seguenti cereali in granella:
• grano tenero, grano duro e frumento segalato;
• granoturco (mais), sorgo, miglio e scagliola;
• orzo, farro, segala e avena.
Le definizioni adottate non sembrano corrispondere alle finalità dell’iniziativa legislativa d’origine, volta a tutelare la pasta italiana, in quanto comprende oltre ai cereali impiegati per l’alimentazione umana, anche quelli utilizzati per mangimi o per impieghi industriali, dall’amido alla birra. Che c’entrano infatti con la pasta prodotti come mais, orzo, sorgo, miglio e scagliola, o cereali a destinazione plurima, come segala e avena? Un dubbio che riguarda di conseguenza i prodotti di prima trasformazione (farine e semole) che, oltre al grano tenero e duro, comprendono gli sfarinati di mais e orzo, in genere destinati all’alimentazione animale.
Il registro telematico
Il registro deve essere tenuto esclusivamente in forma telematica, previa iscrizione sul portale del Sian; le quantità di prodotti devono essere distinte per provenienza ed essere registrate entro il giorno 20 del terzo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione. È inoltre ammessa la registrazione cumulativa, a condizione che i dati riguardino non più di un mese solare; per la gestione e l’aggiornamento del registro gli operatori possono avvalersi dei Centri autorizzati di assistenza agricola (Caa).
Il decreto ministeriale prevede varie deroghe per i casi in cui i cereali vengono sì conservati in azienda, ma non per essere immessi sul mercato ai fini della successiva trasformazione. Una prima esenzione riguarda coloro che detengono i cereali sopra indicati per l’alimentazione del bestiame in allevamento; non devono inoltre essere registrati i cereali conferiti all’ammasso subito dopo la trebbiatura, come avviene per la maggior parte delle aziende agricole. In tal caso sarà poi la società che li riceve (o la cooperativa) a registrarli in carico a proprio nome, comportandosi in tal modo come una sorta di produttore collettivo.
L’esonero dalla compilazione del registro telematico vale inoltre per i cereali da seme che, non essendo destinati alla molitura, non entrano nel circuito alimentare o mangimistico che la norma vuole tutelare. In proposito è interessante notare che il ministero riconosca implicitamente che la destinazione di una parte della produzione al reimpiego come seme (nella stessa azienda) è legittima e non configura quindi alcun illecito.
Compilazione del registro
Esaminando le istruzioni di compilazione allegate al decreto, si può trovare un riferimento alle operazioni effettuate per conto terzi, che richiede qualche precisazione: non si tratta di attività agromeccaniche ma di lavorazioni che talvolta vengono eseguite nell’ambito di un processo di trasformazione industriale Le premesse che avevano portato alla costituzione del registro dei cereali sembrano passate un po’ in secondo piano, non solo in relazione ai nuovi bisogni di autosufficienza alimentare, ma per aprire nuove opportunità per la tracciabilità dei prodotti.
L’indicazione sul registro virtuale deve avvenire secondo una precisa codifica, oltre che del luogo di coltivazione del cereale e della sua eventuale molitura, anche della qualificazione del prodotto (Dop o Igp) e di come il cereale è stato coltivato. Questo riguarda la gestione non solo della coltura, ma dell’intera azienda agricola: deve essere distinto il cereale derivante da agricoltura biologica o da un’azienda in fase di conversione dal regime convenzionale a biologico, oppure derivante da produzione integrata.
Il registro, già operativo dalla data di pubblicazione del decreto ministeriale, fino al 31 dicembre 2023 avrà un carattere sperimentale, senza applicazione di sanzioni per chi non avesse istituito il registro o lo avesse tenuto irregolarmente. Solo a partire dal 1° gennaio 2024 potranno essere accertate e comminate le sanzioni, la cui entità è stata modificata con l’ultimo intervento legislativo:
1. per la mancata istituzione del registro, da parte degli operatori che vi sono obbligati, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 4.000 euro;
2. per le violazioni relative alle modalità di tenuta telematica del registro, come ad esempio il mancato rispetto dei termini temporali, la sanzione è inferiore, con un minimo di 500 euro e un massimo di 2.000 euro.
L’autorità competente ad irrogare le sanzioni è l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf), dipendente dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali. Nel caso, sempre possibile, di difficoltà informatiche che impediscano la regolare tenuta del registro di carico e scarico dei cereali, conseguenti al malfunzionamento del sistema telematico, non sono punibile se il “fuori linea” è stato riconosciuto e attestato dal Sian.