Prezzi in calo, rese produttive in aumento, sanità della granella soddisfacente. Queste le prime indicazioni che emergono all’inizio della campagna di raccolta del mais nazionale, coltura che anche nel 2016 ha visto un’ulteriore riduzione dell’ettarato, nell’ordine del 4%, confermando lo stato di cronica difficoltà del comparto, ben lontano dai fasti deli anni ottanta-novanta.
Sul piano dei prezzi, dal confronto delle prime quotazioni rilevate sulle principali piazze italiane rispetto a un anno fa, i listini calano dal 2 al 5%, con la perdita minore per le borse merci di Bologna e Mantova e quella maggiore per Milano. Certo, non sono i cali registrati un anno fa, quando a inizio campagna il mais perdeva anche il 20% in confronto all’anno prima, ma si tratta sempre di un segno meno. Ma ciò che sorprende sempre più è il comportamento sulle stesse piazze del mais di provenienza extra Ue che, di contro, guadagna fino al 4% in un anno, aumentando la forbice esistente fra il prodotto nazionale e quello non europeo, spesso costituito da mais ogm. Mistero da spiegare perché in Italia il prezzo del mais nazionale, anche il migliore in termini sanitari, da anni diminuisce, mentre quello di origine comunitaria e, ancora meglio, quello di provenienza extra Ue valga molto di più. Anche 35 euro in più per tonnellata. E questo, alla faccia del made in Italy e del no all’ogm.
Buone le notizie invece per quanto riguarda le rese. Anche se la fase di raccolta non è ancora al culmine, i primi risultati produttivi mostrano incrementi dell’8-10% rispetto all’anno scorso. Non sono infrequenti, infatti, rese di 12-13 tonnellate per ettaro di granella.
Il motivo? Sicuramente il buon andamento stagionale, contrassegnato da una relativa piovosità anche nel periodo estivo, che ha determinato incrementi di resa e al contempo un calo dei costi produttivi per un minor utilizzo degli interventi irrigui di soccorso.
Negli areali della Pianura padana, infatti, rispetto alle 4-5 irrigazioni dello scorso anno, per la campagna che sta per terminare sono bastati 2-3 interventi di soccorso.
Per coprire i costi servono 13 t/ha
Da una prima analisi, quindi, si può stimare che il costo di produzione del mais possa essere diminuito di circa un 5%, attestandosi sui 2.200 euro per ettaro.
Per quanto riguarda il livello sanitario, le indicazioni parlano di un prodotto che generalmente presenta livelli di contaminazione al di sotto dei limiti di legge per le micotossine. Anche in questo caso, il favorevole andamento meteorologico dell’annata ha influito positivamente, diminuendo i fattori di stress per la coltura, soprattutto laddove i produttori hanno comunque seguito con opportune irrigazioni la coltura. Fanno eccezione, ovviamente, gli appezzamenti poco o male irrigati e per i quali si è preferito attendere l’essiccazione della granella in campo.
A questo punto non ci resta che vedere se, con questi prezzi, quest’anno il mais ripaga i produttori agricoli degli sforzi e degli investimenti sostenuti. Considerando un costo di produzione di 2.200 euro per ettaro e un prezzo medio di 168 euro per tonnellata – piazza di Bologna – sono necessarie non meno di 13 tonnellate di granella per ettaro di produzione. Ciò significa che solo nelle migliori situazioni produttive i maiscoltori potranno sperare di pareggiare i costi. E per guadagnare? Bisognerebbe che l’industria mangimistica e i commercianti pagassero il prodotto nazionale come quello estero. Tutto qui.
Visualizza Tab. 1 - Prezzi mais a confronto (settembre, €/t)
Visualizza Tab. 2 - Mais: costo di produzione in pianura irrigua