La storia del contoterzismo si identifica o quasi con quella della meccanizzazione agricola, in una società ancora prevalentemente fondata sull’agricoltura. Non è casuale che le conoscenze e le competenze acquisite dalla Rivoluzione industriale, e in particolare la tecnologia metallurgica e metalmeccanica, trovassero le prime applicazioni nella attività più importanti, dagli armamenti ai trasporti, dalle miniere all’agricoltura, prima ancora nella nascente industria manifatturiera.
Parallelamente all’importazione, da parte di qualche latifondista illuminato, delle prime macchine agricole, iniziarono a svilupparsi alcune società di contoterzismo attivo, nate da una matrice industriale, nell’ultimo quarto dell’Ottocento. Il fenomeno si è sviluppato, quasi di pari passo, nel vecchio e nel nuovo mondo: quanto all’Italia, si hanno notizie di prime “società di trebbiatura” per conto terzi già nei primi anni del Regno d’Italia. Le lavorazioni del tempo – trebbiatura dei cereali e stigliatura della canapa – si eseguivano a punto fisso, nella corte, cascina o masseria, in un contesto assai più simile a quello di un opificio industriale che agli spazi aperti delle campagne. Inoltre, l’unico tipo di motore conosciuto e impiegabile era quello a vapore, con motrice alternativa del tutto simile, tranne che nelle dimensioni, a quelle impiegate nella trazione ferroviaria e navale. Questo comportava, già allora, una formazione specifica del personale addetto, che era la medesima richiesta per la conduzione di motrici a vapore di impiego industriale, per l’azionamento di mulini, magli e macchine utensili.
Molti di quei pionieri gestivano già, per gran parte dell’anno, attività di questo genere: fabbri, mugnai, officine meccaniche, in cui l’energia era fornita dalla macchina a vapore, sovente la stessa impiegata nelle lavorazioni agricole. L’evento principale, che segnò un primo distacco fra la matrice industriale da cui avevano tratto origine i primi contoterzisti, fu la Grande Guerra; una guerra in cui la chiamata generale alle armi portò al Regio Esercito borghesi, operai e soprattutto contadini, che rappresentavano la principale forza lavoro di quegli anni. Fu anche il primo conflitto in cui si iniziò a sostituire, per il traino delle artiglierie (che per la prima volta videro entrare in campo i grossi calibri) la tradizionale trazione animale con quella meccanica, grazie a trattori militari azionati da motori a combustione interna. Nel frattempo, la chiamata alle armi di uomini e animali, che pure mantenevano un ruolo fondamentale per la logistica di guerra, provocò una drammatica carenza di mezzi di trazione e di conduttori nelle campagne, dove l’aratura veniva tradizionalmente eseguita con buoi e cavalli.
Motoaratura di Stato
Per superare l’impasse, che determinò ritardi nelle lavorazioni e rischiò di compromettere seriamente i raccolti, anche nelle aree del Regno non direttamente interessate dalle operazioni belliche, fu istituito un servizio di motoaratura di Stato. Questo avvenne attraverso la massiccia importazione di trattori, principalmente dagli Stati Uniti, che fino al 1917 non erano stati impegnati nel conflitto ed erano già in possesso delle necessarie tecnologie costruttive, con la creazione di grandi marchi alcuni dei quali sopravvivono ancor oggi. Alla fine del conflitto poi, gran parte dell’industria pesante nazionale dovette riconvertirsi verso la produzione di macchine, sfruttando progetti e tecnologie già sperimentate sui mezzi militari.
La combinazione dei tre fattori – personale addestrato, trattori di produzione nazionale e macchine d’importazione – determinò negli anni Venti una maggiore disponibilità di uomini e mezzi, da cui sorse una categoria di imprenditori capaci di utilizzare le nuove tecnologie a costi compatibili con il valore della produzione agricola.
Non dobbiamo inoltre dimenticare un quarto fattore, di grande importanza economica e sociale: gran parte della maglia poderale era condotta a mezzadria, una forma contrattuale che lasciava al mezzadro non solo l’onere di fornire il capitale agrario, ma anche la facoltà di scegliere e acquistare i mezzi di produzione più efficienti.
È a questo punto della nostra storia che nasce il contoterzismo di matrice agricola: uomini che avevano acquisito le capacità tecniche per passare dal bue al trattore e che, al prezzo di grandi sacrifici, riuscirono ad acquistare trattori e proseguire, in forma imprenditoriale, il lavoro avviato con la motoaratura di Stato. Proprio nel periodo fra le due guerre, si delineò una netta separazione di ruoli fra i trebbiatori, ancora legati in gran parte alle macchine a vapore e dotati di un grande numero di operai (da 10 a 30 per ogni cantiere di lavoro), e gli aratori, imprese più piccole sul piano numerico ma più facilmente predisposte all’innovazione. Una divisione sopravvissuta alla seconda guerra mondiale, e al dopoguerra, che ha lasciato traccia nelle stesse denominazioni delle strutture che andarono a costituire le attuali forme associative del contoterzismo italiano.
Le prime organizzazioni (1936-38)
Già in epoca fascista, il regime corporativo permise la costituzione di qualche forma di associazionismo, attraverso le federazioni che raccoglievano i principali soggetti impegnati nella produzione agroalimentare (mugnai, pastai, risieri e trebbiatori), che arrivano a creare la FedeMuPaRiTre, responsabile della filiera del grano. Non dobbiamo dimenticare che in quegli anni le sanzioni imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni, per il tardivo affacciarsi del fascismo sulla scena coloniale (di cui erano peraltro responsabili anche le grandi potenze mondiali), determinarono uno stretto controllo statale sugli approvvigionamenti, poi sfociato nel razionamento dei generi alimentari all’alba del nuovo conflitto.
Da queste prime aggregazioni, ancora sotto il rigido controllo statale, nacquero le prime organizzazioni del contoterzismo in molti capoluoghi di provincia: Associazioni come quelle di Firenze, Mantova, Parma, Pisa, Reggio Emilia, Piacenza e altre nascono negli anni dal 1936 al 1938. La categoria, già allora pienamente identificabile, aveva un peso economico e sociale di tutto rispetto: a titolo di esempio, nella provincia di Mantova operavano ben 413 cantieri completi (trattore o locomobile, trebbiatrice e pressa) che occupavano oltre 8.000 operai, per un totale di mezzo milione di giornate di lavoro per la so- la trebbiatura. Ma è con la fine della guerra, che il contoterzismo trova, insieme alla pace e al ripristino della democrazia, anche la piena libertà di associazione: a Bologna, proprio il giorno della liberazione, i tre rappresentanti dei vincitori – già rigidamente distinti per fede politica – si impadronirono della federazione fascista, il 21 aprile 1945. Nei mesi e negli anni successivi si delineò appieno il nuovo panorama sindacale e di rappresentanza del contoterzismo: trebbiatori e motoaratori costituirono cooperative, consorzi e libere associazioni, strettamente legate agli ambienti industriali.
21 gennaio 1947: la fondazione
La fondazione dell’Unione avvenne sotto la denominazione di Unione Nazionale Trebbiatori e Motoaratori, a rogito del notaio Carlo Maggiore, il 21 gennaio 1947; lo Statuto prevedeva espressamente la totale indipendenza amministrativa fra l’Unione e le compagini territoriali aderenti, nello spirito di libertà e democrazia che ne ha sempre contraddistinto la storia, passata e recente. Il primo Presidente fu Italo Anelli di Piacenza e la prima Giunta Esecutiva era composta da Guido Baccaglini (Pd), Benero Bartocci (Pg), Lodovico Cardini (Si), Mario De Santis (Ch), Antonio Franceschetti (Bs), Carlo Fratta (Pr), Guido Pollastrelli (An).
Nello stesso anno, fedele alla propria vocazione industriale, l’Unione fu tra i soci fondatori della Confederazione Nazionale dell’Industria Italiana, costituendo un rapporto associativo che dura ancor oggi.
Erano però anni difficili: le trattrici e le locomobili sopravvissute agli eventi bellici – più d’una fu seppellita per sottrarla a bombardamenti e razzie – furono rimesse in marcia, in un Paese privo di mezzi e di risorse, in cui mancava praticamente tutto, dai pezzi di ricambio al petrolio per alimentare i motori.
Fra le prime attività gestite dalle Associazioni, preesistenti o di nuova fondazione, ci fu proprio quella di garantire l’approvvigionamento dei pezzi di ricambio: cinghie di gomma per le trebbie, tappeti per le mietilegatrici, pneumatici e camere d’aria, magneti e olio per i motori, filo di ferro per le presse.
Accanto a quest’azione di collegamento e coordinamento, si sviluppò quella di sindacato d’impresa con la fissazione di tariffari che, oltre alla trebbiatura – già regolamentata nel periodo prebellico – comprendevano anche l’aratura e le altre lavorazioni agricole. In un’epoca di profondi contrasti politici e sindacali, il confronto con le maestranze raggiunse i livelli estremi, sia per la definizione dei salari, sia per la grave situazione occupazionale, che in alcune province del nord culminò con il cosiddetto “imponibile di manodopera”: ogni trebbia, in relazione alla larghezza del battitore, doveva occupare una squadra d’aia di una certa consistenza numerica minima, che il trebbiatore doveva rispettare rigidamente. In questo quadro le trattative con i sindacati dei lavoratori portarono alla stipula dei primi contratti collettivi di lavoro su base provinciale, con una definizione di compiti, ruoli e livelli retributivi poi ripresi, molti anni dopo, dalla contrattazione nazionale.
Mietitrebbie semoventi e carburante agevolato
La questione dell’imponibile di manodopera fu, in un certo senso, un formidabile incentivo allo sviluppo di nuove tecnologie, in quanto spinse i primi pionieri all’adozione delle mietitrebbiatrici semoventi, ancor oggi considerate la bandiera del contoterzismo. Erano macchine strutturalmente diverse da quelle attuali e in larga parte derivate dai modelli trainati apparsi negli anni Trenta nell’Europa centrale: larghezza di lavoro limitata a 2-3 metri, privi di serbatoio per la granella e dotati di motori a scoppio di derivazione automobilistica per contenere peso e vibrazioni.
Elemento distintivo per tutte le macchine, tuttavia, a dispetto della scarsa affidabilità dei propulsori, era la possibilità di ritardare la raccolta fino alla completa essiccazione in campo, evitando il doppio passaggio della mietitura e della trebbiatura. Ma il vero vantaggio risiedeva nel risparmio di manodopera, in un momento in cui questa iniziava a scarseggiare per la concorrenza dell’industria nascente, e cominciava ad allargarsi la forbice fra costi e ricavi: la grande mobilità consentì inoltre al contoterzista di ampliare il proprio raggio d’azione, in precedenza rigidamente vincolato dai tempi di spostamento e di apprestamento del cantiere a punto fisso. Nel frattempo l’industria metteva a disposizione del settore agricolo mezzi di trazione più moderni e affidabili, grazie alla diffusione dei motori Diesel veloci, che in pochi anni soppiantarono i motori a scoppio, a testa calda e le gloriose macchine a vapore. Fondamentale, a questo proposito, fu l’incentivo determinato dalla disponibilità di carburanti agevolati, già presenti sul mercato dal periodo prebellico, grazie al Dm del 6 agosto 1963, che riconosceva per la prima volta il pieno riconoscimento giuridico dell’attività agromeccanica.
L’agevolazione sui carburanti era gestita in prima persona dall’Ente Utenti Motori Agricoli, che curava anche le pratiche alla Motorizzazione Civile, dando piena attuazione al primo Codice della strada (Dpr 393/59). L’Ente Uma si occupava anche della riscossione dei premi per l’assicurazione contro gli infortuni (fino al testo unico del 1965) e di una trattenuta sul prezzo dei carburanti agevolati che ritornava alle Associazioni che gestivano le denunce annuali dei carburanti.
Fino al suo scioglimento, nel 1977, questo ritorno economico a favore delle Associazioni territoriali, consentì a Unima di raggiungere la massima diffusione sul territorio nazionale, con oltre 100 strutture provinciali e sub-provinciali. In seguito, con il graduale decentramento alle Regioni, UNIMA subì una forte contrazione nel numero e nella consistenza delle proprie rappresentanze provinciali, che tuttavia portò allo sviluppo di nuovi servizi e di Organizzazioni più forti e coese.
Questo si realizzò, nelle province ove il contoterzismo era più strutturato e consapevole, anche grazie alla riforma tributaria e all’introduzione dell’Iva sulle prestazioni agromeccaniche (anni Settanta) che, pur assoggettando le imprese ad un’ordinata contabilità ed a periodici obblighi fiscali, determinarono una maggiore fidelizzazione nei confronti delle Associazioni territoriali. In un quadro economico ormai mutato, in cui l’Italia aveva costituito uno dei parchi trattoristici più numerosi d’Europa, per effetto di finanziamenti a pioggia concessi alle aziende agricole, il contoterzismo era tuttavia riuscito a mantenere le posizioni. Allora come oggi, non sono i “cavalli” a fare impresa, ma la propensione all’innovazione: solo le imprese di meccanizzazione agricola avevano saputo tenere il passo coi tempi, diversificando i servizi svolti, aumentando la produttività delle macchine e aggiornando le proprie maestranze.
1983, nasce la Ceettar
Anche nel momento di massima espansione del mercato delle macchine agricole (quasi 70.000 trattori l’anno nel 1980) la forza innovativa del contoterzismo ha continuato ad incrementare qualità e quantità dei servizi svolti, battendo la concorrenza delle cooperative di servizi e la sovra meccanizzazione determinata da politiche agricole sbagliate. È in questi anni – 1983 – in cui la forza del contoterzismo emerge non solo a livello nazionale, ma anche a quello internazionale: sulla scorta del crescente potere di coordinamento affidato alla Comunità Europea, nasce la Ceettar (Confederazione europea imprese agromeccaniche e forestali), organismo di rappresentanza delle imprese agromeccaniche e interlocutore privilegiato per la politica comunitaria, che oggi rappresenta ben 18 Paesi. Gli anni Ottanta vedono i primi effetti negativi seguiti all’incauto scioglimento dell’Ente Uma, del quale viene a mancare il coordinamento per le questioni inerenti all’operatività delle macchine agricole, dai carburanti alla circolazione stradale e alla sicurezza.
Nel 1987 Unima, insieme agli altri soggetti della filiera della meccanizzazione, dà vita al Conama (Consorzio Nazionale per la Meccanizzazione Agricola), che poi muterà denominazione in Enama, che diverrà il principale interlocutore del ministero dell’agricoltura prima, e poi di quello delle politiche agricole, alimentari e forestali. È grazie a questo passaggio che, all’inizio degli anni Novanta, Unima può far valere la specificità delle macchine agricole e dei contoterzisti, che ne costituiscono i principali utenti, nella redazione del nuovo codice della strada, primo strumento legislativo per una meccanizzazione adeguata al nuovo quadro europeo. Un quadro che si complica, nel 1992, della riforma della politica agricola comunitaria, precedentemente fondata sugli aiuti alla commercializzazione, che da allora istituì sostegni al reddito, pagati direttamente agli agricoltori. Nel frattempo, il contoterzismo affrontò un ulteriore avvicinamento all’agricoltura, in quanto molti imprenditori iniziarono a stipulare contratti di appalto globale per la gestione di tutte le lavorazioni, dalla preparazione del terreno alla raccolta, oppure acquisendo terreni in conduzione diretta.
Gli inizi del nuovo secolo
Altro pilastro nella storia di Unima è il passaggio dal livello provinciale a quello nazionale per la contrattazione collettiva con i sindacati dei lavoratori, iniziato proprio a partire dal 1992, dando per la prima volta all’Unione un peso politico e sindacale tangibile.
Il nuovo secolo si apre con una serie di provvedimenti di segno contrastante: da un lato la modifica del Codice Civile, che introduce il concetto di multifunzionalità dell’azienda agricola, aprendo le porte a nuove forme di contoterzismo – in regime di connessione con l’azienda agricola – che, anche a causa di interpretazioni distorte e strumentali, avalla nuove forme di abusivismo.
Dall’altro, fra le disposizioni applicative, viene per la prima volta data autonoma dignità giuridica all’attività agromeccanica, insieme ad una serie di semplificazioni di carattere amministrativo che interessano anche le imprese di meccanizzazione agricola. Con la delega di funzioni intervenuta nel 2001, viene rotto il regime di privativa delle Confederazioni agricole per l’assistenza agli agricoltori che vogliono accedere a contributi comunitari: Unima, insieme ai dottori Agronomi e Forestali dà vita al proprio Centro di assistenza agricola (Sisa), poi divenuto Unicaa grazie al determinante apporto di Confcooperative. Il contoterzismo, nell’alba del ventunesimo secolo, ha conosciuto un processo di concentrazione nelle dimensioni aziendali (meno imprese, ma molto più strutturate e professionalizzate), e di espansione verso l’esterno. Un elemento chiave, alla metà dello scorso decennio, fu la dismissione del comparto bieticolo saccarifero, che costituì una grave minaccia all’equilibrio finanziario delle imprese coinvolte: grazie ad una serie di circostanze favorevoli, le rappresentanze della categoria riuscirono ad inserire fra i beneficiari delle sovvenzioni pubbliche anche i contoterzisti, che ebbero modo di riconvertire il parco macchine verso attività emergenti, come le bioenergie e le manutenzioni al territorio.
Le imprese agromeccaniche sembrano aver fatto proprio, assai più degli agricoltori, il moderno indirizzo verso la multifunzionalità e la diversificazione dei campi di intervento: dalle lavorazioni agromeccaniche in senso stretto alle sistemazioni fondiarie, dai servizi post raccolta alla gestione del verde, dai servizi ambientali alle manutenzioni al territorio, dalla conduzione di terreni (quasi 2 milioni di ettari), alla gestione forestale. Un ampliamento dei settori di attività che ha spinto, proprio quest’anno, ad una nuova definizione del ruolo di rappresentanza, iniziato a livello europeo dalla Ceettar, che ha riunito sia le attività agromeccaniche sia quelle forestali, accanto al complesso settore delle manutenzioni e dei servizi al territorio.
Da alcuni anni Unima e Confai operano in sintonia sugli argomenti di comune interesse: prima in sede legislativa – con il Dpr 31/2013 che modifica il Regolamento del Codice della strada – poi con una serie di interventi in sede politica, le due Organizzazioni stanno finalmente realizzando la riunificazione sotto un’unica bandiera. Il futuro richiede uno sforzo congiunto e unitario, anche sul piano istituzionale, per la riproposizione alle Camere del disegno di legge sull’attività agromeccanica, che dovrà completare la norma del 2004 e le recenti acquisizioni giuridiche introdotte dal Piano nazionale sull’uso sostenibile degli agrofarmaci (Pan) che attribuisce nuove funzioni e responsabilità alla categoria.
È da questa comunione di intenti che, nel rispetto delle idee e delle opinioni di ciascuno, può scaturire un dibattito costruttivo ed il pieno coinvolgimento di tutta la categoria agromeccanica, per trasferire al nuovo Organismo quella rappresentanza e quella capacità pro- positiva che hanno fatto del contoterzismo la chiave di successo per l’agricoltura di domani.