Botte o semovente? La parola agli esperti

Semovente Vervaet di Chiari Agricoltura impegnato in distribuzione reflui con strip tillage
Un mezzo specializzato per lo spandimento dei reflui calpesta meno e fa più lavoro, dicono i contoterzisti che ne posseggono uno. Ma si giustifica all’interno di un quadro agronomico ed estensivo ben preciso

La distribuzione dei liquami fa parte da sempre delle attività svolte dalle imprese agromeccaniche. Con lo sviluppo del settore agroenergetico, e del biogas in particolare, tuttavia, questo servizio ha registrato una decisa impennata di domanda, dal momento che, pe tipo di macchinari e tempo impegnato, la distribuzione del digestato si presta bene al lavoro del contoterzista.  La nascita di nuovi impianti (soprattutto di biometano), favorita dai generosi contributi pubblici, dovrebbe inoltre portare a un ulteriore incremento di domanda per questo servizio. Se qualcuno fosse interessato, insomma, c’è ancora spazio per entrare in un settore che promette di essere vivace per il prossimo decennio.

Come attrezzarsi?

Siccome immaginiamo che qualche azienda stia facendo un ragionamento in tal senso, abbiamo pensato di interpellare un po’ di agromeccanici, presi tutt’altro che a caso, per provare a chiarire, almeno in parte, uno dei principali dubbi che si hanno nel momento in cui si progetta di ampliare l’attività di spandimento reflui. In altre parole, ritorna il vecchio dilemma “meglio il semovente o la botte trainata”?

Dubbio non da poco, perché – come vedremo tra breve – è condizionato da diverse variabili: superficie media trattata nell’anno, natura e dimensione dei terreni, area geografica in cui si esercita l’attività, quantità di tempo e denaro che si è disposti a investire in questo servizio e, cosa non da poco, attitudine dei clienti. Perché, ovviamente, l’agromeccanico è un prestatore di servizi e se i suoi servizi non sono richiesti, c’è poco da fare.

Prima di dare la parola agli interpellati, sintetizziamo ciò che è risaputo riguardo a botti trainate e semoventi. Le prime possono distribuire interrando il prodotto o rilasciandolo sulla superficie, tramite apposite barre. Non prendiamo nemmeno in considerazione lo spandimento con ventaglio (piattello deviatore) in quanto non è ormai da considerarsi una soluzione “per contoterzisti”, oltre a essere vietato o in via di esclusione in diverse province italiane. Detto questo, la botte solitamente fa la spola tra vasche e area di spandimento: più sono distanti, minore sarà la produttività oraria. D’altra parte, la botte è senz’altro più economica da comperare e da far lavorare, perché può operare anche con un solo addetto (il conducente).

Il semovente, al contrario, richiede almeno tre operatori (oltre al conducente, almeno due addetti al trasporto dei liquami dalle vasche al campo) ed è assai più caro da comprare. È anche, però, più performante. Scopriamo ora le altre differenze dalla diretta esperienza degli intervistati.

Con una Bossini a quattro assi sempre in campo, servita dalle botti degli agricoltori, l’azienda Cornale riesce a coniugare costi accettabili per i clienti ed elevata produttività

Fedeli al carrobotte

Partiamo con tre aziende che, pur effettuando il servizio reflui talvolta con superfici importanti, preferiscono affidarsi alle tradizionali botti piuttosto che passare a un mezzo semovente. Per la prima, quella dei fratelli Bolsi di Besenzone (Pc) è praticamente una scelta obbligata. «Per noi la distribuzione dei liquami è un’attività secondaria, che ci impegna per poco più di 500 ore l’anno. Per pensare a un semovente, oltre ad ampliare il parco clienti, dovremmo mettere in campo più operatori e più macchine. Un lavoro complesso, che non avremmo materialmente il tempo di gestire. Penso che un’azienda che acquisti un mezzo semovente deve far diventare lo smaltimento reflui un settore portante della propria attività».

A pochi chilometri da Bolsi opera Michele Peri, importante contoterzista della provincia di Parma. Anch’egli, pur superando i 1.000 ettari/anno di superficie trattata, resta fedele al carro botte. «Non ho mai deciso di passare al semovente perché non ci credo fino in fondo e penso anzi che il boom di queste macchine sia un po’ al suo apice», ci dice.

«Noi – prosegue – lavoriamo con due botti, entrambe Pagliari: una quattro assi da 250 quintali e una tre assi sui 150 quintali. Più un’altra tre assi in arrivo a breve». Usare la botte, ci tiene a far notare Peri, non significa trascurare la qualità del lavoro. «Tutte le nostre macchine sono dotate di attacco a tre punti per fissarvi un interratore o una barra a dischetti per operare su grano già emerso. Facciamo inoltre spandimento con l’ausilio del controllo satellitare, variando i volumi a seconda del fabbisogno del terreno», spiega. «Inoltre – aggiunge – abbiamo un serbatoio scarrellabile quando è necessario avere il rifornimento a bordo campo. Avevamo fatto un pensiero anche al sistema ombelicale, che riduce il compattamento del terreno, ma alla fine la spesa non vale la domanda che abbiamo per questo tipo di servizio. Tra la barra per distribuire i reflui, la pompa, le tubature e le botti per il rifornimento si superano comodamente i 100mila euro».

I vantaggi di un mezzo semovente, in termini di maggior produttività e specificità, non sono sufficienti, per Peri, a pareggiare l’alto costo di acquisto e di mantenimento. «Soprattutto, credo che tra i nostri clienti, quasi tutti stalle, ce ne sarebbero due o tre al massimo che accetterebbero l’idea del cantiere e dei suoi costi».

Chiudiamo questa prima panoramica con un agromeccanico bresciano, Gianluca Cornale, che gestisce oltre 1.500 ettari di spandimenti. «Quest’anno, oltre alla Bossini da quattro assi, stiamo facendo girare anche le botti piccole, a tre e due assi, per quanto è il lavoro». Da quest’anno Cornale ha adottato una nuova organizzazione per questa attività. Potremmo chiamarla, parafrasando una moda del settore alberghiero, “cantiere diffuso”. «Abbiamo acquistato una vasca che fa da balia. La botte a quattro assi, così, non esce mai dal campo e lavora in continuo». Una soluzione, come sappiamo, utilizzata da altri; tuttavia Cornale l’ha trasformata in un’alternativa a basso costo rispetto al tradizionale servizio di trasporto e distribuzione. «Ci sono molti agricoltori, stalle in particolare, che hanno le botti in casa. Magari vecchie, senza l’attacco a tre punti, per cui non possono lavorare con un interratore. Invece di spendere soldi per attrezzarle, gliele facciamo usare per rifornire la nostra, che così non si muove mai dal campo. In questo modo noi ottimizziamo i tempi e gli agricoltori sono contenti perché non pagano il trasporto. In qualche caso, ci siamo fatti aiutare anche da altri contoterzisti, dando un po’ di lavoro ai colleghi».

La superficie gestita e il numero di addetti, a quanto pare, giustificherebbero l’acquisto di un semovente, in fondo. «Non lo prendiamo – risponde l’agromeccanico bresciano – perché ormai in zona ce ne sono fin troppi, di semoventi. E molti agricoltori non lo vogliono, fondamentalmente per il peso che porta in campo. C’è chi sta pensando di lavorare con l’ombelicale per ridurre il compattamento, figuriamoci se accetta di avere sul suo terreno un bestione simile».

Con le sue cinque ruote l'Hydro Trike dell’azienda Carega riduce il più possibile il compattamento del terreno

Semovente: migliore dai 1.200 ettari in su

Passiamo al versante opposto: ovvero chi, pur avendo in casa anche carribotte, utilizza in modo prioritario il semovente. Partiamo dal Piemonte con Mattia Carega, erede di una famiglia di contoterzisti e agricoltori della provincia di Alessandria. «Abbiamo preso il primo semovente nel 2012. Era uno Xerion con allestimento Saddle della Sgt. Dunque, non proprio un semovente specifico per liquami, ma quasi. Ora abbiamo un Vervaet a cinque ruote, ricondizionato».

La qualità del lavoro, ci dice, cambia completamente quando si passa a un mezzo specializzato. «La differenza si vede soprattutto nelle annate difficili. Quando il terreno è asciutto siamo tutti bravi, botte o semovente. La botte è un po’ più lenta, senz’altro, ma fa comunque il suo lavoro, se è attrezzata bene, con ancore o dischiera. Quando il terreno è umido, le cose cambiano: con il semovente si pesta meno, c’è poco da fare. E se il terreno è proprio bagnato, come quest’autunno e in parte anche questa primavera, con il semovente si riesce comunque a lavorare, mentre con la botte non si va in campo. Diciamo che il semovente ti permette di garantire il servizio quasi in ogni condizione e su ogni coltura. Io, da agricoltore, trattore e botte nei miei campi di grano non li farei entrare, il Vervaet sì».

La differenza, prosegue Carega, è tutta nella base di appoggio. «Vervaet, anche nella versione base, ha tre ruote larghe un metro. Il mio, che è un cinque ruote, distribuisce 20 tonnellate di carico su tre ruote da un metro e due da 80 cm. Con una superficie così ampia si galleggia su qualsiasi terreno. In più, restando sempre in campo, il semovente non sporca le strade, mentre il trattore che lavora senza assistenza, quando va a rifornirsi in azienda, con il terreno fangoso, fa un disastro. Possiamo ripulire finché vogliamo, ma le strade restano sporche e siccome già non siamo molto ben visti, per questa specifica attività, non è il caso di creare ulteriori disagi alla popolazione».

Capitolo costi: quelli di un semovente sono ovviamente più alti. «Far lavorare un intero cantiere anziché un trattore solo ha il suo prezzo. Se con il carrobotte si può lavorare a tre euro per metro cubo più uno per l’interramento, un mezzo come Vervaet chiede circa 3 euro per il suo lavoro, più 2,5 per il trasporto con le botti.

È vero che all’agricoltore costa di più, quindi, ma ha un lavoro di qualità del tutto diversa: dosaggio differenziato nelle varie zone del campo, distribuzione con pompa volumetrica regolabile a piacere, miglior controllo dell’attrezzo che fa interramento e così via».

E dal punto di vista del contoterzista, che è poi quello che più ci interessa? Quando diventa economicamente praticabile l’acquisto del semovente? «Diciamo che se un terzista ha un proprio impianto o gestisce totalmente un impianto di biogas, val già la pena. Se invece è un agromeccanico puro, penso che gli convenga quando arriva a servire almeno tre digestori. Parlando in ettari, se ne calcoliamo 400 per ogni biogas da un megawatt, penso che il semovente sia la scelta migliore dai 1.200-1.300 ettari in su».

Completiamo il quadro con un’azienda bresciana che non ha bisogno di presentazioni, quando si parla di reflui. Chiari Agricoltura, oggi gestita da Adriano Chiari, ha nel parco macchine otto semoventi Vervaet, cisterne stradali per il trasporto dei liquami e tutto il meglio che si può desiderare per fare distribuzione di qualità. Anzi, “valorizzazione”, come ama dire Chiari. «Il semovente – spiega – non è una macchina a se stante ma, nella nostra organizzazione aziendale, uno strumento all’interno di un progetto ben preciso.

Mi spiego: al di là delle superfici trattate e dei costi, il semovente si giustifica nel quadro di una agronomia moderna, che prevede la minima lavorazione come standard. Quando acquistammo il primo, avevamo in testa proprio questa idea: rendere i reflui un sostituto del concime minerale all’interno di un piano integrato di lavorazioni alternative. Meglio ancora se con strip tillage».

I vantaggi del semovente, prosegue il contoterzista, sono noti: maggior galleggiamento, riduzione del compattamento del suolo, sostituzione di alcuni trattori nel parco macchine grazie alla sua capacità di fare, contestualmente, distribuzione reflui, valorizzazione degli ammendanti organici e preparazione del terreno in minima lavorazione. «In linea di principio, una macchina nata per fare uno specifico lavoro è sicuramente migliore di una adattata a fare quel lavoro», chiosa Chiari.

E per quanto riguarda la distribuzione su terreno pesante? «Con terreno bagnato, meglio stare a casa – risponde sorridendo – ma se proprio bisogna andare, il semovente è ancora una volta migliore, grazie alla maggior base di appoggio». Questo, nonostante un peso di 50 tonnellate, contro le 30 circa di una buona botte con trattore. «Siamo però sempre nel campo dei terreni trattati con lavorazioni alternative – precisa Chiari – perché se si tratta di distribuire in un campo arato, allora forse è meglio la botte. Se un contoterzista opera in una zona in cui si effettua ancora l’aratura come tecnica di preparazione principale, non credo valga la pena investire sul semovente».

Avendo superfici non troppo estese da trattare, la famiglia Bolsi riesce a fare tutto con una sola botte a tre assi

Semovente: quando è meglio

La minima lavorazione, dunque, come requisito quasi essenziale per rendere conveniente l’uso di semoventi per reflui. «E tra i vari tipi di preparazione alternativa, il meglio è lo strip tillage, che a parità di quantitativo distribuito, fertilizza una superficie tripla. Questo significa, se lavoro lontano dalle cisterne, coprire lo stesso terreno con un terzo di prodotto e, di conseguenza, con un terzo di spese di viaggio. Per un campo da 150 ettari mi bastano i metri cubi che userei, lavorando normalmente, su 50 ettari. Con tutte le conseguenze sui costi di trasporto che possiamo immaginare».

Parliamo anche di prestazioni, ovviamente, oltre che di costi. «Un semovente fa, in un giorno, circa il doppio del lavoro rispetto a una botte monoasse servita a bordo campo e fa anche più lavoro di una tre assi, compattando sicuramente meno. Questo, però, in campi sufficientemente grandi. In appezzamenti piccoli, dove appena sono partito devo già far manovra, il divario si riduce molto. Le caratteristiche del territorio in cui opero sono essenziali.

Un Vervaet può fare 40 ettari al giorno, ma anche 15. Può fare 130 metri cubi all’ora come 60, perché ci sono campi in cui con andata e ritorno si fa un ettaro e mezzo e altri che sono grandi un ettaro e mezzo. È chiaro che questo cambia tutto, nel calcolo di costi e ricavi. Va considerata, prima di decidere, la percentuale di piccoli appezzamenti dei nostri clienti. Se è alta, i vantaggi del semovente si riducono fortemente».

Tenendo ben presente questa variabile, Chiari stima in almeno 1.500 ettari la superficie minima per ragionare sul ricorso a un semovente. «Il suo acquisto, calcolando tutti i costi e la resa oraria, si giustifica dai 70mila metri cubi/anno in su. Tradotto in superficie, sono circa 1.400 ettari, ma io credo che per stare sul sicuro sia meglio andare verso i duemila. Se sono meno, è il caso di pensarci bene».


Offerta a doppia attitudine

Nel vasto panorama del contoterzismo ci sono naturalmente aziende che offrono il doppio servizio – semovente o botte tradizionale – a seconda delle richieste del cliente. Sono pertanto molto utili ai nostri fini, ossia capire da che punto in poi il semovente diventi davvero concorrenziale rispetto alla tradizionale botte per liquami. Una di queste aziende appartiene alla famiglia Bozzola di Carpenedolo (Bs). È attrezzata con un Vervaet Hydrotrike a tre ruote, una botte Veenhuis con assale telescopico e sette carribotte tradizionali, dotati di sistemi per l’interramento dei reflui. «Con le sue gomme larghe e la regolazione della pressione in campo, il semovente è pensato per calpestare poco. Inoltre le versioni a tre-ruote sono molto veloci in manovra. Lo usiamo in tutte quelle situazioni in cui è importante rispettare il terreno o quando ci sono colture sul terreno trattato», spiega Tiziano Bozzola, uno dei titolari. «La botte – prosegue – è indicata quando non ci sono colture in atto o quando subito dopo la distribuzione si fanno aratura o comunque preparazione del letto di semina. Se l’agricoltore non vuole spendere troppo ed è disposto a fare da solo la lavorazione, la botte può essere una buona alternativa».

Botte o semovente? La parola agli esperti - Ultima modifica: 2025-04-28T10:47:33+02:00 da Roberta Ponci

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