10Cinque o sei trattori, una mietitrebbia, un operaio di fiducia. Non serve molto altro per fare il contoterzista. Lo dimostra una bella – seppur piccola – realtà della provincia di Arezzo: l’azienda di Remo Biribò, che si trova a Fratticciola di Cortona. Tre addetti, poche macchine accuratamente scelte, 500 ettari lavorati. Molti dei quali gestiti in toto, perché i proprietari hanno altre occupazioni o sono troppo vecchi per fare da soli. Un segno di come sta cambiando il panorama dell’agricoltura e di come la professione dell’agromeccanico diventerà sempre più importante in futuro, anche senza raggiungere dimensioni da piccola industria.
Al lavoro sui colli
Cortona è a metà della Val di Chiana e questo già dice molto sull’agricoltura di queste parti. Siamo nella zona di Montepulciano e a non molti chilometri dalle rinomate colline senesi. Ovvio che vino e carne la facciano da padroni, anche se a dominare, in zona, sono piuttosto campi e olivi. Ai primi si dedica quasi al cento per cento l’attività dei Biribò. Ce la racconta Giacomo Farnetani, che più che dipendente è ormai uno di famiglia. «Da queste parti – ci spiega – si fanno soprattutto cereali autunnali e foraggi, a cominciare dal trifoglio. Poi ci sono coltivazioni tradizionali che tornano in auge o altre che si impongono perché più redditizie del grano. Un esempio del primo tipo sono i ceci, del secondo i girasoli».
Ceci e girasoli che, tuttavia, sono delle alternative soltanto parziali al grano, qui intensivamente coltivato nelle varianti tenero e duro. «Il cece è interessante soprattutto per il greening e infatti è tornato di moda grazie agli obblighi di legge, ma è anche piuttosto delicato. Soffre i ristagni d’acqua – e con i nostri terreni argillosi ce ne sono parecchi – e ha bisogno di un letto di semina ben lavorato. Siccome si mette a dimora tra febbraio e marzo, è difficile che vi siano queste condizioni, per cui non sempre si può seminare.
In più ci sono pochi diserbanti autorizzati e quindi spesso si deve fare lotta alle infestanti con mezzi meccanici. Per tutti questi motivi, le superfici tendono a restare costanti o anche a scendere: per fare il greening molti preferiscono lasciare il terreno incolto. Va meglio invece il girasole, che – continua Farnetani – nelle passate stagioni è stato pagato bene. «Meno nell’ultima, ma in ogni caso è una coltura che ti fa fare sempre un po’ di reddito. Mal che vada, vai a pari, mentre col grano a questi prezzi si rischia di perderci».
Il ritorno dei grani antichi
È anche per questo motivo che nell’aretino, come in molti altri territori vocati, si assiste al ritorno delle varietà storiche: meno produttive ma più richieste dal mercato. «Esattamente. I grani antichi producono meno di quelli moderni e per noi trebbiatori sono anche una bella grana, perché essendo molto più alti si allettano facilmente. Tuttavia, sono pagati di più e quindi gli agricoltori li scelgono».
Anche il grano comune, fa notare il trattorista, è comunque di alta qualità. «Da noi si fanno rese basse, tra i 15 e i 40 quintali per ettaro. Il problema è che questo prodotto di qualità non è pagato quanto sarebbe giusto e pertanto sempre meno persone sono disposte a coltivarlo. Anche perché gasolio e riparazioni, invece, costano eccome». Al contrario di molti altri territori, ci dice Farnetani, il Cortonese non sembra subire il fascino del biologico. «Non mi risulta ci siano molte aziende che lo fanno. Non, almeno, tra i nostri clienti. Del resto, il biologico richiede molte più lavorazioni meccaniche, quindi è naturale che chi fa fare tutto al contoterzista punti sul convenzionale».
Come abbiamo visto, infatti, una buona fetta dei clienti dei Biribò delega loro la gran parte dei lavori. «Si tratta principalmente di aziende che hanno molti terreni e non riuscirebbero a fare tutto da sole, oppure di chi ha già un altro lavoro e pur avendo magari superfici importanti, non se la sente di occuparsene direttamente. È una scelta intelligente, perché in questo modo continuano a fare il loro lavoro e dalla terra ricavano una rendita pulita, senza impegno e senza investimenti». In ogni caso, conclude il giovane operatore, la maggior parte delle aziende in zona ha dimensioni ridotte, non oltre i 10 ettari. «Ce ne sono anche da 200, però: è un panorama abbastanza vario, sebbene la maggior parte delle realtà sia di piccolo taglio».
Legati a New Holland
Come abbiamo scritto sopra, l’attrezzatura di Biribò è essenziale: un 400 cavalli per fare aratura su un terreno difficile, un paio di macchine tra i 150 e i 200 cv per le operazioni più impegnative e poi due TN e un TLA da 100 cavalli. Come si intuisce dai nomi, il parco macchine ha i colori di New Holland. «I proprietari sono affezionati al marchio da sempre, fin da quando era Fiat. Credo comunque che si tratti, più che di fedeltà al costruttore, di un buon rapporto con il concessionario, la Agrimacchine, una realtà che va particolarmente forte sull’assistenza». La scelta del monocolore è anche legata alla semplificazione delle manutenzioni e riparazioni. «Avendo tutto New Holland, in primo luogo conosciamo bene le macchine, per cui sappiamo intervenire in caso di guasti o per le manutenzioni. Inoltre, un alto numero di pezzi di ricambio, oltre ai vari fluidi, è identico, per cui si può avere un buon magazzino senza impegnare troppi capitali e troppo spazio».
La macchina di maggior prestigio è il T8 390, un trattore comprato quasi esclusivamente per l’aratura. Effettuata con un trivomere Ermo, oppure con un Moro. «Due ottimi aratri, in ogni caso. Più grossi non si potrebbero usare, con il terreno che abbiamo qui in zona: tenace e argilloso, che da bagnato attacca come colla. Infatti, abbiamo una sola seminatrice a dischi, per dire». Una combinata, per la precisione, utilizzata con erpice rotante montato sul sollevatore frontale.
Una sola la mietitrebbia: una non più giovanissima TX 64. «Non più giovane ma ancora molto efficiente. È stata una gran macchina, indubbiamente. Questa poi ha i vagli livellanti, per cui lavora bene anche sulle modeste pendenze delle nostre colline, rendendo superflue le livellanti. Che prima – aggiunge Farnetani – avevamo in azienda. Fino a pochi anni fa le trebbie erano tre, poi per questioni organizzative e di reddito i proprietari hanno preferito ridurre a una, delegando una parte della raccolta a qualche collega, in una sorta di partnership».
I rapporti con gli altri contoterzisti sono insomma abbastanza buoni. E contribuiscono a rafforzare l’immagine di questa piccola azienda che si adatta ai cambiamenti dell’agricoltura e continua, serenamente, a portare avanti la tradizione di famiglia.
Sessant’anni di contoterzismo
La Biribò Sas nacque negli anni Sessanta come società tra Franco Biribò, classe 1940, ancora attivo in azienda, e Pietro Casti. «A quei tempi avevamo un solo trattore, un Fiat 70 cingolato con cui facevamo aratura. Si lavorava a turno, su tre turni, e si dormiva nella cosiddetta carovana, un carro di legno trainato fino a bordo campo che serviva anche per il rifornimento di olio e grasso», spiega Remo Biribò. Negli anni Ottanta la società si sciolse e Remo, attuale titolare, si mise a lavorare con il padre nella Biribò Sas. La quale, oggi, è composta da Remo e dal padre, con Giacomo Farnetani come unico dipendente fisso. «Inoltre, collaboriamo con alcuni contoterzisti della zona per i lavori più complessi», sottolinea il titolare. Le attività vanno dalla preparazione del terreno alla raccolta, senza dimenticare lavori di ripristino fossi eseguiti con alcune macchine per movimento terra.