L’incremento dei prezzi dei fertilizzanti, aggravatosi con il conflitto armato fra Russia e Ucraina, trae origine da un disequilibrio fra produzione e impiego, oltre che dal costo dell’energia. Come per altri prodotti strategici, dai carburanti ai cereali, dalle carni ai metalli, dai farmaci allo zucchero, per i concimi di sintesi è opportuno stipulare contratti che ne garantiscano la fornitura.
Meglio ancora sarebbe disporre di riserve sufficienti per coprire eventuali carenze di mercato: dopo decenni di sovrapproduzione, capace di garantire il soddisfacimento di tutti bisogni, la riduzione della disponibilità ha colto tutti impreparati. È probabile che alla fine si torni a un equilibrio, ma tutto non sarà mai più come prima, perché è venuta meno la fiducia nelle regole del libero mercato, che ci ha portato alla globalizzazione e alle sue nefaste conseguenze in tempi di crisi.
Malintesa tutela ambientale
Per quanto riguarda i fertilizzanti, però, l’Italia sconta gli effetti di innumerevoli errori; solo ora ci si rende conto che una razionale gestione della frazione organica dei rifiuti urbani avrebbe aperto la strada al riutilizzo in agricoltura, senza pericolosi equivoci. La confusione giuridica sul riutilizzo delle matrici organiche nasce da un’impostazione ideologica che rifiuta non solo la tecnologia, ma anche l’economia circolare, ossia la capacità di riutilizzare la sostanza organica compostata per arricchire i terreni dove scarseggiano i reflui zootecnici. La confusione creata per anni fra digestato e rifiuti ci fa capire da dove siamo partiti: la recente apertura all’impiego agricolo come fertilizzante nasce dall’attuale crisi, senza la quale questo minimo progresso non si sarebbe forse potuto realizzare.
Una malintesa tutela ambientale ha provocato danni immensi, prima assimilando l’allevamento alle attività industriali, poi finanziando la costruzione e l’esercizio di impianti per la produzione di biogas, ma non impiegando materiali di risulta, bensì cereali appositamente coltivati. Nessuno si è mai chiesto se tutto questo fosse il frutto di un’ideologia aberrante e malata: dirottare la produzione di mangimi dagli allevamenti, demonizzati come inquinanti e come luogo di possibile sofferenza per gli animali, per produrre energia solo in parte rinnovabile. Ci auguriamo che l’attuale crisi serva di stimolo a una riflessione sulla sicurezza alimentare e sull’opportunità di garantire stabilità agli altri segmenti della filiera, chiudendo per sempre uno dei capitoli più controversi della politica agricola nazionale e comunitaria.
Dal punto di vista della produzione primaria, dovremo ancora una volta dare il buon esempio e rimboccarci le maniche, dato che il lavoro da fare non manca di certo. L’imperativo primario, in tempi di costi elevati della materia prima, è duplice: risparmiare sulla quantità, migliorando l’efficienza del prodotto. I fertilizzanti di sintesi sono stati impiegati sempre con una certa larghezza per evitare fenomeni di carenza, una pratica sprecona, ma conveniente quando il prezzo dell’unità fertilizzante era basso. Un mondo ormai irrimediabilmente lontano (si veda la scheda tecnica nel riquadro) che ci obbliga oggi a effettuare scelte “di campo”, a partire dallo spandiconcime utilizzato, che riassumeremo per punti qualificanti.
Come scegliere il modello giusto
1) Data di impiego: distribuire il fertilizzante nel periodo più prossimo a quello in cui la coltura inizia ad assorbirlo, evitando somministrazioni fuori stagione che possono indurre perdite per dilavamento o solubilizzazione.
2) Uniformità della distribuzione: se l’area di lancio è, in un certo intervallo temporale, di 20 mq, in ogni singolo metro quadrato dovremo avere la stessa distribuzione spaziale.
3) Rateo variabile: per ogni “passo” di avanzamento del cantiere (pixel) la dose può essere variata sulla base del fabbisogno del terreno o della coltura; all’interno di quest’area deve essere rispettata l’uniformità di cui è capace la macchina e il suo sistema di lancio.
4) Efficienza del fertilizzante: esistono prodotti capaci di stimolare l’assorbimento degli elementi apportati, evitando che i nutrienti possano restare nel terreno oltre il necessario ed essere dal movimento delle acque superficiali e sotterranee; contro il rischio di perdita di azoto sotto forma ammoniacale, si possono impiegare inibitori della nitrificazione, ovvero macchine per l’interramento localizzato del concime.
5) Il fertilizzante deve essere somministrato nella formulazione (granulare o liquida) più facile da assorbire, in relazione allo sviluppo della coltura e alle condizioni di campo.
6) Nel caso della lavorazione a strisce è consigliabile, l’impiego di localizzatori al posto dei distributori centrifughi, anche al fine di controllare lo sviluppo delle malerbe.
Le regole sopra indicate sono sempre state valide, ma con le attuali quotazioni dei fertilizzanti la ricerca della massima efficienza è divenuta un obbligo non più rinviabile. I principi esaminati sono sostanzialmente simili per la distribuzione di fertilizzanti organici, soli o liquidi, con la differenza che la ridotta concentrazione di elementi nutritivi richiede l’impiego di attrezzature specifiche. Bisogna poi aggiungere una precauzione sui tempi di reazione della coltura: come per tutti i mezzi di produzione di origine organica, gli effetti si manifestano più lentamente e di questo bisogna tenere conto nel calendario di lavorazione.
Quantità e modalità di somministrazione
Altro aspetto da prendere in considerazione, rispetto ai concimi granulari, è nella quantità da distribuire e nella modalità di somministrazione in relazione alla coltura. L’origine organica di liquame e digestato fa sì che gran parte della frazione azotata sia in forma ammoniacale: l’ammoniaca, a temperatura e pressione ordinaria, è un gas disciolto nella matrice acquosa, dalla quale può evaporare e disperdersi in atmosfera. La condizione peggiore è lo spandimento con il getto a pressione: la rapida espansione all’uscita dall’ugello facilita la vaporizzazione dell’ammoniaca e dei gas responsabili dell’odore; oltre a essere vietata per motivi ambientali, tale pratica comporta un’inutile perdita di azoto.
La tecnica più efficace è quella dell’interramento a minima profondità, da effettuarsi nello spazio fra le file con apparecchiature montate nella parte posteriore del carro botte. Sempre sul fronte dell’efficienza, nonché della tempestività di intervento, si segnala la nuova tendenza a impiegare macchine distributrici semoventi, dotate di pneumatici a bassa pressione e larga sezione, in grado di minimizzare gli effetti del calpestamento anche su colture in atto. Un’alternativa più economica, ma non meno efficace, è quella di utilizzare un leggero carro botte monoasse, con carico e scarico volumetrico, dotato di pneumatici speciali, per la distribuzione in campo, rifornito da uno o più carri botte convenzionali con assi tandem, per il trasporto stradale.
NPK, qualche curiosità…
Non stiamo parlando di una nuova marca di automobili, ma dei simboli dei tre principali elementi responsabili della crescita dei vegetali dopo, ovviamente, quelli che si trovano facilmente in natura come carbonio, ossigeno e idrogeno. Azoto, fosforo e potassio in realtà possono ritrovarsi anche in natura, ma non dappertutto e non così facilmente come potrebbe lasciare intendere la loro abbondanza sul nostro pianeta.
L’azoto, per cominciare, compone quasi il 78% dell’atmosfera e, pur essendo indispensabile (sintesi delle proteine) deve il suono nome al fatto che allo stato gassoso non consente la vita: eppure, in atmosfera svolge il compito di “tenere a bada” un elemento reattivo come l’ossigeno. Per trasformare l’azoto molecolare in qualcosa di utile è necessario legarlo chimicamente proprio all’ossigeno, dando luogo al comune ione nitrato che tanto è utile alle piante. È un lavoro estremamente dispendioso dal punto di vista energetico, che si realizza o ad altissima temperatura e pressione (come nei vulcani), o nella produzione dell’ammoniaca, composto che sta alla base di innumerevoli processi industriali (e della sintesi dell’urea). Più efficienti dal punto di vista energetico, i batteri nitrificanti, simbionti di numerose piante (a partire dalle leguminose) fissano l’azoto atmosferico a temperatura ambiente grazie a catalizzatori organici: una fonte di fertilizzanti azotati a basso costo che non dipende dai processi industriali.
Scoperto da uno degli ultimi alchimisti, dotato però di grande sensibilità scientifica, il fosforo è stato per molti anni una curiosità per spettacoli di corte, fino a che non se ne sono scoperte le virtù, dalla facilità ad accendersi, all’alta tossicità, fino alla sua efficacia come fertilizzante. L’alchimista lo trovò per la prima volta nelle urine, dopo un paziente lavorio di concentrazione e purificazione: è proprio nei materiali organici che va a depositarsi e da cui potrebbe essere estratto, come alternativa alla lavorazione dei minerali fosfatici. I primi giacimenti scoperti erano depositi di guano animale, accumulatisi per decine di milioni di anni e poi mineralizzatisi, fra l’altro ormai esauriti. Oggi la fonte principale è costituita dai giacimenti di fosforiti, depositatisi dopo il prosciugamento e il sollevamento di antichissimi mari, presenti dove oggi è il deserto del Sahara, e in altre ristrette aree del globo. Per quanto sia noto che potremo estrarre fosforiti almeno per altri cent’anni, viene da chiedersi cosa accadrà via via che il minerale diventerà più raro: le leggi economiche mostrano infatti che i prezzi sono destinati a salire ben prima che un prodotto cominci a scarseggiare.
Solo il potassio è relativamente comune, tanto da ritrovarsi con facilità in tutti i suoli argillosi (che ne sono ben dotati) e dalla capacità delle piante di assorbirlo dal terreno, al punto che lo ritroviamo facilmente nella cenere che resta dalla combustione delle biomasse vegetali (pot-ash, in inglese, era la cenere che si depositava nelle cucine a legna). Anche il potassio è largamente presente nelle rocce da evaporazione e si accompagna spesso con i giacimenti di salgemma, di cui l’Italia (Sicilia) è abbastanza ricca. Lo zolfo e il calcio, altri elementi indispensabili alla vita sono relativamente facili da reperire, il primo dalla desolforazione degli idrocarburi fossili (prima ancora che dalle miniere), ed il secondo dalle rocce calcaree ovunque presenti. Fino a quando il prezzo dei fertilizzanti di sintesi è stato molto basso, li abbiamo considerati come un prodotto di scarso valore: solo ora che i prezzi sono saliti (anche per l’incremento subito dai costi di trasporto) stiamo imparando a dare loro il giusto valore.