Le attuali problematiche legate alla concimazione azotata dei cereali a paglia includono il costo elevato dei concimi, spinto al rialzo dai crescenti costi energetici per la produzione dei fertilizzanti, un’incertezza sui prezzi dei cereali e la pressione, da parte delle politiche comunitarie (in primis la strategia Farm to Fork), a ridurre decisamente l’uso degli input chimici. Diventa quindi sempre più pressante la necessità di ottimizzare la pratica della concimazione, migliorando l’attuale (bassa) efficienza d’uso dell’azoto, vista anche la necessità di mantenere e migliorare la produzione e la qualità della granella, ad esempio in termini di tenore proteico. Tuttavia, ciò non è facile, poiché il comportamento dell’azoto nel sistema suolo-coltura è altamente dinamico e influenzato dall’andamento dei fattori meteorologici stagionali, caratterizzati ormai da un’accentuata variabilità causata dai cambiamenti climatici.
Una possibile chiave di volta è l’uso delle tecnologie di agricoltura di precisione e delle attrezzature 4.0, che iniziano ad avere una certa diffusione anche in Italia grazie alle misure di sostegno alla digitalizzazione dell’agricoltura. Preso atto dell’inefficienza della distribuzione omogenea e costante nel tempo della dose di concime e disponendo di macchine quali spandiconcimi Isobus a rateo variabile, monitor e sistemi di guida e navigazione satellitare GNSS, ci si può chiedere quale possa essere la strategia da utilizzare per cercare di migliorare l’efficienza della concimazione (foto apertura).
In pratica si tratta di capire come redigere una “mappa di prescrizione” della dose da distribuire, da caricare sul monitor del trattore, che possa essere letta e attuata dallo spandiconcime Isobus. Quali criteri si possono adottare per definire questa mappa di prescrizione della concimazione?
Azoto, fosforo e potassio
Bisogna innanzitutto rendersi conto che la decisione della restituzione delle asportazioni di elementi, prelevati dal suolo dalla coltura dell’anno precedente, ricavabili in caso siano disponibili mappe della resa, può avere senso per il fosforo e talvolta per il potassio, ma non per l’azoto. Questo a causa della sua natura, come detto, estremamente dinamica, che richiede un approccio diverso, che includa un monitoraggio dello stato nutrizionale della coltura nella stagione in corso.
Vi sono due principali modalità per realizzare una fertilizzazione sito-specifica:
1) variando in continuo le dosi di fertilizzante in risposta alle esigenze colturali, rilevate e quantificate ad esempio mediante sensori installati sul trattore, o tradotte in mappe prodotte precedentemente usando diverse fonti di dati;
2) dividendo l’appezzamento in sotto-aree “omogenee” al cui interno i fertilizzanti sono applicati uniformemente, secondo l’approccio SSMZ (site-specific management zone) con zone di gestione sito-specifica uniforme. Il secondo approccio appare attualmente il più diffuso e facilmente attuabile, anche se è ovviamente un compromesso tra la distribuzione uniforme a tutto campo e quella realmente sito-specifica a cui si dovrebbe tendere. È da precisare, che la definizione delle sottozone omogenee si deve basare su informazioni di lungo termine e stabili e sulla conoscenza delle caratteristiche dell’appezzamento in relazione con il potenziale produttivo delle diverse aree. Ad esempio, serie storiche di immagini satellitari o di mappe della resa, di diversi anni, possono individuare zone con produttività stabilmente bassa (o alta) e zone con produttività molto variabile da un anno all’altro.
Bilancio previsionale
Per quanto riguarda le metodologie su cui basarsi per quantificare la dose da distribuire in maniera puntuale o nelle sottozone uniformi, allo stato attuale sono state proposte una serie di procedure più o meno complesse. Un primo approccio è quello di calcolare un piano di concimazione separato per ciascuna zona omogenea, basandosi ad esempio sul metodo del bilancio previsionale delle entrate e delle uscite delle diverse forme di azoto, quali le asportazioni della coltura, la mineralizzazione della sostanza organica del suolo e l’apporto di azoto dei residui colturali della stagione precedente. Una volta stabilita la dose, che potrà essere ad esempio più alta nelle zone ad elevata produttività e minore laddove ci siano limitazioni conosciute all’utilizzo dell’azoto da parte della coltura, questa si potrà aggiustare sulla base delle osservazioni sullo stato nutrizionale della coltura nella stagione in corso. Queste osservazioni sono ormai facilmente accessibili da diverse piattaforme che forniscono (gratuitamente) indici di vegetazione derivati da immagini satellitari Sentinel-2. A questo proposito si deve precisare che è bene utilizzare a tale scopo mappe della clorofilla o indici sensibili a questa (ad esempio NDRE o TCARI/OSAVI) che è in relazione con l’azoto, invece del più grossolano NDVI.
Algoritmi di concimazione
Sono poi stati sviluppati cosiddetti “algoritmi” di concimazione, che permettono di aggiustare la dose da distribuire in funzione dei valori degli indici di vegetazione rilevati. Originalmente questi metodi sono stati sviluppati per sensori montati sul trattore, ma in linea di principio possono essere adattati anche sfruttando dati del satellite Sentinel-2, come dimostrato da sperimentazioni effettuata dall’Università della Tuscia in collaborazione con IBF Servizi (gruppo Bonifiche Ferraresi) e in Umbria nel progetto SmartAgri (Psr Mis. 16.2). I più semplici di questi algoritmi sono empirici e si basano su una calibrazione effettuata sul campo (o sull’immagine satellitare), identificando zone ad alto e basso vigore vegetativo e decidendo se distribuire più azoto nelle zone a basso vigore o viceversa (Fig. 1). Questa scelta deve essere motivata dalla conoscenza di eventuali altri fattori limitanti che potrebbero spiegare il basso vigore (ad esempio stress idrico o pH anomalo) e che non permetterebbero di valorizzare una maggiore dose di azoto. Tra l’altro, la scelta può cambiare nel corso della stagione. Ad esempio, per concimazioni effettuate all’antesi e miranti ad aumentare il contenuto proteico della granella, si consiglia di solito di distribuire più azoto nelle zone apparentemente a maggior vigore, perché quelle che appaiono di minor vigore (meno verdi) potrebbero essere in condizioni che non permetterebbero di valorizzare l’azoto distribuito. Inoltre, in ogni caso, si consiglia di stabilire, per valori bassi dell’indice di vegetazione, un cosiddetto “biomass cutoff”, cioè una soglia al di sotto della quale si assume che la zona dell’appezzamento sia priva o quasi della coltura, ad esempio per fallanze, e non sarebbe utile distribuire del concime. In questi algoritmi, va comunque sempre stabilita, in maniera empirica da parte del tecnico o dell’agricoltore, la dose minima e massima di concime da distribuire, tra le quali modulare la dose in funzione dell’indice di vigore (Fig. 1).
Sono però stati sviluppati anche dei metodi che cercano di quantificare la dose sito-specifica da distribuire. Uno di questi è quello di Holland e Schepers, originalmente proposto per il mais per sensori prossimali montati sul trattore. Questo metodo si basa sulla definizione di un indice di sufficienza e del calcolo della sua differenza rispetto a zone dell’appezzamento ad alto o basso stato nutrizionale, a partire dalla quale quantificare la dose di concime da distribuire, mediante un’equazione che tiene conto anche di fattori che caratterizzano le diverse zone omogenee.
Indice di nutrizione azotata
Un altro approccio è quello di stimare dai dati satellitari il cosiddetto Indice di Nutrizione Azotata (in inglese Nitrogen Nutrition Index, NNI). Questo esprime la differenza tra il contenuto di azoto della coltura in un dato momento e quello detto “critico”, che corrisponde a una situazione di disponibilità ottimale per la coltura. Un valore di NNI inferiore a 1 corrisponde a una situazione di carenza azotata. Un valore maggiore di 1 evidenzia una situazione di “consumo di lusso” di azoto, superiore a quello necessario per massimizzare la produzione di biomassa. È stato dimostrato, da ricerche recenti, che è possibile stimare le informazioni necessarie per determinare l’indice NNI da dati satellitari, ed utilizzarlo per quantificare la dose necessaria per riportare la coltura da una situazione di carenza ad una di disponibilità ottimale di azoto (Fig. 2).
Queste procedure, se applicate per esempio a dati del satellite Sentinel-2 acquisiti in prossimità della data in cui effettuare la fertilizzazione, permettono la redazione di mappe di prescrizione per la concimazione a rateo variabile, con dosi definite per ciascun quadrato di 10 metri che corrisponde alla risoluzione del satellite (Fig. 3). È consigliabile poi riorientare la mappa di prescrizione in modo da allineare i quadrati alla direzione di avanzamento del trattore, per facilitare la distribuzione a rateo variabile.
Modellistica previsionale
Infine, è da menzionare che sono stati sperimentati metodi ancora più sofisticati che fanno uso della modellistica previsionale. In pratica, modelli di simulazione dell’accrescimento e della produzione della coltura, guidati da informazioni sito-specifiche sul suolo e da previsioni meteo, cercano di prevedere quale sarà la produzione della coltura a fine ciclo nelle diverse aree dell’appezzamento. Con questi metodi si cerca di stabilire la dose di concime anche in funzione di obiettivi tecnico-economici. Questi metodi, che integrano una modellistica dinamica dei processi del sistema suolo-coltura-atmosfera, per quanto complessi, stanno gradualmente trovando spazio nei sistemi di supporto alle decisioni (DSS), con una crescente facilità di utilizzo.
In conclusione, le tecnologie e le conoscenze per migliorare la gestione della concimazione azotata non mancano, ma quel che serve è ora una maggiore consapevolezza dell’utilità di questi strumenti da parte degli operatori e una disponibilità di tecnici preparati, in grado di supportare chi voglia intraprendere questo percorso.