Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), impostato lo scorso anno sulla base delle ottimistiche previsioni sullo sviluppo successivo alla pandemia (dalla quale, peraltro, non siamo ancora usciti), ha dovuto scontrarsi con nuove emergenze assai più impattanti.
Le complicazioni intervenute sul mercato dell’energia rendono ancora più attuali alcune iniziative del Pnrr, che hanno lo scopo di potenziare le fonti energetiche rinnovabili e ridurre la nostra cronica dipendenza dall’estero. Una di queste riguarda l’energia solare che può essere prodotta all’interno della filiera agricola, dalla produzione primaria alla trasformazione per garantire l’approvvigionamento in proprio, senza gravare sulla rete di distribuzione. Nelle aziende agricole il consumo di elettricità può essere rilevante per la conservazione dei prodotti, per l’essiccazione o per l’azionamento dei servizi di stalla; se scendiamo lungo la filiera, le attività di trasformazione consumano anch’esse molta energia, che può essere in buona parte autoprodotta.
Guardando al futuro, una parte della meccanizzazione potrà essere elettrica, specie per quelle utenze dove si richiede potenza in modo discontinuo (come carico e movimentazione), oppure dove si opera in ambiente chiuso (serre, tunnel, stalle, magazzini). I lavori che richiedono un’erogazione continua e prolungata pongono per ora ostacoli insormontabili, a meno di non disporre di pacchi batteria intercambiabili (come per gli utensili a mano), che potrebbero avere un costo economico e ambientale non sostenibile. Considerando che un impianto solare ha una durata economica di almeno 20 anni e che in seguito continuerà a produrre energia, seppure con potenza calante nel tempo, bisogna ragionare al futuro, con il rischio di sconfinare nella fantascienza.
La prima crisi energetica degli anni Settanta fu superata agevolmente, ma non è detto che ciò accada anche per la prossima: se i Diesel di allora sono ancora utilizzabili, può darsi che fra 20 o 30 anni il quadro sarà completamente mutato. Il bando “Parco Agrisolare” pubblicato alla fine di agosto stanzia una somma rilevante (1 miliardo e 500 milioni) per finanziare la costruzione di impianti fotovoltaici sulle coperture dei fabbricati utilizzati dalla filiera agricola e della trasformazione.
L’obiettivo è ambizioso, almeno in apparenza: il legislatore punta ad arrivare a 375.000 kilowatt di potenza installata, con un minimo finanziabile di 6 kW ed un massimo di 500 kW, con la prospettiva di realizzare qualche migliaio di impianti. Il risultato non sarà risolutivo per l’Italia, che nell’ultimo triennio ha consumato in media 320.000 GWh/anno: con la potenza di progetto ed un’insolazione media di 2.200 ore/anno, la produzione di 825 GWh/anno incide per appena lo 0,25% sul nostro fabbisogno energetico.
Il bando nei dettagli
Il comunicato del 23 agosto del Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e dell’ippica apre a tutte le imprese della filiera, distinte in base al codice (Ateco) di iscrizione alla Camera di Commercio:
1. Le imprese agricole propriamente dette, che realizzano la cosiddetta “produzione primaria” di prodotti vegetali e animali;
2. le imprese con attività di trasformazione che dà luogo a prodotti comunque agricoli, come ad esempio l’essiccazione, la pulitura, la preparazione del seme per la semina, il vino ecc.;
3. le imprese la cui attività di trasformazione dà luogo a prodotti non agricoli, come la farina, la pasta, i prodotti da forno ecc.;
4. le altre imprese del settore agricolo, categoria residuale che comprende gli agromeccanici; ai fini della ripartizione delle risorse queste ultime due categorie sono riunite assieme.
Le risorse complessive ammontano come detto a 1.500 milioni di euro, di cui però una parte (il 40%) è riservata alle otto regioni svantaggiate del Centro Sud, che sarebbero proprio quelle in cui il fotovoltaico rende di più, avendo una maggiore insolazione.
Altra priorità è legata alla natura delle imprese: gli agricoltori si prendono i quattro quinti dei fondi, ma una parte finanzia anche le imprese non agricole facenti parte della filiera, incluse le imprese agromeccaniche che finora, per vari motivi, erano state sempre rimaste fuori dai giochi.
In sintesi, i fondi sono ripartiti come segue:
Gli agromeccanici si troveranno a competere con concorrenti assai agguerriti, perché il terzo gruppo comprende le aziende più attive e dinamiche della filiera, con la maggior propensione ad investire. Dalla produzione di primaria restano esclusi gli agricoltori in regime di esonero dagli obblighi contabili per le quali le verifiche sarebbero problematiche, in mancanza di documentazione. D’altra parte, gli “esonerati” si trovano in una condizione assai più simile a quella di un privato che di un’impresa, mancando spesso di una vera e propria organizzazione aziendale.
Destinatari | Regioni Nord-Centro: Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli V. G., Prov. Aut. TN e BZ, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Lazio |
Regioni Sud-Isole: Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna |
Agricoltori (produzione primaria) | 720 milioni | 480 milioni |
Trasformazione prodotti agricoli in agricoli (sembra comprendere essiccazione e selezione sementi) | 90 milioni | 60 milioni |
Trasformazione di prodotti agricoli in non agricoli; comprende agromeccanici e forestali) | 90 milioni | 60 milioni |
Totale | 900 milioni | 600 milioni |
Interventi e contributi
Sono finanziabili i lavori di sostituzione delle attuali coperture (anche in amianto), la costruzione di tetti isolati, la creazione di sistemi di isolamento e ventilazione con installazione di pannelli solari, l’installazione di sistemi intelligenti per la gestione dell’energia elettrica prodotta. L’intervento ha la funzione principale di sostituire, per quanto possibile, l’alimentazione dalla rete elettrica, andando a coprire il fabbisogno aziendale di energia, con la possibilità di vendere al Gestore dei servizi elettrici (Gse) la parte eccedente. Una vera rivoluzione rispetto ad altri incentivi, che consentivano invece lo scambio sul posto con il Gse e l’immissione in rete dell’intera energia prodotta; la formula dovrebbe evitare il proliferare di aziende agricole “di carta” costituite solo per usufruire degli aiuti. Aiuti che hanno un’incidenza molto elevata, forse troppo elevata, al punto da indurre il sospetto che il primo interesse dello Stato non sia l’autosufficienza energetica del settore agricolo ma solo il fatto di avere speso il più rapidamente possibile le risorse disponibili.
Le aziende agricole possono arrivare al 40% della spesa, con la maggiorazione di 20 punti quando rientrano fra le “piccole imprese”; nelle 8 regioni svantaggiate il contributo ordinario è del 50%, che per le “piccole” sale al 70%. Questi valori possono essere ulteriormente aumentati di altri 20 punti per le imprese “giovani” o che rientrano in aree soggette a particolari vincoli (come quelli ambientali): in pratica si può arrivare a 80-90%, troppi per non avere un aumento apprezzabile della produzione energetica nazionale.
Le imprese agromeccaniche e quelle industriali partono da una base molto inferiore (30% della somma investita), cumulabile però con altre agevolazioni. Nonostante l’ente gestore sia dotato di personale tecnico capace di effettuare valutazioni di merito molto approfondite, la partecipazione avviene secondo la nota – e criticabile – formula del “click day”, un concorso a tempo che potrebbe esaurire rapidamente i fondi. La scarsa propensione degli agricoltori a investire, pur in presenza di percentuali di aiuto molto importanti, è stata “premiata” con una disponibilità finanziaria di tutto rispetto (1.200 milioni su scala nazionale), mentre per le altre imprese la dotazione appare del tutto insufficiente. Questo lascia prevedere che i “non agricoli” esauriranno immediatamente il plafond, forse nel giro di qualche secondo come accade per i bandi ISI-Inail, aggiungendo l’ulteriore complicazione della necessità di disporre di operatori preparati e allenati.
Il portale telematico, messo in piedi e gestito dal Gse, si aprirà il prossimo 27 settembre alle ore 12:00 per chiudersi, se le disponibilità non verranno esaurite prima, come è lecito attendersi, esattamente un mese dopo alla stessa ora del 27 ottobre.
Ma non finisce qui…
L’apertura dello sportello telematico consente di presentare una proposta di investimento, corredata solo di una parte, per quanto sostanziale, della documentazione; ma è proprio qui che comincia l’avventura. I lavori per la realizzazione degli impianti possono essere iniziati subito dopo la presentazione telematica; tuttavia, se l’azienda dispone di un “piano B” in caso di mancato superamento del concorso a tempo, è quanto meno opportuno attendere la conferma ufficiale. Del resto, del tempo a disposizione ce n’è a sufficienza: l’impianto deve essere completato entro 18 mesi dalla pubblicazione dell’elenco dei destinatari dei fondi, in pratica coloro che hanno superato positivamente la prova del “click day”. Tale termine può infatti essere oggetto di proroga (debitamente motivata) in caso di ritardi, tenuto conto che la conclusione dell’investimento comprende non solo il termine dei lavori di costruzione, ma anche le fasi di collaudo e rendicontazione. In ogni caso tutta la procedura deve essere conclusa entro il 30 giugno 2026.
Non sono previste graduatorie in base al merito: un progetto con tutte le carte in regola, con un impatto sociale ed economico positivo, anche sotto l’aspetto occupazionale e ambientale, viene trattato alla stessa stregua di uno sciatto e costruito a tavolino solo per avere i soldi. Un ulteriore elemento che conferma lo scarso impegno dello Stato per fare sì che il miliardo e mezzo di fondi comunitari – che altri Paesi hanno rifiutato sdegnosamente – avesse un impatto efficace sull’economia italiana.