Si dice che nel settore agricolo si presti scarsa attenzione alla prevenzione degli infortuni, citando il poco invidiabile primato per il numero degli incidenti e delle vittime, ma se si distingue fra agricoltori e agromeccanici, questi hanno un’incidentalità minima: macchine sempre aggiornate e preparazione del personale sono le chiavi per lavorare in sicurezza.
Quella del contoterzista (e dell’agricoltore...) sono professioni difficili, che richiedono conoscenze e abilità sconosciute ad altri comparti – come quello industriale, dove le operazioni sono ben definite e codificate – senza contare che il lavoro si svolge spesso all’aperto e in condizioni difficili. Per gli organi di vigilanza e (vogliamo sperare) di prevenzione, il settore agricolo viene visto come un mondo sconosciuto: il lavoro è discontinuo, la presenza è occasionale – lo stretto necessario – e spesso l’operatore lavora da solo, mentre le macchine sono difficili da valutare.
Questo è dovuto sia all’estrema diversificazione dei mezzi sia all’evoluzione del progresso tecnico e quindi delle norme di sicurezza; norme che vengono spesso disattese senza che vengano applicate sanzioni veramente efficaci (in certe regioni i controlli sono del tutto assenti).
Bisogna aggiungere che le macchine agricole sono costruite secondo criteri molto severi per quanto riguarda la solidità e la durata, anche se poi risentono della ridotta dimensione delle aziende e dell’uso, talora davvero occasionale, nell’arco dell’anno. La media nazionale, per le aziende agricole, è di qualche centinaio di ore all’anno, così che un trattore potrebbe durare per 50 anni e oltre: in altri settori i mezzi obsoleti, come capacità lavorativa o per le condizioni di sicurezza, finiscono invariabilmente in demolizione. La quasi totale assenza di controlli ha contribuito a creare un mercato del “super usato”, in cui il trattore, se marciante, mantiene una sua quotazione: chi decide di vendere, per i più svariati motivi, si attende quindi di realizzare varie migliaia di euro, come minimo.
Doccia fredda sul mercato dell’usato
Per chi cessa l’attività, la vendita delle macchine viene percepita come una sorta di “liquidazione” spettante alla fine del lavoro: in queste condizioni diventa difficile accettare l’idea di non poter realizzare quanto ci si attenderebbe. La premessa sulla sicurezza era indispensabile per comprendere come la vendibilità dei macchinari usati sia condizionata proprio da questi aspetti, oltre che dalla tutela della libera concorrenza. Entrambe le norme sono contenute nel Decreto legislativo 81/2008, che ha unificato tutte le precedenti disposizioni in materia di tutela della persona in ambito lavorativo e non lavorativo.
Il testo unico recepisce varie direttive comunitarie sulla tutela dei lavoratori, ma nel rispetto della libera concorrenza: eludere le norme su sicurezza e ambiente non deve creare condizioni di favore. In particolare, l’art. 72 stabilisce che chiunque venda macchine, apparecchi e utensili destinati a essere impiegati in condizioni di lavoro, questi devono essere costruiti secondo le direttive di prodotto, che per il settore agricolo possono essere:
- per i trattori, la Direttiva 74/150/CEE (dispositivo di protezione contro il ribaltamento), la 2003/37/CE (cinture di sicurezza e protezione organi in movimento) e la Mother Regulation, che contiene tutte le regole costruttive, comprese quelle per la circolazione stradale;
- per le macchine agricole trainate e i rimorchi valevano, fino al 2017, la Direttiva Macchine nelle sue varie versioni (1989/392/CEE, 2006/42/CE); in seguito, a discrezione del costruttore, il Reg. 167/2013 (Mother Regulation);
- tutte le altre macchine agricole “non trattori” (semoventi, trainate, portate e semi portate) le dovevano rispettare la Direttiva Macchine (1989/392/Cee, 2006/42/CE) o il Regolamento Macchine (2023/1230).
Le macchine, gli apparecchi, le attrezzature e gli utensili di lavoro costruiti in assenza di direttive di prodotto (perché non applicabili o perché costruiti in epoca precedente) devono essere adeguati alle regole tecniche contenute nell’Allegato V al Decreto 81/2008.
Per i trattori la legge non è sempre stata rispettata: numerosi esemplari sono privi della struttura di protezione, tolta perché “dava fastidio”, perché non era obbligatoria alla data di immatricolazione, oppure perché il telaio omologato era stato nel frattempo sostituito con una cabina non omologata. Per le attrezzature la Direttiva macchine è stata emanata nel 1989, ma è entrata in vigore solo il 21/09/1996: benché siano trascorsi 28 anni, ci sono in giro tante macchine irregolari perché all’inizio le norme sono state applicate con molto ottimismo.
Il “bollino CE” indica l’avvenuto rispetto delle regole stabilite dalla Direttiva, ma da solo non basta: la macchina deve essere corredata dalla dichiarazione di conformità e dal manuale di uso e manutenzione, oltre a soddisfare effettivamente i requisiti di sicurezza. Chi mette in commercio una macchina agricola, sia esso un commerciante, un utilizzatore (contoterzista e/o agricoltore) o un privato non imprenditore che l’ha ereditata, viene trattato allo stesso modo, senza distinzioni.
La vendita di una macchina che non rispetta le norme di sicurezza è punita con una sanzione amministrativa che va da € 1.067,88 a € 3.844,36, ma sempre che non avvengano incidenti. Ammettiamo che si decida di vendere un vecchio trattore senza roll bar, tenuto in azienda nella speranza di una rottamazione che non si è poi concretizzata: se chi compra il trattore si ribalta e si fa del male, il giudice può dare la colpa a chi lo ha venduto. Oltre agli aspetti penali non si devono dimenticare quelli civili, perché l’infortunato o i suoi eredi possono rivalersi sul venditore per la rifusione del danno. Viene tuttavia da chiedersi per quale motivo si debbano tenere in azienda macchinari del genere: al datore di lavoro potrebbe essere contestata la messa a disposizione dei lavoratori di una macchina non “a norma”, un reato punito con l’arresto da 3 a 6 mesi o l’ammenda da € 3.559,60 a € 9.112,57.
Cosa si deve fare
La vendita di beni usati e datati richiede sempre un esame preventivo sullo stato degli stessi e una valutazione di convenienza riguardo al loro adeguamento all’Allegato V. Neppure le macchine più recenti possono essere vendute a cuor leggero, perché il rispetto dell’art. 72 deve essere verificato attentamente: è sufficiente che la macchina sia stata modificata, magari da un precedente proprietario, perché il certificato CE perda la sua validità. Anche nel caso in cui sia tutto in regola, la vendita di un bene usato resta comunque soggetta alle norme stabilite dal Codice Civile, in particolare per quanto riguarda la garanzia che il venditore deve dare in relazione alla possibile manifestazione di difetti “occulti”. Sono i difetti non verificabili dall’acquirente a un esame visivo o sensoriale, ma che possono essere scoperti solo con l’ausilio di attrezzi, come l’ingranaggio danneggiato visibile smontando parzialmente la macchina.
Per le macchine agricole dotate di documenti (carta di circolazione o certificato di idoneità tecnica) in cui siano indicate le generalità del proprietario, è obbligatoria la voltura entro 30 giorni; ma come comportarsi se l’acquirente è un soggetto privato, senza partita Iva? Fino a qualche anno fa questo era un problema privo di soluzione: in caso di incidente con danni alla persona, il venditore poteva essere chiamato in causa quale intestatario del veicolo. Grazie a un provvidenziale intervento legislativo, dal 2021 i privati non imprenditori possono intestarsi una macchina agricola, seppure con (ragionevoli) limiti peso e di potenza, consentendo di completare il passaggio di proprietà con l’annotazione sui documenti di circolazione
Poche alternative alla messa a norma
Ma non esistono alternative che consentano di liberarsi dell’usato, specie se afflitto da qualche problema, senza ulteriori seccature? Le varie dichiarazioni liberatorie, dall’impegno dell’acquirente a mettere a norma l’usato o formule miste in cui venditore e acquirente si danno reciproche rassicurazioni sull’adeguamento del mezzo, non consentono di superare l’obbligo di legge: la macchina può essere venduta solo se è a posto. In verità, la regolarizzazione di un trattore non è troppo impegnativa: nel 2009 l’Inail ha emanato specifiche linee guida, corredate del progetto esecutivo del telaio di protezione e degli attacchi. Più complesso potrebbe invece rivelarsi l’adeguamento di altre macchine, come ad esempio una rotopressa o un erpice rotante, dove i punti critici sono numerosi e non esistono precise regole tecniche per rendere la macchina completamente sicura.
L’unica alternativa consentita, e spesso la più conveniente economicamente, è quella di cedere i beni a un commerciante, che non rischia nulla, perché si configura come intermediario e non come utilizzatore della macchina. La vendita al commerciante, con o senza permuta, interrompe la catena: sarà poi lui a dover affrontare l’adeguamento della macchina, se l’operazione è economicamente favorevole. Alcuni anni fa, nel pieno della discussione sulla revisione – tuttora sospesa in mancanza del decreto di attuazione – fu presentato a Eima International un vecchio trattore (fine anni Sessanta) adeguato ai sensi dell’Allegato V, secondo le linee guida Inail. Il costo complessivo dell’aggiornamento si collocava intorno a 3.000 euro più Iva e comprendeva il telaio di protezione, il sedile ammortizzato con cintura di sicurezza, il cambio del silenziatore, la revisione dell’impianto elettrico e l’installazione del dispositivo contro l’avviamento accidentale. L’insieme degli interventi non copre, per macchine in normale stato d’uso (e quindi con tante ore sulle spalle), il valore di mercato: l’esemplare esposto in fiera era stato oggetto di recenti interventi di restauro perché aveva un valore affettivo e quindi l’adeguamento ci poteva stare.
La macchina non adeguata potrebbe essere venduta solo al di fuori dell’Unione Europea, ma facendo attenzione alle regole eventualmente vigenti nel paese di destinazione: al riguardo si è creato un mercato che rifornisce i meno fortunati di mezzi ancora funzionanti. I modelli più noti e diffusi sono ancora commerciabili, specialmente se i ricambi sono disponibili: tuttavia il basso costo della manodopera porta a soluzioni ingegnose simili a quelle in cui operavano i nostri meccanici nell’immediato dopoguerra con i residuati bellici. Solo ciò che non ha più alcuna prospettiva commerciale finisce in demolizione, secondo i migliori principi dell’economia circolare.