Ci sono aziende che, a distanza di qualche anno, meritano una seconda o anche una terza visita, perché è interessante e istruttivo per tutti seguirne l’evoluzione. Quella dei fratelli Silva è indubbiamente tra esse. Se non altro, perché in 11 anni ha raddoppiato il personale e convertito tutte le macchine al digitale. Aiutata, in questo, dai contributi di Agricoltura 4.0, che si conferma dunque come uno straordinario volano di innovazione, laddove la tecnologia arriva a chi sa cosa farsene. Andiamo però con ordine e partiamo da un doveroso “dove eravamo rimasti”.
Contoterzisti per caso
In estrema sintesi la storia dei primi anni: La Tassini Snc – questo il nome della ditta – nacque a Cadeo (Pc) nel 1980, dal lavoro di Giovanni Tassini, zio degli attuali titolari. Dopo la sua prematura scomparsa, nel 1991, Christian, Manuel e Alan Silva avevano rispettivamente 18, 16 e 11 anni, ma decisero comunque di subentrare nell’attività. Di cui non si erano praticamente mai occupati, se non d’estate frequentando la cascina dello zio. Un anno dopo, nel 1992, acquistarono la prima cavabietole, coltura che andava alla grande sui terreni forti al confine tra Piacenza e Parma. Aggiunsero una mietitrebbia e ampliarono il parco trattori. Quando li incontrammo per la prima volta, nel 2012, avevano quattro mietitrebbie, quattro barre semoventi e una quindicina di trattori, usati dai sei dipendenti fissi.
Più di venti trattori, sei irroratrici
Oggi, fine 2023, i trattori superano abbondantemente la ventina, le barre per trattamenti sono diventate sei e i dipendenti fissi dodici. Si sono aggiunti quattro camion per i trasporti e la sede si è spostata: sempre nel comune di Cadeo, ma in una struttura costruita da zero e inaugurata nel 2015. Mietitrebbie e cavabietole, invece, sono sempre quattro e una. «Ci sono stati anni in cui anche le cavabietole erano quattro. Prima della crisi della bieticoltura», fa notare Christian. Che aggiunge, però, come questa coltivazione non sia mai scomparsa del tutto dalla provincia di Piacenza, cosa che ha permesso ai Silva di mantenere una cavabietole anche nei momenti peggiori e che li pone in posizione di vantaggio ora che il settore sembra riprendersi. «C’è effettivamente un ritorno alla bieticoltura, qui in zona, grazie soprattutto alle nuove varietà resistenti alle solfoniluree, che hanno permesso di liberarsi da infestanti tenaci e ampliare le superfici. Oggi c’è un’oggettiva crescita di interesse, tanto che anche noi stiamo pensando di allargarci con una seconda cavabietole. Del resto siamo quasi i soli, in provincia, a dare questo servizio».
Se la raccolta delle bietole assume prospettive interessanti, semine e trattamenti restano i punti di forza di un’azienda che fin dalle sue origini ha puntato sulle seminatrici, andando a cercare talvolta anche macchine particolari, e sulla difesa delle colture: non sono molte le realtà che hanno avuto (anno 2012) un rapporto di quattro irroratrici semoventi su una ventina di mezzi in totale. «Lavoriamo molto con il pomodoro – precisa Silva – ma anche con le bietole, il grano e il mais. Due delle irroratrici sono infatti trampoli. Tutte, naturalmente, con controllo satellitare dell’irrorazione».
I sussidi, quelli buoni
Quanto hanno fatto bene gli sgravi fiscali di Agricoltura 4.0 all’evoluzione del settore primario? Poco, se guardiamo a certe realtà, in cui il generoso contributo statale è servito a cambiare il trattore o la seminatrice e poco più. Ci sono però esempi come quello dei Silva, che con i fondi hanno rinnovato il parco macchine ma anche il modo di utilizzarle, e allora vien da pensare che, a conti fatti, i miliardi di Agricoltura 4.0 non siano stati spesi invano. «In realtà, da anni stavamo portando la nostra azienda verso il digitale e l’agricoltura di precisione. Avevamo già diverse guide satellitari e i nuovi attrezzi erano tutti Isobus. Agricoltura 4.0 ci ha permesso di fare un grosso salto in avanti, completando la transizione, tanto che oggi gestiamo tutta la nostra attività secondo i criteri del precision farming. Facciamo mappatura dei raccolti ma anche semine, concimazioni e soprattutto trattamenti con controllo satellitare e, volendo, con dosaggio variabile. Abbiamo il dosaggio variabile, infine, anche sulla distribuzione di reflui e digestato. Grazie a ciò abbiamo collaborato anche ad alcuni studi della Cattolica di Piacenza».
Trincia no, digestato sì
Gli studi, spiega Silva, riguardano l’efficacia della concimazione con effluenti organici e digestato in particolare. «Abbiamo confrontato la concimazione organica con quella minerale su cereali a paglia, in entrambi i casi facendo mappatura sia degli interventi sia dei raccolti che ne sono derivati. I risultati più interessanti si sono ottenuti da digestato additivato con un inibitore dell’azoto, grazie al quale i nutrienti sono disponibili per la pianta fino a due settimane prima della trebbiatura. Ne è derivato un maggior peso specifico del grano e soprattutto un’elevata resistenza all’allettamento, a dimostrazione che coltivare grano con concimi organici è possibile e redditizio».
La distribuzione è stata effettuata con due mezzi specializzati: «Il primo è uno Xerion Saddle della Claas acquistato diversi anni fa a un’asta. Grazie a esso siamo entrati nel settore della fertilizzazione organica, che già praticavamo in parte con i carri-botte. In questa zona non vi era una gran considerazione per i fertilizzanti naturali, per cui non è stato facile far passare l’idea che siano efficaci quanto i concimi minerali». Poi, spiega Christian, è arrivato il 2022 con la crisi ucraina… «E di conseguenza l’interesse per i concimi organici è esploso, tanto che abbiamo dovuto acquistare un Vervaet a cinque ruote per star dietro alla domanda».
I Silva non hanno invece mai voluto lavorare con le trince, giudicate troppo onerose in rapporto al periodo di impiego. «Tuttavia, se anche non serviamo i digestori con la raccolta, il ciclo dei reflui ci interessa molto».
Quel dialogo che manca
I fratelli Silva usano Claas e Vervaet per la concimazione, Grim e Bargam per i trattamenti. I trattori sono in larghissima parte Fendt, mentre le mietitrebbie sono tutte New Holland: due assiali e due convenzionali. Tutte queste macchine devono far convergere i dati raccolti in un unico luogo virtuale, affinché essi siano di qualche utilità. E qui, come sanno bene i lettori, iniziano i problemi. A chi affidarsi per il dialogo tra sistemi diversi? «Quello della incomunicabilità tra i diversi protocolli è un problema reale e serio. Lavoriamo con il Plm di New Holland per la raccolta, con Fendt One per i trattori e con Trimble per le macchine semoventi. Come sappiamo, i vari software non dialogano: è un limite reale e inconcepibile in anni di digitalizzazione spinta. È importante che i costruttori trovino un terreno comune, ripetendo l’esperienza di Isobus: anche in quel caso, inizialmente ogni marchio andava per la sua strada, mentre oggi la compatibilità è totale.
Al momento – prosegue il contoterzista emiliano – per riuscire a incrociare i dati lavoriamo con X-Farm, che ci sembra essere il software con la miglior intercomunicabilità, ma è indubbio che questa situazione debba essere risolta in tempi rapidi». Soprattutto se, come accade in questo caso, i sistemi satellitari sono utilizzati praticamente in ogni operazione. «Li usiamo per le semine, che facciamo con una Kverneland e una Matermacc a 12 file, ma anche per lavori come il livellamento». Argomento sul quale Christian Silva lascia la parola a Pierluigi Casagrande, dipendente della prima ora e ormai braccio destro della famiglia nella gestione dell’azienda. «Il livellamento con controllo satellitare offre alcuni vantaggi e uno svantaggio. Quest’ultimo è la minor precisione rispetto al laser. In compenso, però, con il Gps è più facile capire quanto terreno si deve spostare, ancor prima di iniziare il lavoro. Inoltre, si vede, sullo schermo, dove si deve togliere o mettere terra, mentre con il laser si gira per il campo mentre la livella si alza o abbassa automaticamente».
Soprattutto, interviene Silva, con la gestione satellitare è più semplice far vedere ai clienti l’entità del lavoro e, di conseguenza, farsi pagare il giusto. «A volte ci sono piccoli appezzamenti che fanno spostare tonnellate e tonnellate di terra e non è semplice spiegare poi al proprietario che ci sono volute ore per sistemarlo. Mostrandolo in anteprima sul monitor, l’agricoltore si convince più facilmente». Allo stesso modo, un resoconto esatto e oggettivo di ore, gasolio consumato ed entità del lavoro aiuta a farsi pagare senza proteste. «Due campi vicini possono richiedere tempi e spese molto diversi, su lavori pesanti come aratura o vangatura. E anche lo stesso campo, da un anno all’altro, varia per ore lavorate e litri di gasolio. La raccolta dei dati certifica queste variazioni e ci dà un importante argomento nella trattativa coi proprietari. Anche per questo è una strada da cui non si torna indietro».