Nell’era della digitalizzazione e della connessione ad alta velocità si deve purtroppo constatare che questi strumenti sono disponibili solo per una parte della popolazione, con significative differenze che non sono determinate solo dalle disponibilità economiche. Certo, un cellulare o un computer di ultima generazione, con una memoria praticamente infinita per le necessità pratiche, o con un processore ad altissima velocità possono ancora indicare una diversa capacità di spesa o esigenze più sofisticate. Ma in Italia esiste una forte stratificazione digitale, che esclude dall’accesso alla rete globale gran parte del territorio, anche se i gestori della banda ultralarga (il cosiddetto 5G) vantavano orgogliosamente la copertura totale delle aree urbane già a fine 2022.
Bisognerebbe a questo punto intendersi sul significato di area urbanizzata, perché nella stessa città dove è presente il 5G, si va dai 2,5 Gigabit al secondo di chi è “seduto” sulla fibra ai 30 Megabit teorici (80 o più volte di meno) di chi ha la linea Adsl con i fili di rame. Fili che talvolta sono collegati come i telefoni da campo, esposti alle intemperie, attorcigliati, ossidati e capaci a malapena di trasmettere una voce gracchiante e disturbata. Se poi ci allontaniamo da questi luoghi privilegiati – bastano pochi chilometri per uscire dalla rete cablata o dalla cella – anche la semplice telefonata è soggetta a disturbi, figuriamoci quindi la trasmissione di grandi volumi di dati.
Il segnale radio della rete cellulare si muove in linea retta e viene ostacolato dalle barriere naturali (montagne) e artificiali (cortine di fabbricati), ma questo non vale per la rete cablata, che teoricamente potrebbe seguire il reticolo viario.
Campagne penalizzate
Purtroppo, l’ostacolo è semplicemente e banalmente di tipo economico: non conviene collegare le aree dove vive poca gente e dove è scarso il mercato dei servizi a pagamento, dai film alle partite, soprattutto se poi comporta la posa cavi o l’installazione di antenne che avranno poco traffico. Non dobbiamo quindi meravigliarci se sono proprio le campagne a manifestare quel divario di conoscenze – noto come “digital divide” – che caratterizza una parte importante della popolazione, e ancora più importante del territorio. È facile prendersela con la scarsa scolarizzazione o con l’età avanzata, come se la popolazione rurale fosse in qualche modo meno propensa ai cambiamenti rispetto a quella urbana: in realtà è proprio quest’ultima a essere più esposta al degrado sociale, come purtroppo mostrano le cronache. La seconda Conferenza di Cork, nel 2016, aveva concluso che le future azioni dell’Unione europea dovevano prendersi cura del territorio rurale, afflitto da un cronico ritardo rispetto all’Europa urbanizzata, abitata dalla maggior parte della popolazione. Da allora vari stati europei ha dato incentivi all’estensione della fibra ottica (e dei ripetitori in banda ultra-larga) alle aree più periferiche e marginali, anche dove gli investimenti non avrebbero garantito un soddisfacente ritorno economico.
Qualcosa del genere è avvenuto anche in Italia, ma in misura assolutamente insufficiente a coprire il fabbisogno, con almeno due terzi del territorio nazionale in cui resta difficile inviare e ricevere blocchi di dati con una velocità sufficiente (talvolta non va neppure il telefono). Una situazione confermata, per esempio, dal bando per l’innovazione gestito da Ismea: nonostante la promessa di mettere tutte le imprese del settore agricolo nelle condizioni di partecipare, la grande maggioranza dei concorrenti non è riuscita neppure a iniziare a compilare la domanda.
L’agricoltura si conferma come l’attività economica più danneggiata da questa situazione, come dimostrano gli innumerevoli report sul livello di digitalizzazione raggiunto dal settore. Le aziende che usano regolarmente Internet si dedicano soprattutto alla commercializzazione dei loro prodotti, mentre la raccolta e lo scambio dei dati, necessari per mettere in pratica le tecniche di agricoltura di precisione, registrano gravi difficoltà. È noto, infatti, che i sistemi di localizzazione hanno un proprio errore, che viene ridotto alla scala del centimetro da appositi programmi, grazie a un sistema di correzione continua che un tempo veniva trasmessa via radio e da qualche anno si appoggia sulla rete senza fili. È noto che la ricerca della posizione segue le leggi della trigonometria: con almeno due satelliti si crea un triangolo e se si riesce ad agganciare il segnale di ulteriori satelliti, si creano più triangoli con un vertice in comune, che è la posizione del navigatore. Quando questi sono pochi, il segnale è molto impreciso e la correzione richiede la trasmissione e la ricezione di molti più dati: se c’è poco campo, è facile ritrovarsi in un punto diverso da quello indicato, con conseguenze negative se la distanza fra le passate non è quella giusta.
Infrastrutture telematiche carenti
In occasione di Agritechnica sono state presentate numerosissime soluzioni per la digitalizzazione dei processi produttivi: in verità molte di queste erano presenti anche alle manifestazioni svoltesi in Italia, ma la vetrina tedesca ha mostrato un interesse e una partecipazione assai maggiore. È chiaramente la carenza delle infrastrutture telematiche a limitare l’impiego e la diffusione degli strumenti ad alta tecnologia: dove mancano questi ostacoli, il numero di operatori è assai maggiore, così come la presenza fra gli stand delle fiere.
Come il trattore è il simbolo dell’agricoltore, o la mietitrebbia la “bandiera” del contoterzista, così le macchine agricole capaci di svolgere qualche funzione in modo completamente autonomo, richiamano immediatamente alla mente l’agricoltura del futuro. Una tecnologia per certi versi matura, ma che non riuscirà a diffondersi adeguatamente per le carenze dell’infrastruttura telematica: la mole di dati da scambiare è indubbiamente notevole, ma il collo di bottiglia sta proprio nella capacità di trasmissione. Se è insufficiente, avremo un mezzo che lavora a scatti, con lunghe pause dovute ai tempi di risposta, oltre alla necessità di ricontrollare ogni parametro per mancanza di un rapido riscontro. Le funzioni governate da un radar di prossimità installato sul trattore consentono il movimento senza un continuo confronto con il computer remoto, ma il collegamento ci deve essere e deve funzionare.
I sensori meteorologici o microclimatici, come quelli che consentono già ora di prevedere le carenze idriche o le infestazioni parassitarie, tollerano temporanei “fuori linea”, ma richiedono comunque una rete con una velocità di trasmissione compatibile con i loro standard costruttivi.
Più esigenti, in fatto di connessione, sono invece i sensori per la lettura degli indici vegetativi durante il lavoro e la correzione in tempo reale della mappa di prescrizione: i dati raccolti devono essere trasmessi ed elaborati sul computer remoto, che deve immediatamente restituire i nuovi parametri. Alla velocità di 3 m/s (10,8 km/h) la macchina percorre la distanza fra la fascia rilevata dai sensori e quella interessata dalla distribuzione del fertilizzante viene percorsa in pochi secondi, la maggior parte dei quali deve essere riservata alla regolazione del dispositivo dosatore.
Oltre al “peso” digitale dei dati e delle conseguenti istruzioni, l’invio e la ricezione devono impiegare pochi istanti per dare alla macchina il tempo di reagire; se, a causa della scarsa copertura, il tempo si dilata, o si riduce la velocità di lavoro o diminuisce la precisione nella distribuzione. Lo stesso discorso vale per le macchine per il diserbo selettivo, già disponibili sul mercato ad opera di grandi marche che hanno dimostrato di crederci davvero, non solo per la localizzazione rispetto al terreno, ma per il riconoscimento dell’infestante. Una parte delle informazioni può essere conservata in locale (nel computer di bordo), ma per distinguere due specie botaniche dello stesso genere o la varietà coltivata rispetto a quella selvatica, è necessario attingere a una grande mole di dati, cosa che può avvenire solo via Internet.
Alcune soluzioni, come detto, sono utilizzabili tramite il collegamento fra l’attrezzatura e il trattore (dotato di un computer di bordo capace di gestire la lavorazione) attraverso la connessione Isobus, ma lo scambio di dati con il server remoto è comunque indispensabile.
I requisiti del protocollo 4.0
Il rispetto dei requisiti del protocollo 4.0 è un obbligo per chi ha usufruito dei corrispondenti benefici, sia in termini di ammortamento anticipato sia di crediti d’imposta (senza contare la Nuova Sabatini). La trasmissione dei dati è l’elemento indispensabile per realizzare la cosiddetta “interconnessione”: cosa potrebbe accadere se per difetti intrinseci della rete digitale (ovviamente, non quella cablata, trattandosi di macchine mobili) questo scambio di dati non si realizza? L’Agenzia delle Entrate potrebbe obiettare che l’effettiva mancanza di connessione fosse stata una condizione già verificata (con lo smartphone, per esempio) e ben nota al contribuente, che in tal caso non avrebbe potuto usufruire dell’ammortamento anticipato o del credito d’imposta. Una siffatta interpretazione non è campata in aria, perché il requisito dello scambio continuo di dati è indispensabile; la memorizzazione dei dati potrebbe avvenire anche su una memoria interna, ma la trasmissione delle istruzioni da remoto non è possibile se cade la connessione.
È auspicabile che le verifiche fiscali si fermino al possesso dei requisiti generali e di una ragionevole continuità temporale dell’interconnessione e del trasferimento dei dati. Non sarebbe giusto infierire sul contribuente che, dopo avere subito limitazioni e perdite di dati per colpa di un’infrastruttura da Terzo Mondo, non può di certo sopportare altre censure legate alla temporanea e incidentale interruzione della connessione.