«Nel nostro piccolo, facciamo un po’ di tutto». Non sono rimaste molte aziende ad adottare questo ragionamento, nella nuova era del contoterzismo. Divise tra chi punta a ingrandirsi sempre più, trasformandosi da attività artigianale in semi-industriale, e chi invece tira avanti in attesa di chiudere, una volta arrivata l’ora della pensione, nel settore aumenta costantemente il divario: o molto grandi o piccolissime. Ce ne sono però alcune che provano a sopravvivere mantenendo la loro dimensione e le attività tradizionali, offerte ai clienti talvolta da generazioni.

Siamo a Castell’Arquato, provincia di Piacenza. Località d’arte, arroccata ai piedi delle colline appenniniche. Ci ospita Marco Ponzetti, che con il figlio Luca porta avanti un’attività nata - ci spiega - quasi un secolo fa. «Non conosco la data precisa di fondazione, ma se consideriamo che l’unico mezzo che ci è rimasto è una vecchia Moto Guzzi del 1934 e che la mia famiglia l’acquistò qualche anno dopo la prima trebbia, possiamo datare la nascita delle lavorazioni meccaniche Ponzetti attorno al 1930. Quasi 100 anni fa, insomma».
A creare la ditta, ci spiega Marco, fu Celeste, lo zio del padre. «Da lui passò a Vittorio, mio padre, e quindi a me. E in futuro resterà a Luca, che già mi aiuta a tempo pieno». Accanto a padre e figlio, prosegue Ponzetti, ci sono tre operai, attivi per circa nove mesi l’anno e particolarmente nei momenti della raccolta.
Trebbiatori si resta

Trebbiatori nacquero, i Ponzetti, e trebbiatori restano. Anche in un’epoca in cui la trebbiatura non ha più la remuneratività degli anni d’oro. «La nostra attività è varia, ma i cereali restano uno dei pilastri. Seguiamo l’intero ciclo, compresa la raccolta, per cui abbiamo due macchine: una AL4, livellante della Laverda, e una Claas Lexion 5400 nuovissima, arrivata nel 2025 e che dunque è alla sua prima campagna». Una prima stagione, aggiunge, positiva. «È una bella macchina, presa al posto di un’altra Lexion, sempre a scuotipaglia. Per le nostre esigenze va più che bene. Sulla trebbiatura, restiamo tradizionalisti, anche perché la paglia, qui in zona, ha ancora un certo valore. Anzi: quest’anno, a momenti, vale più la paglia del fieno».
Paglia, peraltro, di ottima qualità. «Merito della mietitrebbia, ma anche dell’annata. Una stagione positiva, con paglia sana e integra. Del resto, anche la qualità del grano è molto alta. Purtroppo non lo è, invece, per prezzo e nemmeno per quantità».

Difficile vivere coi cereali
Ai piedi delle colline, ci spiega l’agromeccanico emiliano, le rese sono state tutt’altro che abbondanti. «Diciamo che la media è sui 40 quintali per ettaro, ma in molti casi si scende fino a 35. Poi ci sono i campi da record, quelli che, con la stessa varietà e la stessa concimazione, di quintali invece ne hanno fatti 70, vai a sapere il motivo. A ogni modo, sono produzioni piuttosto basse, che arrivano per di più dopo un 2024 davvero pessimo, per via delle piogge che tutti ricordiamo. Con una buona qualità e una bella resa si sarebbe potuto recuperare un po’ di reddito, invece niente da fare».
Un vero peccato, anche perché il grano resta una risorsa importante per il territorio. «Piacenza è diventata terra di pomodoro da industria, il cosiddetto oro rosso, ma il pomodoro non si può fare ovunque. Qui ai piedi delle colline ce n’è poco, bisogna scendere verso Alseno per trovare superfici importanti. In zona si fanno grano e poi medica e girasole per le rotazioni, mentre il mais è quasi scomparso». Soprattutto, aggiunge il contoterzista, in collina, dove i redditi sono in costante calo. «I terreni sono sempre meno coltivati, perché i costi sono alti, le rese basse e i prezzi non pagano le spese. Se la Pac non comincerà a dare un po’ di aiuti in più a queste zone svantaggiate, l’agricoltura scomparirà del tutto da quei territori».
Tornando alla pianura e alle rotazioni, il girasole, secondo Ponzetti, è una buona coltura alternativa, a patto di avere la possibilità di irrigarlo. «Chi non ha irrigato, quest’anno ha fatto rese scarse. Sembra strano, in una stagione in cui ha piovuto ripetutamente anche in pianura, eppure la nostra zona è stata sempre esclusa dai temporali. O passavano a nord, oppure a sud, verso Parma, ma qui non sono quasi mai arrivati e così abbiamo avuto un’estate siccitosa. Del resto - prosegue l’agromeccanico - non si può più coltivare contando sulle piogge. Il clima è diventato estremo e mentre in passato si poteva fare un po’ di mais anche in collina, oggi non si fa raccolto».
Gli effetti del cambiamento climatico
«Con settimane a 40 gradi è impossibile fare certe colture in collina. Si irriga il mais e dopo una settimana sta già soffrendo la sete e anche il girasole non fa resa senza essere bagnato. Purtroppo, sono lontani gli anni delle estati a 30 gradi con notti fresche e temporali ogni settimana. Quando c’era l’anticiclone delle Azzorre, insomma, che fortunatamente abbiamo avuto ancora, nel 2025, per qualche settimana a fine luglio. Erano gli anni in cui si lavorava con le macchine scoperte. Le mietitrebbie non avevano la cabina, eppure si andava lo stesso. Oggi sarebbe un suicidio lavorare su una trebbia con il sole a 40 gradi e tutta la polvere che si produce».
Azienda a tutto campo
Al di là del pomodoro, dominante in pianura, e del vigneto, che occupa buona parte della prima collina, cereali e medica restano dunque le sole alternative per l’agricoltura locale. «Qui non ci sono nemmeno molti impianti di biogas, li troviamo più verso il confine con Cremona. E anche le stalle sono raggruppate in pochi agglomerati, mentre un tempo erano più diffuse sul territorio». Restano i cereali, insomma, e la fienagione, che ovviamente i Ponzetti seguono da vicino. «Per alcuni anni abbiamo fatto anche vendemmia meccanizzata, con una Pellenc, ma attualmente non la stiamo usando molto. Continuiamo invece con i lavori del pieno campo, dall’aratura alla raccolta. Più una serie di servizi di vario genere». Il riferimento è ai lavori municipali, come pulizia di banchine e argini e sgombero neve in inverno. «Quando nevica, perché da due anni qui di neve non se ne vede», precisa Ponzetti.
Ci sono poi i trasporti, sia per gli agricoltori sia in assistenza ai colleghi che fanno trinciatura, e le attività corollarie che quasi ogni contoterzista offre. «Attualmente stiamo facendo parecchio lavoro con la trincia forestale. Non tanto nei boschi veri e propri, quanto in vecchie aziende o terreni abbandonati e che sono stati occupati da rovi e arbusti vari. Quando queste proprietà passano di mano, spesso chi acquista ci chiama per dare una ripulita. Abbiamo una trincia della Zanon che, pur non essendo molto grande, fa un ottimo lavoro. È un’attività complessa, anche per i trattori. Ci sono sassi, rami, la trincia dà colpi molto forti al cardano e qualche rottura c’è sempre, però alla fine ne esce un buon lavoro. Arriviamo che c’è un bosco e quando ce ne andiamo lasciamo un terreno pulito, su cui si può nuovamente coltivare».