Gli Armenzoni di Roccabianca (Pr) sono contoterzisti vecchio stile. Fanno soltanto lavori agricoli, non movimento terra né attività municipali, poiché in inverno preferiscono dedicarsi alla manutenzione delle macchine. Non fanno nemmeno fienagione e per un’azienda che ha sede in provincia di Parma, patria del Parmigiano Reggiano, è una particolarità degna di nota.
«Non abbiamo mai avviato questa attività, più che altro perché richiede una grande dedizione e molto impegno. Per cui o si ha tanto personale o non si riesce a fare altro. E partire da zero adesso sarebbe troppo oneroso», ci spiega Roberto Armenzoni, figlio del titolare Piergiorgio e attuale gestore della ditta di famiglia. In cui, tuttavia, lavora già anche la figlia Letizia. «Al momento si occupa dell’ufficio e, quando serve, sale anche sui trattori, ma in futuro ha detto di voler imparare a usare la mietitrebbia», spiega con un comprensibile orgoglio il padre. «Lavorava come impiegata – aggiunge – ma si è resa conto che preferisce la vita di campagna all’ufficio».
Settant’anni sui trattori
La storia di quest’azienda, che è poi la storia della vita del suo fondatore, non è un inedito assoluto, ma sorprende comunque. «Se devo proprio dirla tutta, iniziai quando avevo 13 anni, nel 1951, con il trattore che mio padre aveva acquistato per la nostra azienda agricola. Quando non serviva a noi, andavo a casa degli altri agricoltori per fare qualche lavoro», ci racconta Piergiorgio.
«Chiaramente – prosegue – potevo fare pochissimo, non avendo la patente. Per cui, appena possibile la presi e avviai una regolare ditta di lavorazioni in conto terzi. Nello stesso anno, che poi era il 1963, comprai anche la prima mietitrebbia, una Clayson. Tre anni dopo, mio cognato iniziò a lavorare assieme a me e acquistammo una nuova macchina, questa volta Laverda. Abbiamo continuato con Laverda fino all’arrivo di New Holland. Da allora, e ancora oggi, le nostre mietitrebbie sono gialle».
All’ombra delle bietole
L’ingresso in azienda di Roberto, all’età di 17 anni, segna un’altra svolta, visto che le nuove forze permettono di allargare l’attività. Per esempio, nel settore della bietola, in cui gli Armenzoni sono presenti dal 1975. «Iniziammo con una mono-fila, per poi passare alla bifile e infine, nel 1999, alla Holmer, che ci permise di fare un importante salto di qualità, aumentando fortemente gli ettari raccolti e arrivando a cavare bietole anche in provincia di Mantova», ricorda Roberto.
La bieticoltura italiana, tuttavia, finì come sappiamo: con la sopravvivenza, di fatto, di pochissimi zuccherifici e i timidi segnali di ripresa degli ultimi anni. «Purtroppo, le cose non vanno bene. I prezzi per la prossima campagna sono in calo e in molti casi la bietola comincia a non essere più un’alternativa redditizia. Si semina per la rotazione, essenzialmente, e un po’ per tradizione. In questa zona sopravviverà finché resiste lo zuccherificio di Minerbio (Bo), ma le produzioni del passato sono un ricordo lontano», dice sconsolato Piergiorgio. Questo, nonostante dall’agronomia vengano notizie anche incoraggianti, come i buoni risultati della bietola a semina estiva. «Si raccoglie a fine marzo, nella speranza che i terreni lo consentano, e in questo modo dovrebbe essere possibile un secondo raccolto. Di mais, per esempio. La vera domanda – continua Roberto Armenzoni – è se lo zuccherificio sarà in grado di aprire con tempi così anomali».
Conversione all’agricoltura
I terreni lasciati liberi dalla bietola, prosegue Armenzoni, sono quasi sempre occupati dai prati. «In altre parole, il lavoro per noi cala. Sia perché non facciamo fienagione sia perché sempre più ettari sono gestiti, in proprietà o affitto, dalle grandi stalle, che sono attrezzate per i lavori agricoli».
È anche per questo motivo, prosegue l’agromeccanico parmense, che l’azienda si sta parzialmente reindirizzando sulla conduzione diretta. «Credo che sia un processo naturale e comune a molti colleghi. Tante piccole aziende agricole sono mandate avanti da imprenditori ormai avanti con gli anni e che non hanno chi prosegua la loro opera. Per questo, molti terreni finiscono a noi e a contoterzisti come noi. Non so se diventeremo gli agricoltori del futuro, ma sicuramente la quota di ettari in conduzione diretta aumenterà un po’ per tutte le imprese agromeccaniche».
Quella degli Armenzoni, ci dice Roberto, è ormai arrivata a trecento. Coltivati con grano, soia, mais e, ovviamente, bietole. «In questa zona vanno forte i prati, che occupano la maggior parte della superficie. Abbiamo poi il grano, ma anche parecchio mais: una coltura in crescita essenzialmente per la domanda da parte dei digestori, in quanto non è possibile usare gli insilati nell’unifeed dei bovini da latte».
Contoterzismo in ritirata?
Di fronte all’invecchiamento degli agricoltori si potrebbe pensare che per gli agromeccanici si preparino tempi d’oro. «In realtà, invecchiamo anche noi. Alle assemblee di Cai Agromec si vede qualche giovane, ma la maggioranza delle teste ha i capelli bianchi. Del resto, per un giovane non è facile entrare in questa professione. Se non si è figli d’arte o perlomeno di famiglia agricola, servono capitali davvero importanti per avviare da zero una ditta agromeccanica. Può farlo chi ha alle spalle genitori facoltosi».
Difficile però che chi ha tanti mezzi a disposizione decida di investirli nelle attività in conto terzi, aggiunge Armenzoni. «Non è un lavoro che arricchisce. Di questi tempi, non navighiamo nell’oro. Si tira avanti, diciamo. Faremmo più lavoro se abbassassimo le tariffe, ma in quel caso non riusciremmo a farci un po’ di scorta per cambiare le macchine e nemmeno per aggiustarle. Dal Covid in poi sia i mezzi nuovi sia i ricambi sono diventati carissimi».
Affezionati al rosso
A proposito di macchine e ricambi, basta una rapida occhiata ai tre capannoni della ditta per capire che il legame con il gruppo Cnh è forte e datato. Accanto ai nuovi New Holland e Case IH vediamo infatti alcuni Fiat Agri e anche qualche Fiat degli anni Settanta.
«Usiamo macchine Cnh da sempre. Oggi abbiamo qualche New Holland, ma soprattutto Case IH. Ci piacciono la sua qualità, la cura che mette anche nei dettagli. Ne abbiamo diversi. Puma, per esempio, ma i nuovi arrivati sono Maxxum e Optum, che ha preso il posto di un Magnum giunto ormai a fine carriera. Senza, devo dire, farcelo rimpiangere: sebbene abbia meno cavalli, è un mezzo davvero indovinato e molto produttivo. Sicuramente un ottimo acquisto».
Vestono i colori di New Holland, invece, le macchine da raccolta, tra cui spicca una CR 7.80 Revelation, mentre le attrezzature vanno da Amazone a Väderstad, passando per Alpego e Monica Mist. «La botte per i trattamenti è un po’ piccola a dire il vero, ma pesta poco e poi ha la carreggiata giusta per passare tra le file di bietole senza fare danni. E quando c’è bagnato, è l’unica con cui si può lavorare, perché le più grandi finiscono impantanate».
Un problema, si potrebbe pensare, che affligge in modo particolare i terreni del parmense, notoriamente argillosi. Scopriamo però che questa zona fa eccezione. «Qui, vicino al Po, vi sono tessiture abbastanza sciolte, che si lavorano bene e in cui si entra anche pochi giorni dopo la pioggia. Tra l’altro, essendo vicini al fiume non abbiamo problemi di esondazione dei corsi d’acqua, come accade invece più a monte. Generalmente il Po lascia scaricare i canali, aiutato anche dalle pompe di sollevamento e dal sistema delle chiaviche. Finché non esonda, insomma, stiamo tranquilli».